Capitolo dodicesimo
Quando lo zio Tobia ebbe commutato ogni cosa in danaro, e regolato tutti i conti tra l’agente del reggimento e Le Fever, e tra Le Fever e tutti gli altri uomini, nelle mani dello zio Tobia altro non restò se non un vecchio cappotto militare e una spada; cosicché egli incontrò poca o nessuna opposizione da parte della gente nell’assumerne l’amministrazione. Il cappotto lo zio Tobia lo diede al caporale.
«Portalo, Trim, — disse lo zio Tobia, — finché starà assieme, per amore del povero tenente. E questa, — soggiunse lo zio Tobia prendendo la spada in mano e togliendola dal fodero, — e questa, Le Fever, la conserverò per te. Questa è tutta la fortuna, — continuò lo zio Tobia, appendendola ad un gancio e additandola, — questa è tutta la fortuna, mio caro Le Fever, che Dio ti ha lasciato. Ma se Egli ti ha dato un cuore per farti strada con essa in questo mondo, e tu la farai da uomo d’onore, questo ci basta.»
Non appena ebbe costituito un lascito ed ebbe insegnato al ragazzo a iscrivere un poligono regolare in un cerchio, lo zio Tobia lo mandò a una scuola pubblica, dove, tolte la settimana di Pentecoste e quella di Natale, quando il caporale era puntualmente spedito a prelevarlo, egli rimase fino alla primavera dell’anno ’17, quando le notizie che l’imperatore inviava il suo esercito in Ungheria a combattere contro i Turchi, avendo acceso una scintilla nel suo petto, egli abbandonò il greco e il latino senza accomiatarsene e, gettatosi in ginocchio ai piedi dello zio Tobia, chiese la spada paterna e insieme il suo permesso di andare a tentare la sorte sotto Eugenio [336]. Due volte lo zio Tobia, dimentico della sua ferita, gridò: «Le Fever, verrò con te e tu combatterai al mio fianco!», e due volte si portò la mano all’inguine e abbassò il capo afflitto e sconsolato.
Lo zio Tobia tolse la spada dal gancio, dov’era rimasta appesa e intoccata dalla morte del tenente, e la consegnò al caporale affinché la lucidasse; e dopo aver trattenuto Le Fever non più di quindici giorni per equipaggiarlo e fissare il suo viaggio fino a Livorno, gli mise in mano la spada:
«Se sei coraggioso, Le Fever, — disse lo zio Tobia, — questa non ti verrà meno, ma la Fortuna, — soggiunse (un poco pensoso), — la Fortuna può... E se così accade, — aggiunse lo zio Tobia abbracciandolo, — torna da me, Le Fever, e noi ti creeremo un’altra strada.»
La più grande ferita non avrebbe potuto opprimere il cuore di Le Fever più che la paterna bontà dello zio Tobia; egli si separò da lui come il migliore dei figli dal migliore dei padri: entrambi versarono lacrime, e lo zio Tobia, nel dargli l’ultimo bacio, gli fece scivolare in mano sessanta ghinee, chiuse in un vecchio borsellino di suo padre, contenente l’anello della madre, e invocò su di lui la benedizione di Dio.