Capitolo ventiseiesimo
Che gran tratto di paese ho percorso! di quanti gradi sono avanzato verso il caldo sole, e quante belle e grandi città ho visto mentre voi leggevate e riflettevate, signora, su questa storia! Vi sono Fontainebleau e Sens e Joigny e Auxerre e Digione, capitale della Borgogna, e Chalons e Macon, capitale del Maconnese, e un’altra ventina di città poste sulla strada per Lione. E ora che le ho attraversate, sarebbe come parlarvi di altrettante città sedi di mercato nella luna se volessi dirvi una parola su di esse: questo capitolo, se non questo e quello successivo, sarà per lo meno interamente sprecato, per quanto io faccia.
— Ebbene, è una storia ben strana! Tristram.
— Ahimè! signora, se il contenuto fosse stato qualche malinconica lezione sulla croce, sulla pace che dà la mansuetudine o sull’appagamento che dà la rassegnazione, non mi sarei trovato a disagio. O se avessi pensato di scriverla sui più puri rapimenti dell’anima e su quel cibo di saggezza, santità e contemplazione di cui lo spirito dell’uomo (una volta separato dal corpo) dovrà pascersi in eterno, voi ne avreste ricavato un miglior appetito.
— Vorrei non averlo mai scritto: ma siccome non ho mai cancellato nulla, proviamo a usare qualche sistema onesto per farcelo subito dimenticare.
— Per favore, passatemi il mio berretto da buffone. Temo che ci siate seduta sopra, signora; è sotto il cuscino. Me lo metterò.
— Santo cielo! Ma è mezz’ora che ce l’avete in testa.
— Allora lasciamocelo, con un
Trallallera, trallallà
Trallallera, trallallà
pum, patapum, patapà.
E adesso, signora, possiamo avventurarci, spero, ad andare un po’ avanti.