Capitolo secondo
Quando sostenete l’onere di organizzare un trattenimento di questo genere, nulla è tanto sciocco quanto il predisporre le cose così male da offrire ai vostri critici e alle persone di gusto raffinato il pretesto per stroncarlo. Né esiste cosa più adatta a provocare questa reazione quanto l’escluderli dalla festa o, il che è ancor più offensivo, il dedicare le vostre attenzioni agli altri ospiti in modo così esclusivo, come se a tavola non si trovasse nulla di quella cosa che è un critico (di professione).
Io sto in guardia contro entrambe le cose; infatti, in primo luogo, ho appositamente lasciato una mezza dozzina di posti liberi per loro; e in secondo luogo farò loro la massima corte: Signori, vi bacio le mani, e vi assicuro che nessuna compagnia potrebbe darmi metà del piacere della vostra; sull’anima mia sono felice di vedervi; vi prego soltanto di non sentirvi estranei, ma di sedervi senza cerimonie, e di satollarvi a piacere.
Ho detto di aver lasciato liberi sei posti, ed ero sul punto di spingere la mia compiacenza tanto lontano da riservarne loro un settimo, precisamente questo nel quale sto io; ma avendomi detto un critico (sebbene non di professione, ma per natura) che m’ero comportato abbastanza bene, voglio occuparlo difilato sperando allo stesso tempo d’essere in grado d’avere maggior spazio l’anno venturo.
— Ma, in nome di Dio! Come mai vostro zio Tobia che, a quanto sembra, era un militare, e che voi ci avete descritto come tutt’altro che sciocco, poteva essere allo stesso tempo confusionario, pasticcione e intontito… come…
— Andate a vedere.
Così, signor critico, avrei potuto rispondere; ma io sdegno tale linguaggio. Esso è inurbano e s’addice solo a chi non può dare una chiara e soddisfacente nozione delle cose o non sa penetrare a fondo nelle cause prime dell’umana ignoranza e della confusione. Questa è per giunta una risposta spavalda, e quindi la respingo, benché avrebbe potuto eccellentemente adattarsi alla natura soldatesca dello zio Tobia; e s’egli non si fosse abituato, in caso di simili attacchi, a fischiare il Lillabullero, poiché non mancava di coraggio, questa sarebbe stata l’esatta risposta che avrebbe dato; ma essa non avrebbe assolutamente fatto per me. Voi vedete con la massima chiarezza ch’io scrivo da erudito; che persino le mie similitudini, le mie allusioni, le mie spiegazioni, le mie metafore sono erudite, e che io devo sorreggere appropriatamente la mia personalità e metterla in contrasto altrettanto appropriatamente, altrimenti che ne sarebbe di me? Diamine, signore, sarei rovinato: in questo preciso istante in cui sto qui, occupando un posto tolto a un critico, creerei un’occasione favorevole per un paio d’essi.
Perciò rispondo come segue:
— Scusate, signore, in tutte le letture che voi avete fatto avete mai letto un libro quale il Saggio sull’intelletto Umano di Locke? Non rispondete affrettatamente, perché molti, lo so, citano il libro senza averlo mai letto, e molti di quelli che l’hanno letto non l’hanno capito. Se vi trovate in uno di questi due casi, poiché io scrivo per istruire vi dirò in tre parole di che tratta il libro: esso è una storia.
— Una storia! di chi? di che cosa? di dove? di quando?
— Non siate precipitoso. È un libro di storia, signore (il che può raccomandarlo al mondo) di ciò che passa nella mente dell’uomo; e se tanto saprete dire del libro, e niente di più, credetemi, farete una figura tutt’altro che disprezzabile in un circolo di metafisici.
Ma questo sia detto per inciso.
Ora, se volete avventurarvi con me a guardare nel fondo della questione, si scoprirà che la causa dell’oscurità e della confusione nella mente umana è triplice.
Organi torpidi, caro signore, innanzi tutto. In secondo luogo impressioni superficiali e fugaci prodotte dagli oggetti, quando i detti organi non sono torpidi. E, in terzo luogo, una memoria come un setaccio, incapace di trattenere quanto ha ricevuto.
Fate scendere Dolly, la vostra cameriera, e io sono pronto a darvi il mio berretto a sonagli se non renderò questa materia così chiara, che la stessa Dolly potrà capirla non meno bene di Malebranche [80]. Quando Dolly ha redatto la sua epistola a Robin e ha ficcato il braccio in fondo alla tasca che le pende al fianco destro, approfittatene per ricordarvi che gli organi e le facoltà percettive possono come null’altro al mondo essere così appropriatamente esemplificati e spiegati come ciò che la mano di Dolly sta cercando. I vostri organi non sono torpidi al punto che io debba informarvi, signore, che si tratta di un pezzo da un pollice di ceralacca rossa.
Quando questa è sciolta e lasciata cadere sulla lettera, se Dolly andrà frugando qua e là troppo a lungo in cerca del suo ditale, finché la cera si sarà troppo indurita, questa non potrà ricevere l’impronta del ditale con l’usuale pressione che solitamente era richiesta per imprimerlo. Benissimo. Se la ceralacca di Dolly, in mancanza di meglio, è cera d’ape o di tempra troppo molle, benché questa possa ricevere l’impronta, non la conserverà, per quanto forte Dolly prema su di essa. E finalmente, supponendo che la cera sia buona, e anche il ditale, ma applicati con sbadata frettolosità perché la padrona suona il campanello, in ognuno di questi tre casi l’impronta lasciata dal ditale sarà così dissimile dal prototipo come l’effigie del sovrano su una monetina consunta.
Ora, dovete capire che nessuna di queste tre era la vera causa della confusione nei discorsi dello zio Tobia; e proprio per questa ragione io, alla maniera dei grandi fisiologi, mi ci dilungo tanto sopra per dimostrare al mondo da che cosa essa non scaturiva.
Da che cosa scaturiva l’ho accennato in precedenza, e si tratta e si tratterà sempre d’una feconda sorgente d’oscurità, cioè dell’uso irregolare delle parole, che ha messo in imbarazzo le intelligenze più chiare e più elevate.
Scommetto dieci contro uno (dico a voi dell’Arthur’s Club [81]) che non avete mai letto le storie letterarie delle età passate; ma se le avete lette, quali terribili battaglie, appellate logomachie, hanno esse suscitato e perpetuato con tanto spandimento di bile e d’inchiostro, che una persona d’animo sensibile non può leggerne le relazioni senza aver le lacrime agli occhi.
Gentile critico! quando avrai soppesato tutto ciò e considerato in cuor tuo quanta parte della tua scienza, delle tue dissertazioni e delle tue conversazioni è stata tormentata e scombussolata, in un dato momento o in un altro, da ciò e soltanto da ciò; quale sia stato il rimestamento e lo schiamazzo nei Concili intorno a ούσία e πόστασις [82], e nelle Scuole dei dotti intorno a energia e intorno a spirito, intorno a essenze e intorno a quintessenze, intorno a sostanze e intorno a spazio; quale confusione ci sia stata nei maggiori Teatri a causa di parole di poco significato e di senso altrettanto indeterminato! quando considererai tutto ciò non ti meraviglierai più delle perplessità dello zio Tobia, verserai una lacrima di compassione sulla sua scarpa e sulla sua controscarpa, sul suo spalto e sul suo camminamento, sul suo rivellino e la sua mezzaluna. Non dalle idee, vivaddio!… la sua vita fu posta in pericolo dalle parole.