Capitolo 109

Kim iniziò a correre, spalancando tutte le porte che incontrava sul proprio cammino per illuminarne l’interno con la torcia. Le stanze contenevano ciò che rimaneva dell’antica clinica: una scrivania solitaria, una sedia, scatole di guanti e di siringhe.

Anche se il suo piano alla fine avesse funzionato, ci stava impiegando troppo tempo. Se pure l’assassino fosse fuggito, il dottor Lambert nel frattempo poteva morire dissanguato.

“Pensa, pensa”, si ripeteva. Quale luogo poteva scegliere il killer per ribadire il suo messaggio? Qual era la stanza più importante dell’edificio?

La sala operatoria.

Ripensò al tabellone con le indicazioni e ricordò che si trovava oltre la curva, più o meno a metà corridoio.

Lasciò cadere il megafono e a quel tonfo un’ombra sgattaiolò via poco più avanti. Kim tentò di non pensarci e affrettò il passo, tenendo la torcia puntata a terra e alzandola solo per illuminare la segnaletica.

Era a poco più di cinque metri dall’ingresso della sala operatoria quando sentì un rumore. Rallentò, cercando di placare il suo respiro affannoso. Si fermò un secondo davanti alla porta, dopodiché prese fiato e la spalancò.

Si trovò in una piccola anticamera che conduceva nella stanza sterile. Le bastò muovere due passi per vedere una sagoma che si contorceva sul pavimento.

Le corse incontro e la illuminò con la torcia. Il dottor Lambert aveva gli occhi sbarrati per la paura e per il dolore. I suoi lamenti angosciosi erano attutiti dal bavaglio che gli segava le guance. Dalla nuca partiva un rivolo di sangue, ma non era quello il motivo della sua sofferenza.

Gli avevano calato i pantaloni e le mutande fino alle caviglie e dai genitali il sangue stillava sulle cosce.

Kim si chinò e gli tolse il bavaglio. Dalla bocca del medico uscì un gemito disperato.

«Polizia», esclamò. «Adesso è salvo. Ha visto da che parte è andato?».

Il dottor Lambert scosse la testa, poi lanciò un lamento e la abbandonò sul petto.

Kim gli passò le mani sotto la schiena e sciolse il nodo che gli immobilizzava i polsi. Lui si portò subito le mani al pube.

Gridò. «Che diavolo…?»

«Cerchi di non muoversi troppo, stanno arrivando i soccorsi».

L’uomo rovesciò gli occhi all’indietro e in quel momento la detective udì un rumore provenire dal corridoio. Puntò la torcia verso la porta e vide comparire il collega sulla soglia.

«Bryant, rimani con il dottore», gli disse, lanciando un’occhiata alle ferite. «E aiutalo ad applicare pressione».

Bryant si inginocchiò al suo fianco senza battere ciglio.

«Cosa hai intenzione di fare, capo?», domandò, premendo entrambe le mani sulla zona dei genitali.

«Vado a cercare l’assassino».