Capitolo venticinquesimo

Indubbiamente, signore, qui manca un intero capitolo; e ciò causa nel libro una lacuna di dieci pagine. Ma il legatore non è né uno sciocco né un furfante né un minorato; né il libro è d’un iota più imperfetto (almeno per questo motivo), anzi, il libro è più perfetto e più completo per la mancanza del capitolo che se l’avesse, come dimostrerò alle vostre reverenze nel modo seguente: incidentalmente, mi domando innanzi tutto se lo stesso esperimento non potrebbe esser fatto con pari successo su vari altri capitoli; ma la cosa non avrebbe fine, piacendo alle vostre reverenze, se tentiamo esperimenti sui capitoli. Ne abbiamo fatti abbastanza. Perciò poniamo fine alla questione.

 

Ma prima ch’io inizi la mia dimostrazione, lasciate soltanto che io vi dica che il capitolo che ho strappato, e che altrimenti voi tutti stareste leggendo proprio ora invece di questo, era la descrizione della partenza e del viaggio di mio padre, dello zio Tobia, di Trim e di Obadia per la visita a ****.

«Andremo con la carrozza, — disse mio padre. — Per favore, Obadia, è stato ritoccato lo stemma?»

Il mio racconto sarebbe riuscito molto meglio se avessi cominciato col narrarvi che, al tempo in cui lo stemma di mia madre venne aggiunto a quello degli Shandy, quando la carrozza fu riverniciata per il matrimonio di mio padre, era accaduto che il verniciatore di vetture, o perché eseguiva tutti i suoi lavori con la sinistra come Turpilio Romano o Hans Holbein di Basilea [223], o perché si trattò di errore grossolano più della sua testa che non della sua mano, o se infine perché fu dovuto alla piega sinistra che tendevano a prendere tutte le cose riguardanti la nostra famiglia, era accaduto insomma, che, per nostro vituperio, invece della banda destra, che legittimamente ci spettava sin dal regno di Enrico VIII, per una di queste fatalità era stata tracciata una banda sinistra [224] attraverso il campo delle armi degli Shandy.

E’ a stento credibile che la mente di un uomo saggio qual era mio padre potesse turbarsi tanto per una così piccola faccenda. La parola carrozza (a chiunque il veicolo appartenesse), o cocchiere di carrozza o cavallo di carrozza o carrozza a nolo non poteva mai essere menzionata in famiglia, senza che immancabilmente mio padre si lamentasse di portare questo vile segno d’illegittimità sulla portiera della propria; mai una volta era in grado di entrare nella carrozza o di uscirne senza girarvi intorno per dare un’occhiata allo stemma e contemporaneamente fare un voto che quella sarebbe stata l’ultima volta che vi avrebbe rimesso piede, se non ne fosse stata tolta via quella banda sinistra. Ma come per la faccenda del cardine, questa era una delle tante cose per le quali i Fati nei loro libri avevano stabilito che si dovesse brontolare sempre (e in famiglie più sagge che la nostra), ma mai ripararle.

«Allora è stata spennellata via la banda sinistra? — domandò mio padre.

— Non è stato spennellato via nulla, signore, eccetto la fodera, — rispose Obadia.

— Andremo a cavallo, — rispose mio padre, volgendosi a Yorick.

— Di tutte le cose di questo mondo, se si eccettua la politica, l’araldica è quella di cui il clero meno s’intende, — rispose Yorick.

— Questo non importa, — gridò mio padre, — mi dispiacerebbe comparire davanti a loro con una macchia sul mio scudo.

— Non badare alla banda sinistra, — disse lo zio Tobia, mettendosi la parrucca col fiocco.

— No davvero, — disse mio padre. — Tu puoi andare con la zia Dina a una visita con la banda sinistra, se lo credi. — Il povero zio Tobia arrossì. Mio padre ci restò male.

— No, caro fratello Tobia, — disse mio padre cambiando tono, — ma l’umidità della fodera della carrozza intorno ai miei lombi potrebbe farmi tornare la sciatica, come fece nel dicembre, gennaio e febbraio dello scorso inverno; perciò, se lo desideri, puoi montare sul lento cavallo di mia moglie; e voi, Yorick, siccome dovete predicare, fareste meglio a incamminarvi prima di buon passo e lasciare a me di badare a mio fratello Tobia, per seguirvi col nostro passo.»

Ora, il capitolo che ho dovuto strappare conteneva la descrizione di questa cavalcata, durante la quale il caporale Trim e Obadia, in groppa a due cavalli da tiro affiancati, facevano strada lenti come una pattuglia, mentre lo zio Tobia, nella sua uniforme gallonata e in parrucca col fiocco, procedeva in linea con mio padre, immersi entrambi in profondi sentieri e dissertazioni alternativamente sul vantaggio della cultura e delle armi, secondo che l’uno o l’altro avesse il sopravvento.

Ma nel rivederlo, il quadro di questo viaggio sembrava essere a tal punto superiore nello stile e nella maniera a ogni altra cosa ch’io sono stato in grado di dipingere in questo libro, ch’esso non avrebbe potuto rimanervi senza svalutare ogni altra scena e senza distruggere nel contempo quel necessario equilibrio e giuoco di contrappeso (buono o cattivo) tra capitolo e capitolo, da cui risultano le giuste proporzioni e l’armonia dell’intera opera. Per parte mia, sono solo alle prime armi, quindi ne so poco; ma, a mio giudizio, scrivere un libro è per tutta la gente come cantare a bocca chiusa una canzone: purché siate intonata, signora, non importa che il tono sia alto o basso.

Questa è la ragione per cui, piacendo alle vostre reverenze, alcune delle composizioni più deboli e più scialbe sfondano benissimo (come Yorick disse una sera allo zio Tobia) con un assedio. Lo zio Tobia si rianimò tutto al suono della parola assedio, ma non riuscì a raccapezzarsene.

“Devo predicare a corte domenica prossima, — disse Homenas [225], — dai una scorsa alle mie note.” Così canticchiai a bocca chiusa le note del dottor Homenas: “La modulazione è molto buona; credo che andrà bene, Homenas, se continua così.” Continuai quindi a canticchiare e reputai che fosse un motivo passabile; né avrei saputo fino ad oggi, piacendo alle reverenze vostre, quanto fosse debole, scialbo, insulso e privo d’interesse, se d’improvviso, nel bel mezzo d’esso, non siI fosse levata un’aria così bella, così piena, così celestiale da trasportarmi l’anima in un altro mondo. Ora, se io avessi trovato (come si rammaricava Montaigne in una circostanza analoga) facile lo scendere o accessibile il salire, di certo sarei stato messo nel sacco. “Le vostre, Homenas, — avrei dovuto dire, — sono belle note.” Ma era un precipizio così scosceso, così completamente tagliato fuori dal resto dell’opera, che, non appena canticchiai la prima nota, mi ritrovai a fluttuare in un altro mondo, e di lassù scoprii la valle dalla quale mi ero alzato, così fonda, così in basso e tetra, che non avrei mai avuto il coraggio di ridiscendervi.

☞ Un nano che porta con sé un regolo per misurare la propria statura, credete a me, è un nano per più d’un riguardo. E con ciò basta con lo strappo di capitoli.

Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo
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