Capitolo secondo
Sebbene il caporale avesse scrupolosamente mantenuto la promessa di mettere nei cannelli i riccioli della grande parrucca alla Ramillies dello zio Tobia, il tempo era tuttavia troppo breve perché se ne potessero produrre effetti di rilievo: essa era rimasta per molti anni schiacciata nell’angolo del suo vecchio baule da campagna; e siccome non è tanto facile aver ragione di brutte spiegazzature, e l’uso dei mozziconi di candele non è conosciuto a dovere, la faccenda non era tanto semplice quanto si sarebbe desiderato. Il caporale, con occhio allegro e con entrambe le braccia allargate, si era tirato indietro a perpendicolo da essa una ventina di volte per ispirarle, se possibile, un’aria migliore; se sua signoria l’Umor nero le avesse dato un’occhiata, essa le. sarebbe costato un sorriso: s’arricciava dappertutto tranne dove avrebbe voluto il caporale; e là dove, secondo lui, un ricciolo o due le avrebbero fatto fare una bella figura, egli avrebbe fatto prima a risuscitare un morto.
Così essa era, o piuttosto così sarebbe apparsa su qualsiasi altra fronte; ma la dolce espressione di bontà che spirava sulla fronte dello zio Tobia assimilava così sovranamente a sé ogni cosa che vi stava attorno, e per di più la Natura aveva scritto con così bella calligrafia “Gentiluomo” in ogni lineamento del suo volto, che perfino il berretto con le offuscate filettature d’oro e l’enorme coccarda di afflosciato taffettà gli stavano bene. E sebbene non valessero un bottone di per sé, bastava tuttavia che li indossasse lo zio Tobia perché diventassero oggetti seri e nel complesso sembrassero essere stati scelti dalle mani della Scienza perché risaltassero a suo vantaggio.
Nulla al mondo avrebbe potuto contribuire con maggiore efficacia a questo fine quanto la divisa azzurra e oro dello zio Tobia, se la Quantità non fosse stata in una certa misura necessaria alla Grazia: in un periodo di quindici o sedici anni dacché era stata fatta, per via della totale inattività nella vita dello zio Tobia, in quanto di rado s’era spinto oltre il campo di bocce, la sua divisa azzurra e oro gli era diventata così miserevolmente troppo stretta, che solo con estrema difficoltà il caporale riuscì a farcelo star dentro. I tentativi di ravvivare i colori sulle maniche non erano serviti a nulla. Tuttavia, essa era ornata di fregi lungo il dorso e sulle cuciture laterali, ecc., secondo la moda del regno del re Guglielmo; e, per farla breve, essa splendeva tanto contro il sole quella mattina e aveva in essa un’aria così metallica e così prode, che se lo zio Tobia avesse pensato di attaccare con una corazza, nulla gli avrebbe meglio ingannato l’immaginazione.
Quanto alle brache di fine stoffa scarlatta, esse erano state scucite dal sarto tra le gambe e lasciate in disordine.
— Sì, signora, ma teniamo a freno la fantasia. Basti dire che erano state considerate inutilizzabili la sera prima e che, siccome non v’era altra alternativa nel guardaroba dello zio Tobia, egli uscì con quelle di felpa rossa.
Il caporale s’era abbigliato con la divisa di reggimento del povero Le Fever, e, con i capelli raccolti sotto la sua montiera, ch’egli aveva tutta riassettata per l’occasione, marciava a tre passi di distanza dal suo padrone. Un soffio d’orgoglio militare gli aveva messo gli sbuffi ai polsini della camicia, e da un polso, in una correggiuola di pelle nera terminante con un nappino sotto il nodo, pendeva il bastoncino da caporale. Lo zio Tobia portava il suo bastone come una picca.
“Se non altro fanno una bella figura”, disse mio padre tra sé.