Capitolo ventitreesimo
In me c’è un forte desiderio di cominciare questo capitolo in modo assai strampalato e non voglio ostacolare la mia fantasia. Perciò attaccherò così:
Se l’applicazione del vetro di Momo [68] sul petto umano, secondo la modificazione proposta da quell’arcicritico, fosse avvenuta, avremmo inevitabilmente avuto prima di tutto questa stupida conseguenza: che i più saggi e più seri di tutti noi avrebbero dovuto pagare con una moneta o con un’altra l’imposta sulle finestre [69] ogni giorno della loro vita.
In secondo luogo, se il detto vetro fosse stato allora applicato, per conoscere il carattere di un uomo d’altro non ci sarebbe stato bisogno se non di prendere una sedia e, come fareste in un alveare trasparente, di mettersi a guardare delicatamente, esaminare l’anima completamente nuda, osservarne tutti i moti, le macchinazioni, seguire il corso dei suoi capricci dal loro primo insorgere al loro strisciare in avanti, osservarla sfrenarsi nelle sue capriole, nei suoi salti, nei suoi scarti improvvisi; e dopo alcune osservazioni del suo contegno più solenne, successivo a tali capriole, ecc., prendere penna e calamaio e mettere sulla carta soltanto ciò che avreste visto e su cui avreste potuto giurare.
Ma questo è un vantaggio che il biografo non può avere su questo pianeta; sul pianeta Mercurio (forse) può essere così se non ancor meglio per lui; infatti, colà l’intensità del calore della regione, il che è comprovato dai calcolatori, per la sua vicinanza al sole deve essere superiore a quella del ferro rovente; penso che debba avere vetrificato da lungo tempo i corpi degli abitanti (come causa efficiente) per adattarli al clima (che è la causa finale); cosicché tra l’una e l’altra, tutte le dimore delle loro anime, da cima a fondo, altro non possono essere, salvo quel che la più saggia filosofia può dimostrare in contrario, se non un bel corpo trasparente di limpido vetro (tranne il nodo ombelicale). Perciò, fino a che gli abitanti invecchiano e diventano discretamente grinzosi, per il che i raggi di luce, attraversandoli, vengono così mostruosamente rifratti o tornano riflessi dalle loro superfici in linee così trasversali per l’occhio, da togliere a un uomo ogni trasparenza, tanto varrebbe che l’anima di questo, a meno che non sia per mera cerimonia o per l’insignificante vantaggio che il nodo ombelicale può offrirle, tutto sommato si sbizzarrisse nelle sue stranezze fuori come dentro casa.
Ma questo, come dissi sopra, non è il caso degli abitanti di questa terra. I nostri sentimenti non brillano attraverso il corpo, ma vi sono avvolti in un opaco involucro di carne e sangue non cristallizzati; cosicché, se vogliamo arrivare a conoscere lo specifico carattere di ciascuno d’essi, dobbiamo procedere in un altro modo.
Molte, in verità, sono le vie che l’intelligenza umana è stata costretta a imboccare per compiere questo lavoro con esattezza.
Alcuni, per esempio, delineano i caratteri ricorrendo a strumenti a fiato: Virgilio adotta questo mezzo nella faccenda di Didone ed Enea [70]; ma esso è ingannevole quanto il soffio della fama, e per di più rivela un talento limitato. Non ignoro che gli Italiani sostengono di delineare con esattezza matematica un tipo particolare di carattere comune tra loro, dal forte e dal piano [71] di un certo strumento a fiato che usano e che dicono infallibile. Non oso menzionare il nome dello strumento in questo luogo; basti dire che l’abbiamo anche noi, ma non ci passa per la mente di usarlo per quello scopo. Ciò che dico è enigmatico, ma lo faccio di proposito, almeno ad populum. E perciò, vi prego, signora, quando arriverete a questo punto, di procedere nella lettura quanto più rapidamente potrete senza mai fermarvi a fare indagini al riguardo [72].
Vi sono poi altri che vogliono trarre il carattere di un uomo avvalendosi unicamente delle sue evacuazioni; ma ciò vi darà spesso un profilo molto impreciso, a meno che voi non facciate lo schizzo anche delle sue replezioni; e correggendo un disegno con l’altro, potrete combinare da entrambi una buona raffigurazione.
Non avrei nulla da obiettare a questo metodo, se non pensassi che debba puzzare troppo di lucerna, e che sarebbe reso ancor più laborioso col costringervi ad aver un occhio al resto dei suoi non naturali [73]. Perché poi le azioni più naturali della vita d’un uomo debbano essere chiamate non naturali, questa è un’altra questione.
In quarto luogo, vi sono altri che disdegnano tutti questi espedienti, non per una qualunque propria fertilità d’ingegno, ma per i vari mezzi di compiere la cosa che hanno preso a prestito dall’onorevole talento che la Confraternita Pantografica [74] del pennello ha mostrato nel far copie. Questi, dovete saperlo, sono i vostri grandi storici.
Uno di essi lo vedrete disegnare un carattere a grandezza naturale, contro luce. Ciò è meschino, disonesto e spietato per il carattere dell’uomo che posa.
Altri, per rimediare, vi faranno il ritratto nella camera oscura [75]; questa è la cosa più sleale di tutte, perché là dentro potete esser certi d’essere rappresentati in alcuni dei vostri pili ridicoli atteggiamenti.
Per evitare tutti indistintamente questi errori nell’esporvi il carattere dello zio Tobia, sono risoluto a disegnarlo senza alcun aiuto meccanico; né la mia matita sarà guidata da alcuno strumento a fiato che mai fu sonato da questo o dall’altro lato delle Alpi; né prenderò in esame le sue reple- zioni o le sue scariche, né toccherò i suoi non naturali: ma, in una parola, disegnerò il carattere dello zio Tobia dal suo dada [76].