Capitolo trentesimo
Dei pochi legittimi figli di Adamo i cui cuori non seppero mai che cosa fossero le trafitture d’amore (premettendo che tutti i misogini sono bastardi), i più grandi eroi della storia antica e moderna si sono accaparrati per sé nove decimi dell’onore. E, per amor loro, io vorrei che fosse tirata su dal fondo del mio pozzo, solo per cinque minuti, la chiave del mio studio [360], per dirvi i loro nomi; a ricordarmeli non ci riesco, perciò accontentatevi per il momento d’accettare i seguenti in loro vece.
Vi fu il grande re Aldovrando, e Bosforo, e Cappadocio, e Dardano, e Ponto, e Asio, per tacere di Carlo XII dal cuore di ferro, con cui fece fiasco persino la contessa di K* * * * *. Vi furono Babilonico, e Mediterraneo, e Polissene, e Persico, e Prúsico, nessuno dei quali (eccetto Cappadocio e Ponto, ambedue un po’ sospetti) mai una volta piegò il petto alla dea [361]. Per la verità, tutti costoro avevano qualcos’altro da fare; e così anche lo zio Tobia, finché il Fato, finché il Fato dico, invidiando al suo nome la gloria d’essere tramandato ai posteri insieme con quella d’Aldovrando e degli altri, vigliaccamente rappezzò la pace di Utrecht [362].
Credetemi, signori, questa fu la peggiore azione che il Fato commise quell’anno.