Capitolo 107
Nonostante tutti i suoi sforzi, Bryant aveva insistito per entrare insieme a lei.
Aveva provato a dissuaderlo, ma anziché perdere tempo a discutere con lui, aveva concluso che fosse meglio impiegarlo per cercare di salvare la vita della potenziale vittima.
«Va bene», esclamò, una volta dentro. «Dobbiamo dividerci. Tu occupati dell’ala amministrativa, io penserò all’altro blocco».
«Va bene», rispose lui, tendendo una mano. «Ma tieni tu la torcia».
Kim la prese senza protestare.
«Il tuo telefono ha campo?», gli chiese.
Bryant controllò il cellulare e annuì.
«Anche il mio. Se trovi qualcosa, qualsiasi cosa, chiamami. Non importa che parli, basta che mi chiami».
«Va bene, capo», ribatté il sergente, dirigendosi verso la porta che conduceva all’ala est, rischiarando i suoi passi con la luce del cellulare.
Kim illuminò l’atrio con la torcia. Dietro al banco della reception vide un paio di sedie e un piccolo schedario con i cassetti spalancati.
A un tratto, qualcosa sgattaiolò accanto al suo piede destro e sparì dietro a un armadietto che recava l’etichetta “Emergenze”. Gli animali avevano già occupato la clinica. Un edificio infestato dai ratti non la entusiasmava, ma non l’avrebbe neppure fermata.
Diresse la torcia verso il pavimento, ricoperto di moquette malva e punteggiato da piccole macchie. Le osservò con più attenzione e illuminò anche i dintorni con il fascio di luce. Le macchie erano sparse qua e là, senza un ordine preciso.
Si chinò e ne toccò una, poi avvicinò il dito alla torcia. Accidenti, il dottore stava ancora perdendo sangue.
Kim si sorprese a sperare che l’assassino l’avesse colpito alla testa. Una ferita alla testa poteva sanguinare copiosamente, pur essendo superficiale. In quella parte del corpo, i muscoli e i tessuti erano irrorati da tantissime piccole vene e arterie.
Oltrepassò la porta tenendo la torcia puntata sul pavimento, sperando di trovare una scia di sangue che la conducesse dritta alla scena del delitto.
«Dannazione», esclamò a voce alta. La traccia si interrompeva. Se l’assassino aveva proseguito in quella direzione, doveva essersi accorto che il sangue lo avrebbe tradito.
Illuminò il corridoio, che sembrava una galleria culminante in una curva. Si ricordò che la forma e la disposizione di quell’ala dell’edificio le erano sembrate quelle di una ciambella. Le sedie per i pazienti in attesa di farsi visitare negli ambulatori erano ancora allineate lungo le pareti. Alle bacheche tra una porta e l’altra erano affissi manifesti che illustravano i comportamenti dannosi per la salute.
Diresse il fascio di luce verso il tabellone alla sua sinistra, con l’ubicazione dei vari reparti.
Le frecce indicavano la direzione degli ambulatori per gli interventi non chirurgici, come iniezioni di botulino, trattamenti per le rughe, trucco permanente, peeling chimico e microdermoabrasione, che a giudicare dai nomi sembravano troppo dolorosi per non richiedere un’anestesia.
Un’altra freccia indicava la sala operatoria, dove si effettuavano interventi su qualunque parte del corpo umano.
Dove diavolo aveva portato la sua vittima? Kim lesse nuovamente i nomi degli ambulatori e degli interventi disponibili. E poi, come poteva percorrere quel corridoio senza farsi sentire, se doveva accorrere per salvare la vita del dottore?
A un tratto ebbe la sensazione che il tempo stesse per scadere. Stava camminando in punta di piedi per non farsi sentire. Grazie a un rapido calcolo, però, concluse che in quell’ala ci fossero più di trenta stanze.
Si fermò prima di spingersi troppo avanti. Il suo obiettivo primario, in quel momento, era salvare la vita del dottor Lambert. Catturare l’assassino veniva subito dopo.
Si voltò indietro verso la doppia porta e capì che stava sbagliando tutto.