Capitolo 71

Quando rientrò nella sala operativa, al termine dell’incontro con Woody, Kim fu accolta da tre volti ansiosi.

Avrebbe potuto aggiornarli subito, ma erano già le sette passate e la giornata lavorativa, iniziata dodici ore prima, stava volgendo al termine.

Come anticipato a Bryant, si era presentata con una faccia contrita che Woody doveva avere trovato convincente: dopo tutto, è difficile accanirsi con chi rinuncia in partenza a qualunque autodifesa.

«Bene, gente, ci aggiorniamo domattina. Andate a riposare».

Le parve di scorgere una smorfia delusa sui loro volti. Con un cenno comunicò a Dawson di fermarsi: ormai stava diventando una regola. Kim rimase a guardare la giovane agente novellina che infilava la borsa a tracolla, li salutava con un cenno del capo e usciva insieme a Bryant. Non poté fare a meno di paragonarla a colui che in quel momento le sedeva di fronte. Per l’ennesima volta. Stacey aveva iniziato la settimana decisa a lavorare sodo e a imparare il più possibile. Aveva affrontato ogni compito che le era stato assegnato con entusiasmo e serietà. Aveva dimostrato di avere iniziativa, portando alla luce nuove piste. A tratti Kim dimenticava che era solo all’inizio della carriera. Aveva un potenziale enorme, quella ragazza. Sfortunatamente, non pensava lo stesso del sergente Dawson.

Durante tutta la settimana, aveva voluto metterla alla prova. Aveva cercato di sfidarla, aveva ignorato i suoi ordini, e ormai rischiava seriamente che Kim lo cacciasse dalla squadra.

Ma non avevano ancora raggiunto il punto di rottura.

«E anche oggi mi tocca trattenerti», esclamò. Incrociò le braccia, e si sentì come una maestrina che rimprovera un alunno discolo.

Dalla sua espressione, capì che stava frugando nei suoi ricordi per capire cosa avesse fatto di male.

«Stanotte hai dormito in macchina nel parcheggio della stazione di polizia».

Lui aprì la bocca per ribattere, poi ci ripensò.

«Non so cosa stia succedendo nella tua vita privata né perché l’hai fatto, e neanche mi interessa. Ma non si ripeterà. È chiaro?».

Eccoli di nuovo, la posa e il tono da maestrina. Il sergente era l’unica persona in grado di tirare fuori quel lato di lei.

«Certamente, capo», rispose, ma lo sguardo allarmato che guizzò nei suoi occhi la spinse a chiedersi se non contasse sul parcheggio anche per la notte successiva.

«Troverò un posto…».

«C’è una camera prenotata a tuo nome al Travelodge, in fondo alla strada. Per una notte. Risolvi questa situazione e vedi di entrare davvero a far parte della squadra», gli disse, poi si avviò verso la Conca.

Voltandosi indietro, fu ricompensata dall’espressione confusa che regnava sul volto del sergente intento a radunare le sue cose.

Non era un gesto di cortesia, il suo. Rientrava in un piano preciso. Dawson le ricordava un cucciolo stanco e arrabbiato. Si lasciava distrarre facilmente, spesso diventava aggressivo.

E a volte, un cucciolo smarrito aveva solo bisogno di una bella notte di sonno per ritrovare la lucidità.

Se non avesse funzionato, sarebbe stato fuori dalla squadra per sempre.