Capitolo 63
Adesso che conosceva per intero la storia di Hayley, Stacey non poteva fare a meno di sentirsi una bambina viziata.
Dopo la chiamata del capo le erano bastati pochi minuti per mettere insieme un riassunto della sua vita, ma non aveva ancora trovato niente che potesse aiutarla a rintracciare la figlia di nove anni, la piccola Mia.
Hayley Smart era nata nel 1987 e a soli due mesi era stata affidata ai servizi sociali dalla madre sedicenne. Niente stava a indicare che negli anni avessero riallacciato i rapporti.
Seguiva un elenco di famiglie affidatarie e di case famiglia, finché Hayley, alla stessa età in cui la madre l’aveva abbandonata, non era scomparsa dai registri dei servizi sociali.
Più andava avanti, più Stacey si sentiva sprofondare nella tristezza.
Essendo figlia unica, cresciuta con entrambi i genitori all’interno della comunità nigeriana di Dudley e dintorni, amore e protezione non le erano mai mancati. Persino a scuola, quando a causa del colore della pelle si era dovuta scontrare per la prima volta con la cattiveria e l’isolamento, poteva contare sul fatto che una volta tornata a casa avrebbe ritrovato l’abbraccio rassicurante e affettuoso della sua famiglia.
Mentre leggeva la storia di Hayley Smart, Stacey si ritrovò a desiderare un lieto fine impossibile. Nei film e nelle serie televisive il protagonista, nonostante le avversità, alla fine trovava quasi sempre la felicità. A ogni nuova famiglia affidataria, Stacey si sorprese a sperare che fosse l’ultima, che quella ragazza avesse finalmente trovato un luogo in cui sentirsi amata e protetta.
E adesso era morta. Non ci sarebbe stato nessun lieto fine.
Il primo incontro di Hayley con la polizia risaliva ai suoi diciassette anni. L’avevano arrestata per taccheggio. Da allora non si era più fermata e negli anni successivi era stata portata dentro sette volte per reati che andavano dall’aggressione al furto con scasso, scontando diverse condanne anche consistenti.
Stacey si mangiò le mani per non aver fatto una ricerca sulla loro banca dati, pur conoscendo solo il nome di battesimo e il segno particolare della voglia sul viso. Non sapeva se ne avrebbe cavato qualcosa, a ogni modo, o se il capo l’avrebbe considerata una perdita di tempo. Quella settimana la sua curva di apprendimento aveva subìto un’impennata, pensò mentre leggeva.
Hayley in seguito era scomparsa dai radar per un paio d’anni; bastò fare la sottrazione per capire che in quel periodo era nata sua figlia. Da allora, le segnalazioni si limitavano a piccoli furti.
Stacey aveva sempre creduto che qualsiasi crimine comportasse inevitabilmente delle vittime. C’era sempre qualcuno che ne soffriva, che ne pagava le conseguenze in termini di violenza, di paura, di dolore, anche quando il danno si limitava a un po’ di merce che mancava dagli scaffali di un negozio alla sera. C’era sempre qualcuno che subiva una perdita.
Allo stesso tempo, era convinta che alcuni fossero mossi da un vero e proprio istinto di sopravvivenza. Persone disperate che erano costrette a delinquere per tirare avanti. Non volevano fare del male a nessuno, né prendere più di quanto abbisognasse, stavano semplicemente cercando di cavarsela.
Hayley, a quanto pareva, apparteneva a quest’ultima categoria.
Da quando era diventata mamma, era andata dentro solo in tre occasioni, per brevi periodi; l’ultima risaliva a meno di un anno prima.
Stacey notò che ogni volta aveva fornito un indirizzo diverso. Forse Hayley non aveva mai avuto una fissa dimora?
Il capo le aveva detto di dare la precedenza alla ricerca del suo ultimo indirizzo. La piccola Mia, forse, era a casa tutta sola. Dovevano trovarla. Era al sicuro? Era con Hayley quando era stata uccisa? Forse l’assassino l’aveva portata con sé? Infine, la domanda più temuta. Era ancora viva?
L’agente scacciò quei pensieri e annotò i tre indirizzi collegati al nome di Hayley.
Stacey sperava ardentemente che Mia si trovasse in una di quelle case, sana e salva.