Capitolo trentanovesimo
«E adesso all’orologio di Lippius! — dissi, con l’aria d’un uomo che ha superato tutte le proprie difficoltà, — nulla può impedirci di vedere questo, e la storia cinese, ecc...
— ...eccetto il tempo, — disse François, — perché sono quasi le undici.
— Allora dobbiamo sbrigarci al massimo», dissi, allungando il passo verso la cattedrale.
Non posso dire in cuor mio che ci restassi molto male nell’apprendere da uno dei canonici minori, mentre entravo per la porta occidentale, che il grande orologio del Lippius era tutto sgangherato e che non funzionava da alcuni anni.
“Mi resterà più tempo, — pensai, — per esaminare la storia cinese; inoltre sarò in grado di dare al mondo un rendiconto dell’orologio nel suo sfacelo migliore di quanto non avrei potuto nella sua fiorente condizione.
E così m’affrettai al collegio dei gesuiti.
Ora, avviene col progetto di dare un’occhiatina alla storia della Cina in caratteri cinesi come con molti altri che potrei menzionare, i quali colpiscono la fantasia solo da lontano; perché man mano che mi avvicinavo al punto, il sangue mi si raffreddò, il capriccio gradatamente svanì, finché da ultimo non avrei dato un nocciolo di ciliegia per soddisfarlo. A dire il vero il mio tempo era breve e il mio cuore era alla Tomba degli Amanti.
«Dio volesse, — dissi, mentre mettevo la mano sul battaglio, — che si sia smarrita la chiave della biblioteca.»
La cosa andò bene lo stesso...
Infatti tutti i gesuiti avevano la colica, e in un grado tale che non s’era mai riscontrato a memoria del più vecchio medico [432].