Capitolo ottavo
Quando l’avventatezza dei desideri d’un uomo ne sollecita le idee a una velocità novanta volte superiore a quella del veicolo su cui egli viaggia, sia maledetta la verità! e maledetti siano il veicolo e i finimenti (qualunque sia il materiale di cui son fatti) su cui sfoga la delusione della sua anima!
Siccome quando sono in collera evito di generalizzare su persone o cose, “Quanto più si ha fretta tanto vanno meno veloci” fu l’unica riflessione ch’io feci sulla faccenda la prima volta che accadde; la seconda, la terza, la quarta e la quinta volta la limitai rispettivamente a queste volte, e perciò biasimai solo il secondo, il terzo, il quarto e il quinto postiglione per l’accaduto, senza spingere più oltre le mie riflessioni; ma poiché l’incidente, dopo la quinta, continuò ad accadermi per la sesta, la settima, l’ottava, la nona e la decima volta, senza nemmeno un’eccezione, non potei allora evitare di fare al riguardo una riflessione di carattere nazionale, ch’io formulo nelle seguenti parole:
C’è sempre qualcosa che non va in una diligenza francese, fin dalla partenza.
La proposizione potrebbe essere formulata anche così: Un postiglione francese deve sempre scendere prima di aver fatto trecento iarde fuori della città.
Che c’è che non va ora? Diable! una fune si è rotta! un nodo si è sciolto! un gancio si è sfilato! un piuolo va sgrossato! un puntale, un aggeggio, una correggia, una cinghia, una fibbia o l’ardiglione della fibbia vanno cambiati.
Ora, per quanto tutto ciò sia vero, non mi sento per questo autorizzato a scomunicare né la diligenza né il conducente, né mi passa per la testa di giurare per il Dio vivente che preferirei andare a piedi dieci mila volte, o che voglio esser dannato se rimetto piede in un’altra diligenza, ma prendo la cosa con molta calma e considero che puntali, aggeggi vari, corregge, piuoli o fibbie e ardiglioni di fibbie avranno sempre bisogno di qualcosa o avranno la necessità d’essere sostituiti dovunque mi capiti di viaggiare; perciò non vado mai in collera, ma prendo il buono e il cattivo come mi capitano sul mio cammino, e proseguo.
«Fa’ pure, ragazzo mio!» dissi.
Aveva già perduto cinque minuti per scendere allo scopo di fare uno spuntino di pane scuro ch’egli aveva ficcato nella tasca della vettura, poi era rimontato ed ora andava avanti senza fretta per gustarselo meglio.
«Su, avanti, ragazzo mio, un po’ alla svelta», dissi, ma col tono più persuasivo immaginabile, perché feci tintinnare una moneta da ventiquattro soldi sul vetro del finestrino, badando a tenerla di piatto verso di lui quanto si voltò a guardare. Quel cane ghignò d’intelligenza da un orecchio all’altro, e dietro quel suo muso fuligginoso scoprì una fila di denti così perlacei, che la Sovranità avrebbe impegnato i propri gioielli pur d’averli.
{ | Che mascelle! | |
Giusto cielo! | { | |
{ | Che pane! |
e così, mentre finiva l’ultimo boccone, entrammo nella città di Montreuil.