Capitolo venticinquesimo
La ferita all’inguine che lo zio Tobia riportò all’assedio di Namur, rendendolo inabile al servizio militare, fu reputata motivo sufficiente per farlo tornare in Inghilterra affinché egli potesse rimettersi in sesto.
Per quattro anni fu totalmente confinato in parte a letto e sempre in camera sua; e durante la cura, che si protrasse per tutto quel tempo, egli patì indicibili sofferenze dovute a un succedersi di esfogliazioni dell’os pubis e del lato esterno di quella parte del coxendix chiamata os ilium. Queste due ossa erano state orribilmente fratturate sia dalla forma irregolare della pietra che, come vi dissi, era stata divelta dal parapetto, sia dalla sua mole (sebbene non fosse poi tanto grossa), il che aveva sempre indotto il chirurgo a pensare che la grave ferita riportata dallo zio Tobia all’inguine fosse dovuta più al peso della pietra che alla sua forza propulsiva, e ciò, come spesso gli diceva, era stata una grande fortuna.
Mio padre a quel tempo stava appunto cominciando il suo commercio a Londra e vi aveva preso una casa. E siccome tra i due fratelli esisteva l’amicizia e la cordialità più sincera, e poiché pensava che in nessun luogo lo zio Tobia sarebbe stato curato e assistito meglio che in casa sua, mio padre gli assegnò la camera migliore della propria casa. E, segno ancor più tangibile del suo affetto, non avrebbe mai tollerato che un amico o un conoscente entrasse in casa, in qualsiasi circostanza, senza prenderlo per mano e accompagnarlo di sopra a vedere suo fratello Tobia e a chiacchierare un’oretta al suo capezzale.
Un soldato che racconti la storia della propria ferita ne ha il dolore alleviato; per lo meno così pensavano i visitatori di mio zio. E quindi per la cortesia che derivava da questa credenza, nelle loro visite giornaliere portavano frequentemente il discorso su quell’argomento, e da questo il discorso scivolava generalmente sullo stesso assedio.
Queste conversazioni erano infinitamente cortesi; e lo zio Tobia ne traeva grande sollievo, e ne avrebbe tratto ancor di più, se esse non l’avessero messo in impreviste perplessità, che per tre mesi interi ritardarono molto la cura; e s’egli non avesse escogitato un espediente per districarsene, credo davvero che lo avrebbero portato alla tomba.
È impossibile che voi possiate immaginare quali fossero queste perplessità dello zio Tobia. Se lo poteste, arrossirei; non come parente, non come uomo e nemmeno come donna, ma arrossirei come autore: poiché è mio non piccolo vanto che fin qui il mio lettore non abbia saputo ancora indovinare nulla. E in ciò, signore, ho un temperamento così schizzinoso e singolare, che se pensassi che voi foste in grado di farvi la minima idea o di avanzare un’ipotesi plausibile su quanto accadrà nella prossima pagina, la strapperei dal mio libro.