Capitolo trentacinquesimo
Mentre mio padre scriveva la sua lettera d’istruzioni, lo zio Tobia e il caporale erano affaccendati a preparare ogni cosa per l’attacco. Siccome la rivoltatura delle brache di fine stoffa scarlatta era stata lasciata da parte (almeno per il momento), non v’era nulla che dovesse farlo rinviare oltre la mattina seguente; così dunque fu stabilito per le undici.
«Vieni, cara, — disse mio padre a mia madre, — sarà solo come un fratello e sorella se tu e io facciamo una passeggiata fino da mio fratello Tobia per incoraggiarlo in questo suo attacco.»
Lo zio Tobia e il caporale erano entrambi equipaggiati da un po’ di tempo, quando entrarono mio padre e mia madre, e poiché l’orologio batteva le undici, giusto in quel momento erano sulle mosse di balzare fuori. Ma il racconto di queste vicende merita di più che non d’essere intessuto nell’ultimo ritaglio dell’ottavo volume d’un’opera come questa. Mio padre ebbe appena il tempo d’infilare la lettera d’istruzioni nella tasca della giacca dello zio Tobia e d’unirsi a mia madre nell’augurargli che l’attacco gli fosse favorevole.
«Mi piacerebbe, — disse mia madre, — poter guardare attraverso il buco della serratura per semplice curiosità.
— Chiamala col suo vero nome, cara, — disse mio padre, — e guarda attraverso il buco della serratura fin che ti piace.»