Capitolo ottavo
De gustibus non est disputandum; vale a dire che non si deve discutere contro i dada; e da parte mia raramente lo faccio, né saprei farlo con alcuna grazia, quand’anche in cuor mio ne fossi nemico, perché capita anche a me, a certi intervalli e cambiamenti della Luna, d’essere tanto violinista quanto pittore se mi salta il ticchio. Sappiate che anch’io ho un paio di ronzini sui quali, a turno (e non m’importa di chi lo venga a sapere), spesso esco a cavalcare per prendere aria; sebbene talvolta, sia detto a mia vergogna, io faccia dei viaggi più lunghi di quanto un savio considererebbe giusto compiere nel complesso. Ma vero è ch’io non sono un savio, e inoltre sono un mortale di così poco conto nel mondo, che non ha molta importanza quel che faccio; quindi di rado me la prendo o mi spazientisco minimamente al riguardo. Né turba molto il mio riposo il vedere quei gran signori e alti personaggi, come per esempio Lord A, B, C, D, E, F, G, H, I, K, L, M, N, O, P, Q, e così via, tutti in fila, montati sui loro diversi cavalli, alcuni a staffe larghe, procedere ad andatura più grave e moderata; altri invece imbacuccati fino al mento, con la frusta in bocca, galoppar via all’impazzata come tanti diavoletti multicolori a cavalcioni di un’ipoteca [14], e come se alcuni d’essi fossero determinati a rompersi il collo. “Tanto meglio, — dico tra me; — perché se dovesse accadere il peggio il mondo troverà il modo di fare splendidamente bene senza di loro; quanto agli altri, ebbene, che Iddio li aiuti, cavalchino pure senza opposizione da parte mia; tanto, se lorsignori venissero disarcionati stanotte stessa, scommetto dieci contro uno che molti d’essi sarebbero del cinquanta percento peggio montati prima di domattina.
Nessuno di questi fatti può quindi essere considerato tale da interrompere la mia quiete. Ma c’è un caso, lo ammetto, che mi fa perdere le staffe, ed è quando vedo una persona nata per le grandi azioni e, ciò che maggiormente va a suo onore, sempre incline per natura a quelle buone; quando osservo questa tal persona, mio signore, come voi, i cui principi e la cui condotta sono generosi e nobili come il suo sangue, e che, per ciò stesso, un mondo corrotto non può risparmiare un solo istante; quando vedo, mio signore, una tale persona in sella, sia pure per un sol minuto più in là del tempo che il mio amor patrio gli ha prescritto e la mia devozione per la sua gloria vorrebbe, allora, mio signore, smetto d’esser filosofo, e nel primo impeto di sincera impazienza mando al diavolo il dada e tutta la sua fratellanza.
«Mio signore,
«sostengo che questa è una dedica, nonostante la sua singolarità nei suoi tre grandi elementi essenziali della materia, della forma e del luogo. Vi prego perciò di volerla accettare come tale e di concedermi di deporla, con la più rispettosa umiltà, ai piedi della signoria vostra, — quando sarete sugli stessi, — il che potrà essere quando vi aggrada; ossia, mio signore, ogni volta che se ne presenti l’occasione e, vorrei aggiungere, anche in vista del migliore risultato.
Ho l’onore di essere,
«Mio signore,
«di vostra signoria l’obbedientissimo,
«il devotissimo,
«e l’umilissimo servitore,
TRISTRAM SHANDY.»