Capitolo 61

Guardando quel corpo decapitato, a Kim venne in mente la scena di un film horror di serie B. Peccato che in quel caso non avessero utilizzato il lattice, né la vernice rossa o il succo di pomodoro. Quelli erano muscoli veri, pelle, carne, vene recisi di netto, mozzati dopo avere inferto la ferita mortale.

Kim sapeva che l’ombra di tristezza che scorgeva negli occhi aperti, spalancati a fissare il cielo, era solo frutto della sua immaginazione. Con la morte i muscoli si rilassavano, ogni emozione scivolava via.

Quello che vedeva era solo il riflesso della sua stessa tristezza; tristezza per quella giovane vita spezzata, ma ancor più perché non erano riusciti a trovarla in tempo.

Si era persino chiesta se Hayley fosse responsabile dell’omicidio di Luke Fenton, ma non era riuscita a trovare alcun punto di contatto con la vicenda di Redland Hall. Adesso non era più necessario. Hayley, come Luke, era stata il bersaglio dell’odio di una terza persona.

«Chi l’ha trovata?», domandò Kim.

Con un cenno del capo Keats indicò un uomo sulla settantina seduto su un gradino, con un Jack Russell alla sua sinistra e un piccolo sacchetto nero alla sua destra.

Kim lanciò un’occhiata a Bryant, che recepì il messaggio e gli si avvicinò.

«Stesso modus operandi?», chiese a Keats.

«Simile», rispose. «Ma la ferita da taglio alla gola in proporzione mi sembra più corta. È stata decapitata dopo la morte. E in modo molto meno raffinato».

«Prosegui», esclamò Kim, facendo un passo avanti. Ogni gesto dell’assassino poteva rivelarle qualcosa.

Il medico legale indicò vari punti del collo reciso. «È stato più maldestro dell’altra volta. Ha fatto alcuni tentativi».

«Colpa della fretta?», chiese lei.

Keats fece spallucce. «Non sta a me dirlo».

Se l’assassino aveva urgenza di concludere il lavoro, perché perdere tempo a decapitare la donna? La ferita alla gola l’aveva già uccisa.

Quale messaggio si nascondeva dietro a quella testa tagliata?

«E avrai notato l’assenza di…».

«Mutilazioni genitali», concluse al posto suo. I jeans erano intatti e la stoffa non era macchiata.

«L’ha colpita alla testa?»

«Non l’abbiamo ancora spostata per appurarlo», rispose, e in quel momento Bryant ricomparve al loro fianco.

«Albert Thomas», disse, riferendosi all’uomo che si stava alzando in piedi con l’aiuto di un agente. «Settantasei anni. Porta il cane a spasso in questa strada tutte le mattine, si era avvicinato ai bidoni per buttare il sacchetto con i bisogni di Golia».

Kim lanciò un’occhiata al minuscolo cagnolino.

«Golia?», chiese, inarcando un sopracciglio.

«Un nome ambizioso, capo», rispose Bryant. «Ho preso i suoi dati, ma non credo sia il nostro uomo. Ha le mani ridotte così male dall’artrite che farebbe fatica a tagliare una fetta di pane, figurarsi la testa di una persona».

Vero, ma avrebbero comunque fatto qualche controllo.

Kim si rivolse nuovamente a Keats, mentre Roy andava loro incontro con le buste trasparenti per raccogliere gli effetti personali.

«Ora?»

«Quasi le undici, detective Stone», rispose lui, guardando l’orologio.

«Del decesso», precisò.

«Sicuramente prima delle dieci e un quarto, quando sono arrivato io».

Kim non commentò.

Lui scosse il capo, rimproverandole la sua mancanza di senso dell’umorismo. «Direi fra le diciannove e la mezzanotte di ieri».

«Grazie. E quando farai…?»

«Ci vediamo alle quattro».

«Così presto?»

«Giornata fiacca per le morti sospette, ma ovviamente se…».

«Ci vediamo lì», esclamò lei, voltandosi verso Roy, che stringeva in mano tre buste trasparenti.

«Bancomat, telefono e una banconota da cinque sterline».

Kim prese i sacchetti e li osservò. Gliene restituì due. «Questo lo tengo», lo avvertì, sollevando la busta con il telefono.

«Ma dobbiamo portarlo al…».

«Questo viene con me», disse lei, senza lasciare spazio a repliche; poi girò i tacchi e si avviò verso l’auto.

«Capo, ho una domanda», disse Bryant, affrettando il passo per raggiungerla.

«Non devi avvertirmi. Fammela e basta».

«Dove vive? Dove sono le chiavi di casa sua?».

Alla detective non sembrava una questione di importanza vitale. Non si era neppure posta la domanda. Esisteva qualcosa di infinitamente più prezioso che Hayley solitamente portava con sé. E a cui al momento dovevano dare la massima priorità.

«Non sono l’unica cosa che manca, non è vero, Bryant? Dov’è la sua bambina di nove anni?».