Capitolo ventiduesimo
«L'avevo fatta franca, — continuò il caporale, — per tutto quel tempo dall’innamorarmi, e avrei continuato sino alla fine del capitolo, se non fosse stato predestinato diversamente: non è possibile resistere al nostro fato.
«Era una domenica, di pomeriggio, come dissi a vostro onore.
«Il vecchio e la moglie erano usciti...
«Tutto era quiete e silenzio, come la mezzanotte, nella casa...
«Non c’era neppure un’anatra o un anatroccolo nel cortile...
«...quando la bella beghina venne a trovarmi.
«La mia ferita era allora sulla buona via di mettersi bene, l’infiammazione era sparita da qualche tempo, ma le era subentrato un prurito sopra e sotto il ginocchio così insopportabile, che non avevo chiuso occhio per tutta la notte a causa sua.
«— Fate vedere un po’, — ella disse, inginocchiandosi sul pavimento parallelamente al mio ginocchio e posando la mano sotto di esso. — Ha solo bisogno d’essere un pochino soffregato, — disse la beghina; così, ponendovi sopra le coperte del letto, cominciò a soffregare sotto il ginocchio con l’indice della mano destra, movendolo avanti e indietro lungo il margine della pezza di flanella che teneva a posto la medicatura.
«Dopo cinque o sei minuti sentii lievemente la punta del secondo dito, e presto questo si distendeva insieme con l’altro, ed ella continuò a soffregare a questo modo intorno intorno per un bel po’. Allora appunto mi passò per la mente che mi sarei innamorato. Arrossii quando m’accorsi com’era bianca la sua mano; non potrò mai più, piacendo a vostro onore, contemplare un’altra mano così bianca per tutta la vita.
— Non in quel posto», disse lo zio Tobia.
Sebbene questa fosse la disperazione più seria della natura per il caporale, egli non poté impedirsi di sorridere.
«La giovane beghina, — continuò il caporale, — accorgendosi che ciò mi recava un grande beneficio, dopo aver soffregato per un po’ di tempo con due dita, passò alla fine a soffregare con tre, sino a che a poco a poco abbassò il quarto e quindi soffregò con tutta la mano. Non dirò più parola, piacendo a vostro onore, sulle mani, ma quella era più morbida del raso.
— Ti prego, Trim, lodala fin che vuoi, — disse lo zio Tobia; — ascolterò la tua storia con maggior piacere.»
Il caporale ringraziò il padrone con la massima sincerità; ma non avendo nulla da dire sulla mano della beghina se non daccapo quanto aveva detto, prosegui con i suoi effetti.
«La bella beghina, — disse il caporale, — continuò a soffregare con tutta la mano sotto il mio ginocchio, fino a che non temetti che il suo zelo l’affaticasse.
«— Lo farei mille volte di più, — disse, — per amor di Cristo.
«E così dicendo, passò la mano attraverso la pezza di flanella sulla parte sopra il mio ginocchio, di cui m’ero egualmente lamentato, e soffregò anch’essa.
«Mi resi allora conto che cominciavo a essere innamorato.
«Mentre lei continuava a fregare, fregare fregare, io sentivo l’amore diffondersi da sotto la sua mano, piacendo a vostro onore, in ogni parte del mio corpo...
«Quanto più lei soffregava e quanto più lunghi erano i movimenti che faceva, tanto più il fuoco mi s’accendeva nelle vene, finché, dopo due o tre movimenti più lunghi degli altri, la mia passione toccò finalmente il vertice... le afferrai la mano...
— E quindi la premesti sulle tue labbra, Trim, — disse lo zio Tobia, — e facesti un discorso.»
Se l’amore del caporale terminasse esattamente nel modo in cui lo descrisse lo zio Tobia, non è cosa d’importanza; è sufficiente ch’esso contenesse in sé l’essenza di tutte le storie d’amore che siano mai state scritte dacché mondo è mondo.