Capitolo tredicesimo
Olà! senti garzone! eccoti mezzo scellino: entra in quella bottega di libri e chiamami un critico pagato a giornata che le sballa grosse. Darò volentieri una corona a chiunque d’essi m’aiuti col proprio paranco a fare smuovere mio padre e lo zio Tobia dalle scale e a metterli a letto.
Ne è gran tempo; perché, eccetto un breve pisolino che hanno schiacciato entrambi mentre Trim era intento a forare gli stivaloni da cavalleria, e che, tra l’altro, non fu di nessun giovamento a mio padre per via di quel pessimo cardine, essi non hanno chiuso occhio da nove ore prima del momento in cui il dottor Slop fu introdotto da Obadia nel salotto posteriore in quella salamoia di fango.
Se ogni giorno della mia vita fosse movimentato come questo e richiedesse… Tregua.
Non finirò la frase senza aver prima fatto una considerazione sullo strano stato dei rapporti tra il lettore e me, così come stanno presentemente le cose; considerazione che non è mai stata applicabile prima a nessun altro biografo dalla creazione del mondo in poi se non a me stesso, e che credo non converrà mai a nessun altro fino alla sua distruzione finale; perciò, per la sua sola autentica novità dev’esser degna dell’attenzione delle signorie vostre.
Questo mese io sono di un intero anno più vecchio di quanto non fossi di questo tempo dodici mesi fa [212]; ed essendo arrivato, come potete costatare, quasi alla metà del mio quarto volume e non più oltre del primo giorno della mia vita, è evidente che ho trecentosessantaquattro giorni di più vita da scrivere proprio ora di quando in principio cominciai; cosicché, invece di progredire nella mia opera, come un comune scrittore, insieme con quel che andavo facendo, mi trovo, al contrario, a essere buttato indietro di altrettanti volumi.
Se ogni giorno della mia vita fosse movimentato come questo… E perché no?… e se gli eventi e le opinioni di ogni singolo giorno dovessero richiedere altrettanta descrizione… E per quale motivo dovrebbero essere tagliati?… siccome di questo passo dovrei vivere esattamente trecentosessantaquattro volte più velocemente di quanto dovrei scrivere, deve seguirne, piacendo alle signorie vostre, che quanto più scrivo, tanto più avrò da scrivere, e perciò tanto più le signorie vostre avranno da leggere.
Ma gioverà questo agli occhi delle signorie vostre?
Farà bene ai miei; e se non fosse che le mie Opinioni saranno la mia morte, mi rendo conto che con ciò condurrò una bella vita oltre a questa mia medesima; o, in altre parole, condurrò un paio di belle vite contemporaneamente.
Quanto al proposito di scrivere dodici volumi all’anno, ossia un volume al mese, ciò non muta affatto la mia aspettativa: scrivere quanto voglio e tuffarmi quanto posso nel bel mezzo delle cose, come consiglia Orazio; non ce la farò mai a raggiungere me stesso, quand’anche mi frustaste o mi spingeste al massimo incalzare; alla peggio avrò un giorno di vantaggio sulla mia penna, e un giorno è sufficiente per due volumi, e due volumi saranno sufficienti per un anno.
Il Cielo faccia prosperare i fabbricanti di carta sotto questo propizio regno che ora s’apre davanti a noi, come confido che la sua provvidenza farà prosperare ogni altra cosa a cui si porrà mano sotto di esso.
Quanto alla propagazione delle Oche, non me ne preoccupo affatto. La natura è onni-generosa; non mi mancheranno mai gli strumenti con cui lavorare.
— Ebbene, amico! avete fatto scendere dalle scale mio padre e lo zio Tobia e li avete visti a letto? E come ne siete venuto a capo? Avete calato un sipario ai piedi della scala. Sapevo che non avevate nessun altro mezzo per farlo. Eccovi una corona per il disturbo.