Capitolo ventisettesimo

«Sacr … … … … …! Sacr … … … … …!» gridò Futatorio, come tra sé, ma abbastanza forte da essere udito, e, ciò che parve strano, questo fu proferito con un atteggiamento del viso e con un tono di voce che stavano tra quelli di chi sia sbalordito e quelli di chi soffra fisicamente.

Uno o due dei presenti che avevano ottimo orecchio e sapevano distinguere l’espressione e la mescolanza dei due toni con la stessa facilità di una terza o di una quinta o di e perplessi altro accordo musicale, ne furono i più imbarazzati e perplessi. L’accordo era buono di per sé stesso, ma in quel momento del tutto fuori chiave e in nessun modo applicabile all’argomento iniziato; cosicché, con tutta la loro scienza, non seppero assolutamente spiegarselo.

Altri, che ignoravano tutto dell’espressione musicale, e che prestavano orecchio soltanto al semplice significato della parola immaginarono che Futatorio, ch’era di carattere un tantino collerico, fosse sul punto di strappare il bastone di mano a Didio allo scopo di legnare Yorick per qualche motivo, e che il disperato quadrisillabo Sacr… fosse l’esordio di un’orazione che, come giudicarono da quel saggio, lasciava presagire per lui soltanto un genere di trattamento senza riguardi; cosicché quell’anima buona dello zio Tobia provò una stretta al cuore per ciò che Yorick stava per subire. Ma, vedendo Futatorio fermarsi di botto, senza nessun tentativo o desiderio di andar oltre, un terzo gruppo cominciò a supporre che si trattasse solo di un involontario sospiro strutturatosi casualmente nella forma di un’imprecazione da quattro soldi, senza che ve ne fosse il peccato o la sostanza.

Altri, e specialmente uno o due che gli sedevano accanto, la considerarono al contrario una bestemmia reale e sostanziale, formulata espressamente all’indirizzo di Yorick, per il quale egli notoriamente non nutriva alcuna simpatia; In quale detta bestemmia, secondo le deduzioni filosofiche di mio padre, doveva proprio in quel momento ribollire nelle regioni superiori della corata di Futatorio; e perciò fu naturalmente e secondo il debito corso delle cose schizzata fuori dall’improvviso afflusso di sangue ch’era stato spinto nel ventricolo destro del cuore di Futatorio per effetto dello stupore che una così strana teoria del predicare aveva suscitato.

Quanto sottilmente argomentiamo su fatti erronei!

Non ci fu un’anima affaccendata in tutti questi vari ragionamenti intorno al quadrisillabo che Futatorio aveva proferito la quale non desse per sicuro, traendone illazioni come da un assioma, che la mente di Futatorio fosse stata intenta all’argomento del dibattito che stava scaturendo tra Didio e Yorick; e difatti, poiché egli guardò prima verso l’uno e poi verso l’altro con l’aria di chi è attento a quel che ne sarebbe seguito, chi non avrebbe pensato la stessa cosa? Ma per la verità, Futatorio non aveva capito né una parola né una sillaba di quanto stava accadendo; tutti i suoi pensieri e tutta la sua attenzione erano concentrati su un affare che in quello stesso istante andava progredendo entro i confini delle proprie brache, e in una parte d’esse in cui fra tutte egli aveva il massimo interesse a badare a possibili accidenti. Cosicché, nonostante guardasse con tutta l’attenzione di questo mondo e avesse gradualmente irrigidito ogni nervo e muscolo facciale fino all’estremo limite di tensione sopportabile, allo scopo, come si pensava, di dare una brusca risposta

«Yorick che gli sedeva di fronte, pure, dicevo, Yorick non era entrato neppure per un attimo in nessun abitacolo del cervello di Futatorio, e la vera causa della sua esclamazione risiedeva almeno un metro più in basso.

Tenterò di spiegarvelo con ogni decenza immaginabile.

Dovete dunque sapere che Gastrifere, il quale aveva fatto un giro in cucina poco prima del pranzo per vedere come andavano le cose, notando sulla credenza una cesta di vimini piena di belle castagne, aveva ordinato che un cento o duecento fossero arrostite e portate a tavola non appena il pranzo fosse finito; Gastrifere aveva reso perentori i suoi ordini al riguardo per il fatto che Didio, ma soprattutto Futatorio, ne erano particolarmente ghiotti.

Circa due minuti prima del momento in cui lo zio Tobia interruppe l’arringa di Yorick, le castagne di Gastrifere erano state portate in tavola, e siccome la passione di Futatorio per esse stava in cima ai pensieri del servitore, questi le aveva subito poste davanti a Futatorio avvolte ben calde in un candido tovagliuolo di damasco.

Ora, non so se fosse fisicamente impossibile, con una mezza dozzina di mani tutte contemporaneamente ficcate nel tovagliuolo, che una certa singola castagna, di maggior vitalità e rotondità delle altre, fosse potuta esser messa in moto; certo è, tuttavia, che accadde che una fosse realmente mandata a rotolare giù dalla tavola; e siccome Futatorio sedeva esattamente sotto a gambe divaricate, essa cadde perpendicolarmente in quella particolare apertura delle brache di Futatorio, per la quale, sia detto a vergogna e sconvenienza del nostro linguaggio, non esiste una sola parola casta in tutto il dizionario del Johnson. Basti dire che si trattava di quella particolare apertura che, in tutte le buone società, le norme della decenza esigono tassativamente che, come il tempio di Giano (per lo meno in tempo di pace), sia tenuta universalmente chiusa.

L’inosservanza di questa formalità da parte di Futatorio (il che, sia detto per inciso, dovrebbe servire da ammonimento a tutto il genere umano) aveva dato adito a questo accidente.

Lo chiamo accidente per condiscendenza verso un modo di parlare ormai accolto, ma non minimamente in contrasto con l’opinione al riguardo sia di Acrite sia di Mitogera. So ch’essi ne erano entrambi prevenuti e pienamente persuasi, e lo sono ancora oggi, che nell’intero avvenimento non vi fosse nulla di accidentale; ma il fatto che la castagna avesse preso quella direzione particolare, e in un certo senso di propria iniziativa, e poi fosse caduta, con tutto il suo bollore, direttamente in quel dato particolare posto e non in un altro, era una reale punizione divina inflitta a Futatorio per quel sudicio e osceno trattato De concubinis retinendis, che Futatorio aveva pubblicato circa vent’anni prima e di cui s’accingeva in quella medesima settimana a dare al mondo una seconda edizione.

Non è affar mio intinger la penna in questa controversia; indubitabilmente molto può essere scritto sui due aspetti della questione; la sola cosa di cui mi preoccupo come storico è il rappresentare il dato di fatto e renderlo credibile al lettore, e cioè che la lacuna nelle brache di Futatorio era sufficientemente larga da ricevere la castagna; e che la castagna, in un modo o nell’altro, vi cadde dentro a perpendicolo e calda bollente, senza che né Futatorio né altri se ne accorgessero sul momento.

Il mite calore che comunicò la castagna non fu sgradevole per i primi venti o venticinque secondi e altro non fece se non richiamare delicatamente l’attenzione di Futatorio verso quella parte. Ma poiché il calore veniva gradatamente aumentando e dopo pochi secondi era andato oltre il punto d’ogni moderato piacere ed era poi avanzato a tutta velocità nelle regioni del dolore, l’anima di Futatorio e insieme tutte le sue idee, i suoi pensieri, la sua attenzione, la sua immaginazione, giudizio, risoluzione, determinazione, raziocinio, memoria, fantasia e altri dieci battaglioni di spiriti animali tumultuosamente si affollarono tutti in basso, attraverso stretti passaggi e circuiti, sul luogo del pericolo, lasciando, come potete immaginare, tutte le sue regioni superiori vuote come il mio borsellino.

Nonostante le migliori informazioni che tutti questi messaggeri poterono fornirgli, Futatorio non riuscì a penetrare il segreto di ciò che stava accadendo sotto, né poté fare la minima congettura su che diavolo gli stesse capitando. Tuttavia, poiché ignorava quale potesse rivelarsi la vera causa, giudicò che fosse della massima prudenza, nella situazione in cui si trovava in quel momento, di sopportare possibilmente la cosa come uno stoico; il che, con l’aiuto di qualche smorfia e di qualche boccaccia, gli sarebbe certamente riuscito, se la sua immaginazione si fosse mantenuta neutrale; ma in faccende del genere la foga dell’immaginazione è incontrollabile: nella mente gli balenò improvviso il pensiero che, sebbene il tormento si presentasse come una sensazione di calore ardente, poteva trattarsi, ciò nonostante, tanto di una scottatura quanto di un morso; e in questo caso, poteva darsi che un tritone o una salamandra o qualche altro ripugnante rettile del genere vi si fosse arrampicato e stesse ficcando i suoi denti… Quest’orrido pensiero, insieme con un nuovo avvampante dolore cagionato in quell’istante dalla castagna, gettò Futatorio in preda a un improvviso terror panico, e, nel subitaneo terribile disorientamento, com’è accaduto ai migliori generali della terra, gli fece completamente perdere la padronanza di sé; ciò ebbe per effetto ch’egli bastasse incontanente in piedi, proferendo come s’alzava quell’interiezione di stupore tanto commentata, seguita dalla pausa aposiopeica [226] trascritta cosí: Sacr…, la quale, sebbene non rigorosamente canonica, era pur tuttavia il meno che un uomo in simile circostanza potesse lasciarsi sfuggire, e che, incidentalmente, canonica o no, Futatorio non poté reprimere più di quanto non avesse potuto evitarne la causa.

Sebbene questo abbia richiesto un certo tempo per narrarlo, nel suo svolgersi esso durò quel tanto che bastava perché Futatorio tirasse fuori la castagna e la scagliasse con violenza sul pavimento, e Yorick si alzasse dalla sedia e la raccogliesse.

È curioso osservare il trionfo che trascurabili incidenti riportano sulla mente; quale peso incredibile essi hanno nel formare e governare le nostre opinioni su uomini e cose; come inezie, leggere come l’aria, sospingano una fede nell’animo e ve la radichino così irremovibilmente, che le dimostrazioni di Euclide, ove si potessero portare a batterla in breccia, non avrebbero tutte il potere di demolirla.

Yorick, dicevo, raccolse la castagna che la collera di Futatorio aveva scagliato per terra. Fu un gesto insignificante: mi vergogno a dirlo, egli lo fece per nessun’altra ragione se non perché pensò che la castagna non fosse peggiore di un iota per l’avventura e la reputò una buona castagna che meritava la pena di piegarsi a raccogliere. Ma questo incidente, insignificante com’era, produsse un effetto diverso nella mente di Futatorio. Egli considerò quest’atto di Yorick d’alzarsi dalla sedia e di raccogliere la castagna come un suo palese riconoscimento che la castagna fosse originariamente sua e che, ovviamente, doveva essere stato il proprietario della castagna e nessun altro ad avergli giocato un simile tiro con essa. Ciò che lo rafforzò grandemente in tale opinione fu il fatto che, essendo la tavola parallelogrammica e strettissima, essa offriva a Yorick, che sedeva proprio di fronte a Futatorio, un’ottima occasione di fargli scivolare la castagna nel…, e quindi era stato lui a farlo. Lo sguardo un po’ più che sospettoso che, mentre faceva tali considerazioni, Futatorio lanciò a Yorick, palesava sin troppo evidentemente la sua opinione; e siccome si pensò che Futatorio dovesse naturalmente sapere della faccenda più di qualsiasi altra persona, la sua opinione divenne subito l’opinione generale; e, per una ragione diversissima da tutte quelle addotte finora, in breve tempo essa divenne assolutamente irrefutabile.

Quando eventi grandi e inaspettati accadono sulla scena di questo mondo sublunare, la mente dell’uomo, ch’è una sostanza di genere indagatorio, si precipita per sua natura dietro le quinte per vedere qual è la loro causa e il loro principio primo. La ricerca in questo caso non fu lunga.

Era ben noto che Yorick non aveva mai avuto un buon concetto del trattato che Futatorio aveva scritto, il De concubinis retinendis, considerandolo una cosa ch’egli temeva avesse fatto del male in questo mondo; e fu facile scoprire che c’era un significato mistico nel tiro di Yorick: e che il suo gettare la castagna bollente nel ***-***** di Futatorio era una frecciata sarcastica contro il suo libro, le cui dottrine, si diceva, avevano infiammato più d’una persona onesta nello stesso posto.

Questo concetto svegliò Sonnolento, fece sorridere Agelaste, e, se riuscite a ricordare il preciso aspetto e l’aria del volto d’un uomo intento a ricercare la soluzione di un enigma, esso diede a quello di Gastrifere un’identica forma, e, per farla breve, fu giudicato da molti un colpo magistrale d’arcingegno.

Ciò, come il lettore ha visto da un capo all’altro, era tanto infondato quanto i sogni filosofici. Indubbiamente Yorick, come Shakespeare disse del suo antenato, “era un burlone” [227], ma la sua burla era temperata da qualcosa che lo tratteneva da questo come da altri tiri sgradevoli, di cui doveva sopportare immeritatamente il biasimo. Ma per tutta la vita fu suo infausto destino di venire incolpato per aver detto e fatto un’infinità di cose delle quali (se la stima che ho per lui non m’accieca) la sua natura era incapace. Tutto quello che gli rimprovero, o meglio, tutto quello per cui lo rimprovero e lo ammiro insieme, è la sua singolarità di carattere che non tollerava mai ch’egli si desse da fare a ristabilire la realtà d’un fatto agli occhi del mondo, per quanto fosse in suo potere. In ogni cattivo trattamento di questo genere egli agiva precisamente come nella faccenda del suo magro ronzino: avrebbe potuto darne una spiegazione che gli avrebbe fatto onore, ma egli si sentiva superiore a queste cose; inoltre, considerava chi inventava o propalava o prestava fede a una simile gretta diceria così infamanti per lui, ch’egli non poteva abbassarsi a spiegar loro come stavano le cose, e perciò confidava che il tempo e la verità l’avrebbero fatto per lui.

Questa tempra eroica gli procurò per molti aspetti inconvenienti. Al presente gli attirò il risentimento durevole di Futatorio il quale, appena Yorick ebbe finito di mangiare la sua castagna, si alzò dalla sedia una seconda volta per farglielo sapere, e veramente lo fece con un sorriso, dicendo soltanto che si sarebbe sforzato di non dimenticare la gratitudine che gli doveva.

Ma dovete segnarvi e accuratamente separare e distinguere queste due cose nella mente:

— Il sorriso era per la compagnia.

— La minaccia era per Yorick.

Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo
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