Capitolo secondo
Mio padre giacque disteso di traverso sul letto, immobile come se la mano della morte ve l’avesse buttato sopra, per una buona oretta e mezzo prima di cominciare a far ghirigori sul pavimento col dito di quel piede che penzolava oltre il lato del letto; il cuore dello zio Tobia s’alleggerì d’una libbra per questo fatto.
Dopo pochi secondi, la sua mano sinistra, le cui nocche erano rimaste per tutto quel tempo posate sul manico del vaso da notte, riprese la sua sensibilità; egli la spinse un po’ più entro il pendone; fatto ciò, tirò su la mano al petto, emise un ehm! L’ottimo zio Tobia gli fece eco con infinito piacere; e sarebbe stato più che felice d’innestare una frase di consolazione nello spiraglio che si era prodotto: ma non essendo egli tagliato, come dissi, per questo genere di cose, e temendo inoltre di potersene uscire fuori con qualcosa che avrebbe peggiorato la situazione, s’accontentò di posare placidamente il mento sulla traversa della sua stampella.
Ora, non è difficile stabilire se la compressione avesse accorciato la faccia dello zio Tobia in un più piacevole ovale oppure se la filantropia del suo cuore, nel vedere il fratello cominciar a riemergere dal mare delle sue afflizioni, gli avesse rinvigorito i muscoli, sicché la compressione sul mento aveva solo raddoppiato la benignità che vi traspariva prima: fatto sta che mio padre, volgendo gli occhi, fu colpito da un tale raggio di sole sul viso, che la tetraggine del suo dolore fu dissipata in un attimo.
Egli ruppe il silenzio come segue.