Capitolo 21
Kim svoltò a sinistra in sella alla sua Kawasaki per uscire dal parcheggio della stazione di polizia.
Essendo metà dicembre, sapeva che la moto aveva i giorni contati e che presto avrebbe dovuto lasciarla in garage per prendere la vecchia Golf parcheggiata nel vialetto di casa. Per questo ogni giorno rubato all’inverno le sembrava un dono, un’occasione preziosa per concedersi la libertà di essere sé stessa.
Si sforzò di sgomberare la mente dai pensieri e di godersi semplicemente la strada e la moto che obbediva ai suoi comandi.
Le venne in mente il sergente Dawson, e trovò una certa ironia nel fatto che il collega che aveva visto di meno fosse quello a cui aveva pensato di più. Una parte di lei era rimasta colpita dalla sua intraprendenza. Purtroppo, era la parte minoritaria. L’altra era incazzata perché non era stato in grado di seguire le sue istruzioni, né di aiutare la collega quando la mole di lavoro era aumentata.
Non tutti erano fatti per il gioco di squadra, soprattutto i giovani molto ambiziosi, ma Dawson correva il rischio di mettere a repentaglio la sua carriera se era convinto di poterla fare fessa.
Fino a quel momento aveva tenuto per sé la propria irritazione, ma a tempo debito si sarebbe occupata di lui, e l’avrebbe fatto a modo suo.
I suoi pensieri corsero, com’era inevitabile, alla vittima, Luke Fenton, ucciso e torturato con estrema brutalità: l’unica cosa che sapevano sul suo conto era che non era bravo perché aveva scroccato una cena al ristorante cinese. Il suo intuito le diceva che non sarebbe stato di grande aiuto per scovare l’assassino.
Com’era possibile che non avesse lasciato alcuna traccia di sé sul suo computer?
All’improvviso le venne in mente la sua Golf parcheggiata nel vialetto, riservata ai pochi giorni di maltempo che si presentavano nell’arco dell’anno.
Mezzi diversi per scopi diversi.
Quando arrivò alla rotonda, la percorse per intero e tornò indietro.
Il ritorno a casa poteva attendere. Prima doveva andare in un posto.