Capitolo 5
Il sergente Kevin Dawson aprì un occhio e impiegò tutti i sensi a sua disposizione prima di riemergere definitivamente dal bozzolo del sonno.
Dove diavolo si trovava quella mattina?
Era costretto a tenere le gambe piegate e il suo giaciglio era sprovvisto di lenzuola. Il divano era rivestito di velours verde.
Il cuscino su cui poggiava la testa odorava vagamente di cibo cinese da asporto.
Era nell’appartamento di Terry, concluse, e proprio in quel momento l’uomo spuntò dalla cucina con una tazza in mano.
Dawson gli sorrise, grato, sebbene non sapesse cosa la tazza contenesse.
«Grazie, amico», esclamò, annusando il profumo del caffè bollente. Ne bevve un sorso. Era troppo forte. «Dove siamo finiti ieri sera?», domandò, vagando per la stanza con lo sguardo in cerca della sua roba.
«Dove non siamo finiti!», rispose Terry. «Dopo la quarta birra non c’è più stato verso di farmi ascoltare da te. Eri completamente sbronzo».
Dawson ricordava di aver detto all’amico che voleva farsi un paio di birre, giusto per tirarsi un po’ su di morale e per sbollire la rabbia.
Di motivi ne aveva.
Non da ultimo, il fatto di essere stato trasferito dal commissariato di Brierley Hill a un contesto molto più piccolo, in una stazione di poco conto e per di più con la più grande stronza in circolazione. Aveva l’irritante sensazione di voler guardare avanti ma di muoversi all’indietro, come se fosse seduto nel posto contrario al senso di marcia su un treno.
Non che avesse mai incontrato il suo nuovo capo, ma aveva sentito tante voci sul suo conto e sapeva che non riusciva mai a rimanere con la stessa squadra per più di un caso o due. Si era spostata in tutta la regione, più spesso della coppa del torneo di calcetto. E, per la sua esperienza, un fondo di verità doveva esserci.
Oltretutto, con i suoi vecchi colleghi si era trovato bene. Certo, non si potevano definire affabili e non si era fatto dei veri amici, ma fare parte di una squadra numerosa aveva diversi risvolti positivi. Le attenzioni non si concentravano su un’unica persona. C’erano giorni, come quello, in cui avevi i postumi di una sbronza e potevi scaricare un po’ di lavoro sugli altri senza che il capo se ne accorgesse. E poi gli era piaciuto lavorare per l’ispettore capo Church. Dawson era convinto che avrebbe potuto contare su di lui per arrivare a svolgere l’esame di detective ispettore, se avesse avuto l’opportunità di rimanere al suo fianco più a lungo. Aveva già iniziato a preparare il terreno per risaltare ai suoi occhi, con grande irritazione dei colleghi; era stato facile prendersi di tanto in tanto il merito delle fatiche altrui, o alzare la mano entusiasta per accettare un incarico e poi delegarlo a qualche docile e ignaro agente. Era una vera e propria lotta per la sopravvivenza, e lui era intenzionato a vincere.
Fino a quel momento aveva trovato il modo di abbindolare tutti i suoi superiori e non aveva alcuna intenzione di smettere sul più bello, concluse, cercando di risollevarsi il morale. Tutto ciò che doveva fare era osservarla, individuare i suoi punti deboli e sfruttarli.
«Perché sorridi?», domandò Terry, sfilandogli il cuscino da dietro la schiena. «Ieri sera eri intrattabile, bastardo».
«Oh, niente, sto solo architettando un piano».
«Be’ amico, spero che il piano includa la ricerca di un posto per dormire perché Louise ha finito il turno di notte e non sarà molto felice di trovarti sul divano al mattino, quando scenderà per mangiare i suoi cornflakes».
«Merda, Terry, non ho un posto in cui…».
«Mi dispiace amico, ma a differenza di te lei paga metà dell’affitto e come dire… vive qui».
Dawson si passò la mano nei capelli pensando a chi avrebbe potuto chiedere un letto per quella sera.
Terry si sedette in poltrona e scrollò il capo.
«Mi meraviglia che tu non possa tornare a casa, amico. Ho visto la tua signora ed è un bel pezzo…».
«Ehi», lo avvertì Dawson.
«Sai che intendo. Qualsiasi cosa sia successa fra voi due, potete sicuramente risolverla. Per una così, ne vale la pena».
Dawson infilò i calzini e le scarpe senza commentare.
In quel momento non aveva tempo di pensarci.
Era ora di andare al lavoro e di conoscere il suo nuovo capo.
E lui non vedeva l’ora.