Capitolo undicesimo
Lo scrivere, quando è fatto come si conviene (e state pur certi che così credo sia il mio), è solo un nome diverso per la conversazione. Allo stesso modo in cui chi sappia stare in compagnia di persone perbene non s’avventurerebbe a parlare sempre lui, così nessun autore che conosca i giusti limiti del decoro e della buona educazione avrebbe la presunzione di pensare tutto lui. Il più sincero segno di rispetto che voi possiate tributare all’intelligenza del lettore è di dimezzare amichevolmente questa materia e di lasciargli a sua volta qualcosa da immaginare, esattamente come lo lasciate a voi.
Per parte mia continuo a usargli riguardi di questo genere, e faccio tutto ciò ch’è in mio potere per tenere la sua immaginazione occupata quanto la mia.
È ora il suo turno. Io ho fatto un’ampia descrizione del triste capitombolo del dottor Slop e della sua triste apparizione nel salotto posteriore; ora tocca alla sua immaginazione di continuare per un poco.
Il lettore immagini allora che il dottor Slop abbia raccontato la sua storia: la sua fantasia scelga con quali parole e con quali esagerazioni; supponga che anche Obadia abbia raccontato la sua storia, e con gli sguardi pietosi di affettata ansietà che giudicherà più adatti a far contrastare le due figure lì in piedi una accanto all’altra; immagini che mio padre sia salito di sopra a vedere mia madre; e, per concludere quest’opera d’immaginazione, si figuri il dottore lavato, lustrato, compianto e felicitato, ficcato dentro un paio di scarpe da festa di Obadia, dirigersi verso la porta, proprio sul punto di entrare in azione.
Calma! calma, buon dottor Slop! trattieni la tua mano ostetrica; riportala sana e salva sul tuo petto per tenerla al caldo; tu ignori quali ostacoli, non pensi quali cause occulte ritardino il suo intervento! T’hanno forse, dottor Slop, t’hanno forse essi confidato le clausole segrete del patto solenne che ti ha condotto in questo luogo? Sei forse a conoscenza che, in questo istante, una figlia di Lucina ti è ostetricamente anteposta? Ahimè! è sin troppo vero. Inoltre, gran figlio di Pilumno! che puoi fare [100]? Ti sei fatto avanti inerme; hai lasciato a casa il tuo tire-tête, il forcipe di tua recente invenzione, il tuo uncino, il tuo schizzetto e tutti i tuoi strumenti di salvezza e di liberazione. Perdio! in questo momento stanno in una borsa di felpa verde, appesa al capezzale del tuo letto, tra due pistole! Suona; chiama; manda indietro Obadia sul suo cavallo da tiro affinché li porti a tutta velocità.
«Fai molto in fretta, Obadia, — disse mio padre, — e ti darò una corona!
— E io gliene darò un’altra», soggiunse lo zio Tobia.