Capitolo 12

«Ho un nome», esclamò Stacey chiudendo la telefonata con il capo.

«Ne sono felice. Il mio è Kev», rispose il collega tornando a guardare lo schermo del cellulare.

«Il nome della vittima», precisò l’agente.

«Ma non mi dire», ribatté lui, senza degnarla di uno sguardo. «Almeno mi risparmierò di perdere ore a setacciare le persone scomparse», rispose.

«Vuoi iniziare tu a cercare…?»

«No, te la caverai benissimo. Devo fare un salto fuori. Torno subito», esclamò, prendendo il soprabito.

Stacey lo guardò uscire cercando di non far trapelare il suo sconcerto. Era un suo superiore, dunque non poteva richiamarlo all’ordine, ma aveva seri dubbi sul fatto che avesse anche solo iniziato a esaminare i profili delle persone scomparse. A meno che non avesse scaricato la app sul telefono, di certo non aveva mosso un dito.

E cosa avrebbe dovuto rispondere al capo, se gliel’avesse chiesto? Doveva coprirlo o dire la verità? Non aveva ancora capito qual era la politica lì, al dipartimento di Investigazione criminale, ma quell’atteggiamento la infastidì e la spinse a chiedersi se non avesse la parola “scema” scritta in fronte.

Una vocina nella sua testa le suggerì che forse il collega aveva qualche problema personale e necessitava aiuto. O per lo meno, un po’ di tolleranza. “Tutti ne hanno bisogno di tanto in tanto, non è vero?”, si chiese, pur consapevole che stava cercando di mettere una pezza al suo atteggiamento.

Eccola lì: voler piacere a tutti, scusare tutti.

Ma la vera questione era: sarebbe finita nei guai se l’avesse taciuto al capo?

Per quel poco che aveva visto, la detective le aveva dato l’impressione di una tipa onesta e diretta. Non era accogliente o morbida. Non la si poteva certo definire premurosa, ma a Stacey non importava. Una delle cose peggiori che potevano capitarti quando volevi piacere a tutti era trovarti davanti qualcuno che non riuscivi a inquadrare, perché allora non sapevi mai se stavi facendo la cosa giusta o un grande casino. Aveva la sensazione che con la detective Stone non avrebbe dovuto attendere a lungo. E poi Stacey le era grata perché le aveva fornito una scusa per allontanarsi dalla scena del crimine. Quella concessione le aveva fatto venire voglia di tornarci con Dawson. Solo per dimostrarle che era in grado.

Dunque, in quella prima mattinata da agente investigativa aveva conosciuto la nuova squadra, aveva fatto un sopralluogo sulla scena di un delitto, aveva visto un medico legale all’opera, aveva ottenuto l’incarico di controllare i filmati delle telecamere di sorveglianza e adesso aveva un nome su cui fare ricerche.

Tutto questo, prima ancora che avesse il tempo di fermarsi ad analizzare il disagio che si era impossessato di lei quando aveva posato gli occhi sul cadavere.

Qualcosa si agitava in un angolo della sua mente, ma Stacey sapeva che non poteva correre il rischio di stanarlo, se teneva alla propria vita.