Capitolo venticinquesimo
Poiché il ponte levatoio venne considerato irreparabile, a Trim fu dato subito l’ordine di costruirne un altro, ma non dello stesso modello: perché, essendosi in quel tempo scoperti gli intrighi del cardinale Alberoni [166], e poiché lo zio Tobia prevedeva a ragione che una scintilla sarebbe inevitabilmente scoccata tra la Spagna e l’impero e che le operazioni della campagna che ne sarebbe derivata si sarebbero svolte con ogni probabilità a Napoli o in Sicilia, egli si risolse per un ponte all’italiana; (lo zio Tobia, sia detto per inciso, non sbagliava molto nelle sue congetture) ma mio padre, ch’era di gran lunga miglior politico e che prendeva il sopravvento sullo zio Tobia nelle questioni di gabinetto quanto lo zio Tobia l’aveva su di lui nelle questioni del campo di battaglia, lo convinse che, se il re di Spagna e l’imperatore si fossero accapigliati, l’Inghilterra, la Francia e l’Olanda, in forza degli impegni precedenti, sarebbero tutte dovute a loro volta entrare in lizza:
«E in tal caso, — continuava mio padre, — i combattenti, fratello Tobia, com’è vero che siamo vivi, si getteranno nuovamente alla rinfusa sulla vecchia contestata preda del campo d’azione delle Fiandre. Che te ne farai allora del tuo ponte italiano?
— Allora seguiteremo a costruirlo secondo l’antico modello», esclamò lo zio Tobia.
Il caporale Trim era giunto a circa metà del lavoro seguendo quel modello, quando lo zio Tobia vi trovò un difetto capitale, che non aveva mai considerato pienamente per l’addietro. A quanto sembra, esso girava su cardini alle due estremità, aprendosi nel mezzo: una metà girava verso un lato del fossato e l’altra metà verso l’altro; il vantaggio consisteva nel fatto che, dividendo il peso del ponte in due parti uguali, ciò dava modo allo zio Tobia di sollevarlo o di abbassarlo con la punta della sua stampella e con una mano, il che, essendo debole la sua guarnigione, era tanto di guadagnato quanto a risparmio di forze; ma gli svantaggi d’una simile costruzione erano insormontabili; «perché in questo modo, — egli diceva, — io lascio metà del mio ponte in potere del nemico, e allora, di grazia, a che serve l’altra?»
La soluzione più ovvia sarebbe stata senza dubbio quella di fissare il ponte con cardini solo a una estremità, in modo che il tutto potesse interamente venir alzato e rimanere diritto come un fuso; ma questa soluzione fu scartata per la ragione sopra esposta.
Per tutta la settimana seguente lo zio Tobia rimase fermamente dell’idea di erigere una di quelle particolari costruzioni fatte per essere ritirate orizzontalmente a fine d’impedire il passaggio, e da spingere di nuovo in avanti per consentirlo, della cui specie le signorie vostre avranno potuto vedere tre famosi esemplari a Spira prima della sua distruzione, e uno ora ad Alt Breisach, se non sbaglio. Ma poiché mio padre consigliò in tutta serietà lo zio Tobia di rinunciare ad aver che fare con ponti volanti, prevedendo d’altra parte ch’essi avrebbero perpetuato il ricordo della disgrazia del caporale, lo zio cambiò idea a favore di quella dell’invenzione del marchese de l’Hôpital che Bernoulli il Giovane ha descritto così bene e sapientemente, come le vostre signorie possono vedere in Act. Erud. Lips. an. 1695 [167]. Un peso di piombo mantiene questi ponti in perenne equilibrio e li protegge quanto una coppia di sentinelle, in quanto la loro struttura è una linea curva che s’avvicina a un cicloide, se non è addirittura un cicloide.
Lo zio Tobia riusciva a comprendere la natura d’una parabola non meno di qualsiasi altro inglese, ma non era altrettanto padrone del cicloide; ne parlava in ogni caso tutti i giorni, ma il ponte non andava avanti.
«Domanderemo spiegazioni a qualcuno», gridò lo zio Tobia a Trim.