119.
Ottobre 2007
Con il respiro mozzato, gli occhi di Ricky strabuzzarono per il dolore e per la sorpresa mentre lui si piegava in due. Poi Abby lo colpì in faccia con tanta forza da farlo cadere. Gli assestò un altro calcio al basso ventre, ma lui le afferrò il piede e lo torse con violenza, dolorosamente, mandandola a cadere nell’erba bagnata.
“Brutta stronza!”
Poi si fermò, sentendo il rumore di un motore.
Lo udirono entrambi.
Incredulo, Ricky fissò il furgone dei gelati che avanzava sussultando sulla strada sterrata verso di loro. E, poco più indietro, sei agenti di polizia in giubbotto antiproiettile correvano verso di loro dal lato dell’albergo.
Ricky si tirò in piedi barcollando. “Puttana! Avevamo un accordo!” strillò.
“Come quello che avevi con Dave?” gridò di rimando lei.
Tenendo stretti i francobolli, Ricky arrancò verso il fuoristrada. Abby si mise a correre più forte che poteva, ignorando il dolore alla caviglia, verso il boschetto. Alle sue spalle udì il rombo di un motore. Si guardò indietro. Era il furgone dei gelati, e ora all’interno riusciva a distinguere due uomini. Davanti a sé, seminascosto dai tronchi, dai rami e dalle foglie, poteva intravedere un furgone bianco.
* * *
Accecato dal dolore e dalla collera, Ricky si gettò nel fuoristrada, inserì la marcia e tolse il freno a mano prima ancora di aver chiuso la portiera. Ora darò una lezione a quella puttana.
Accelerò bruscamente, prendendo velocità e sterzando per dirigersi dritto verso la macchia d’alberi. A quel punto non gli importava se anche lui fosse caduto dalla scogliera. Gli bastava che Abby passasse il resto della sua vita a pentirsi di avergli fatto questo.
Poi una macchia di colore lampeggiò davanti a lui.
Ricky pestò il piede sul freno, bloccando le ruote e imprecando. Strattonò il volante verso destra con forza, tentando disperatamente di evitare il furgone dei gelati che si era fermato davanti al boschetto, sbarrandogli la strada verso il furgone nascosto tra le fronde e impedendogli di urtarlo. La Honda sbandò compiendo un ampio arco. Il posteriore andò a sbattere contro il paraurti del furgone dei gelati, strappandolo via.
Poi, con sorpresa, Ricky vide le due utilitarie – che anche lui aveva pensato fossero di proprietà dello staff dell’albergo – attraversare il prato e andargli incontro a sirene spiegate, con le luci blu lampeggianti dietro i parabrezza.
Premette di nuovo il pedale dell’acceleratore, restando disorientato per un istante, girando su se stesso. Una delle due auto gli tagliò la strada. Ricky la evitò passandole alle spalle, scese da un ripido declivio, balzò in un fossato e risalì dalla parte opposta, ritrovandosi finalmente sul solido asfalto della strada.
Poi, con sgomento, vide i lampeggianti blu che si avvicinavano dalla sua destra.
“Cazzo. Merda. Cazzo. Merda.”
Ormai completamente in preda al panico, tirò il volante verso sinistra e premette a tavoletta sull’acceleratore.
* * *
L’unica portiera del vecchio furgone arrugginito a non essere ostruita da rami e sterpaglia era quella del conducente. Abby la aprì ansiosamente, con cautela, tenendo bene a mente quanto il furgone fosse vicino all’orlo del baratro.
Con il naso arricciato per il forte fetore di feci e tabacco e corpi non lavati che regnava all’interno, chiamò: “Mamma? Mamma?”
Non ci fu risposta. Attraversata da una stilettata di panico, appoggiò un piede sul bordo e si issò sul sedile anteriore. Per un momento terribile, fissò il retro buio del furgone e temette che sua madre non ci fosse. Tutto ciò che riusciva a vedere erano delle attrezzature elettriche, un materasso e una ruota di scorta. Dentro faceva freddo come in un frigorifero. Il furgone ondeggiava sferzato dalle raffiche di vento, che all’interno lo facevano rimbombare come un tamburo.
Poi, sopra quel frastuono, udì una voce flebile e incerta. “Abby? Sei tu, Abby?”
Quelle furono, senza dubbio, le parole più dolci che avesse mai sentito in vita sua. “Mamma!” gridò. “Dove sei?”
“Qui”, rispose una voce debolissima. Sua madre sembrava sorpresa, come se pensasse: E dove altro potrei essere?
Abby allungò il collo oltre lo schienale del sedile e finalmente la vide, avvolta nel tappeto arrotolato con solo la testa che spuntava fuori, adagiata sul pavimento proprio dietro di lei.
Si arrampicò dall’altra parte. Il furgone risuonò quando i suoi piedi colpirono il fondo metallico. Abby si inginocchiò e baciò la guancia umida della madre.
“Stai bene? Stai bene, mamma? Ho qui le tue medicine. Adesso ti porto all’ospedale.”
Le sentì la fronte. Era bollente e umida.
“Sei al sicuro adesso. Lui se ne è andato. Va tutto bene. C’è la polizia, polizia dappertutto. Ti porto subito in ospedale.”
“Mi è sembrato di vedere tuo padre, un minuto fa”, sussurrò sua madre. “È appena uscito.”
Abby si rese conto che stava delirando. A causa della febbre, o della mancanza delle medicine, o forse di entrambe. Le sorrise attraverso il velo delle lacrime.
“Ti voglio tanto bene, mamma”, disse. “Tanto, tanto bene.”
“Sto bene”, rispose la donna. “Me ne sto comoda come uno scarafaggio in un tappeto.”
* * *
Per un attimo, Cassian Pewe abbassò il telefono e si voltò verso Grace. “Il Bersaglio Due è nella macchina del Bersaglio Uno, da solo. Viene da questa parte. Intercettiamo se possibile, in sicurezza, ma stanno arrivando i rinforzi.”
Grace mise in moto. Avevano entrambi le cinture di sicurezza slacciate – una situazione comune durante le missioni di sorveglianza – in modo da poter scendere rapidamente dalla macchina se ce ne fosse stato bisogno. Dopo aver sentito il rapporto di ciò che stava succedendo, Grace era dell’idea che dovessero allacciarle. Ma, proprio mentre stava allungando la mano per allacciare la sua, Pewe disse: “Avvistato.”
Anche Grace ora vedeva la Honda nera, a circa trecento metri di distanza, che procedeva a gran velocità giù per la strada tortuosa che scendeva dalla collina. Riusciva a sentire lo stridere degli pneumatici.
“Abbiamo il Bersaglio Due in vista”, comunicò Pewe via radio.
Il comandante rispose: “La priorità è l’incolumità di tutti. Se è necessario, Roy, potresti dover usare la tua macchina nell’operazione.”
Con sgomento di Pewe, Grace d’un tratto mise di traverso l’Alfa Romeo, bloccando entrambe le corsie della stradina. E Pewe si rese conto di trovarsi dalla parte rivolta verso il fuoristrada in arrivo. Il lato che avrebbe ricevuto l’impatto se l’auto non si fosse fermata.
* * *
Ricky teneva stretto il volante, con le gomme che stridevano affrontando un’altra lunga curva verso sinistra, scendendo dalla collina a rotta di collo. Non poteva andare da nessun’altra parte, né da un lato né dall’altro: c’era soltanto la discesa, ripida e insidiosa. Poi si buttò in una svolta a destra.
Quando uscì dalla curva vide un’Alfa Romeo marrone posta di traverso a bloccare la strada di fronte a lui. Un uomo biondo stava fissando fuori dal finestrino con gli occhi spalancati.
Pigiò il piede sul freno, sbandando con la macchina fino a pochi metri dalla portiera dell’altra, quindi ingranò con furia la retromarcia. Mentre lo faceva, udì il lamento delle sirene che si avvicinavano. In lontananza poteva vedere due Range Rover della polizia, con i lampeggianti in funzione, che si precipitavano giù dalla collina.
Fece una rapida inversione e accelerò con forza, tornando da dove era venuto. Nello specchietto retrovisore vide l’Alfa Romeo partire all’inseguimento, con le due Range Rover che si avvicinavano sempre più. Ma era più interessato a ciò che aveva davanti. O, più precisamente, a ciò che stava davanti alla macchia di alberi. Perché, anche se il furgone dei gelati era ancora lì di fronte, una spinta secca sul lato avrebbe comunque raggiunto lo scopo.
Poi avrebbe potuto imboccare la stradina abbandonata – che ora era poco più di una traccia ricoperta di erba in mezzo ai campi, ma pur sempre una strada – che aveva trovato e controllato in precedenza. Era sicuro che la polizia non aveva pensato a quella deviazione.
Sarebbe andato tutto bene. Quella puttana non avrebbe mai, mai dovuto mettersi contro di lui.
* * *
Roy Grace non impiegò molto a guadagnare terreno sulla grossa Honda, poi rimase a pochi metri dalla coda. Pewe chiamò via radio e disse che si stavano avvicinando al Beachy Head Hotel.
D’un tratto, il fuoristrada sterzò bruscamente a destra, uscendo dalla strada e salendo sul prato che separava la strada principale dal bordo della scogliera. Grace fece la stessa manovra, soffrendo nel sentire le sospensioni della sua amata Alfa Romeo appiattirsi sul terreno sconnesso. Udì e avvertì la vibrazione raschiante del tubo di scappamento che strisciava sul terreno, poi qualcosa che cedeva, ma la sua attenzione era così concentrata sulla Honda che se ne accorse appena.
Davanti a loro ora c’era un ammasso di veicoli e di persone. Grace vide il camioncino della British Telecom che bloccava la strada, contornato da uno sciame di agenti in uniforme. C’erano anche due motociclette. Pewe alzò il volume della ricetrasmittente.
Una voce disse: “Il Bersaglio Due sembra muoversi verso il furgone nel boschetto, oltre quello dei gelati. Tagliategli la strada. Il Bersaglio Uno si trova là dentro con la madre.”
Pewe indicò un punto oltre il parabrezza. “Roy, sta andando da quella parte. Sta tornando indietro.”
Grace poteva vedere il boschetto, ampio e di forma ovale, e i colori sgargianti del furgone dei gelati parcheggiato a poca distanza.
Il Bersaglio Due stava accelerando.
Grace scalò di una marcia e premette l’acceleratore fino in fondo. L’Alfa Romeo ebbe uno scatto in avanti; le sospensioni si appiattirono di nuovo su una cunetta, gettando sia lui che Pewe – entrambi privi delle cinture – verso l’alto a sbattere la testa contro il tetto dell’abitacolo.
“Scusa”, disse truce Grace, affiancandosi alla Honda.
Sul suo lato dell’auto, ora, a pochi centimetri dalla portiera, c’era una fragile staccionata che delimitava il ciglio della scogliera. Riuscì a cogliere un’occhiata fugace del Bersaglio Due, un uomo con una folta barba e un berretto da baseball. Alla sua destra, la staccionata terminò all’improvviso, lasciando soltanto cespugli a marcare quello che ora era un salto privo di qualsiasi protezione.
Grace portò la macchina sull’erba, sperando con tutto se stesso che gli arbusti non nascondessero una rientranza nella scogliera in cui sarebbero precipitati.
Lasciò un poco l’acceleratore, guidando accanto al fuoristrada e cercando di mettere il muso dell’Alfa Romeo almeno mezzo metro davanti alla Honda, per obbligarla ad allontanarsi dall’orlo del baratro. Il boschetto e il furgone dei gelati si stavano avvicinando a gran velocità.
Come se avesse anticipato le sue intenzioni, il Bersaglio Due sterzò verso destra, colpendo con forza il lato del passeggero dell’Alfa Romeo. Pewe si lasciò sfuggire un grido e la macchina, sobbalzando, si avvicinò pericolosamente al bordo.
Il boschetto si avvicinava sempre di più.
La Honda li urtò di nuovo. Più pesante dell’Alfa Romeo, e sopravanzandola di qualche metro, li costrinse ancora più vicini al dirupo. La macchina di Grace sussultò follemente su alcune rocce e sul terreno sconnesso. Poi un altro colpo del fuoristrada la fece avvicinare ulteriormente al baratro.
“Roy!” squittì Pewe, tenendo stretta tra le mani la cintura di sicurezza. Era pietrificato dalla paura.
Erano in trappola. Grace pestò sull’acceleratore fino in fondo e l’Alfa Romeo fece un balzo in avanti. Ora il boschetto era a meno di duecento metri di distanza. Tagliò bruscamente la strada alla Honda e poi, per non rivelare che stava frenando, tirò il freno a mano invece di quello a pedale.
L’effetto fu immediato e drammatico, e non quello che Grace si era aspettato. La coda dell’Alfa Romeo sbandò, e la macchina prese a slittare di lato. Quasi all’istante, la Honda la colpì da dietro, capottandola e mandandola a rotolare su un fianco.
La forza dell’impatto spinse la Honda verso sinistra. Ormai fuori controllo, il fuoristrada andò a sbattere contro il retro del furgone dei gelati.
Grace si ritrovò a rotolare nell’aria, come privo di peso, accompagnato da una cacofonia di rumori, il pandemonio assordante del motore e delle lamiere.
Atterrò con un tonfo che gli tolse il fiato e lo scosse fino al midollo, e con una forza che lo fece rotolare più volte, impotente a fermarsi, come sparato fuori dal cannone di un circo. Poi, finalmente, si arrestò a faccia in giù nell’erba, con la bocca piena di fango.
Per un istante non riuscì a capire se era vivo o morto. Gli ronzavano le orecchie. Ci fu un attimo di assoluto silenzio. Il vento ululava. Poi udì un grido terribile, ma non riusciva a capire da dove provenisse.
Tentò di rialzarsi in piedi, ma ricadde subito. Era come se qualcuno avesse preso la terra e l’avesse inclinata da un lato. Si alzò di nuovo, barcollando in preda alle vertigini, e si guardò intorno. Il cofano della Honda, che era inclinato a un angolo innaturale, era conficcato nel posteriore sfondato del furgone dei gelati. Il conducente sembrava stordito e spingeva la portiera tentando di aprirla, mentre due agenti con giubbotti antiproiettile tiravano la maniglia dall’altra parte. Da sotto il furgone saliva del fumo. Altri agenti di polizia stavano correndo verso di loro.
Poi Grace udì di nuovo il grido.
Dove diavolo era la sua macchina?
E, improvvisamente, si sentì invadere da un orrore terrificante, nauseante.
No! Oh, Gesù, no!
Udì ancora quel grido.
E ancora.
Proveniva da oltre il bordo della scogliera.
Barcollò fino all’orlo del precipizio, poi fece un rapido passo indietro. Aveva sofferto di vertigini per tutta la vita, e lo strapiombo verso il mare sottostante era più di quanto potesse sopportare.
“Aiuuutooo!”
Grace si mise carponi e iniziò a strisciare in avanti, sentendo fitte di dolore in tutto il corpo. Le ignorò e arrivò fino al bordo. Si trovò a guardare il fondo della sua macchina, impigliata tra i rami di alcuni piccoli alberi, con il muso verso il precipizio e la coda che sporgeva all’infuori, in bilico come il trampolino di una piscina. Due ruote stavano ancora girando.
La prima parte dello strapiombo, in quel punto, era un declivio breve e ripido. Terminava in una striscia erbosa, più o meno sette metri più in basso, quindi proseguiva in verticale per almeno un centinaio di metri, giù giù fino al mare e agli scogli. L’altezza spaventò Grace e lui indietreggiò dove si sentiva più al sicuro. Poi udì ancora quel grido.
“Aiutatemi! Oddio, aiutatemi! Vi prego, aiutatemi!”
Era Cassian Pewe, si rese conto Grace. Ma non riusciva a vederlo.
Lottando contro le vertigini, arrancò di nuovo verso il bordo, guardò giù e gridò: “Cassian? Dove sei?”
“Oh, aiutami! Ti prego, aiutami! Roy, ti prego, aiutami!”
Grace si guardò disperatamente alle spalle. Ma tutti, dietro di lui, sembravano occupati con il furgone e il fuoristrada, che pareva sul punto di prendere fuoco.
Sbirciò di nuovo verso il basso.
“Sto cadendo! Oh per l’amor di Dio sto cadendo!”
Il terrore assoluto nella voce dell’uomo lo spinse all’azione. Con un respiro profondo, Grace si sporse verso il basso, afferrò un ramo e ne verificò la tenuta, sperando con tutto se stesso che fosse abbastanza resistente. Poi si lasciò scivolare oltre il bordo. Immediatamente, le sue scarpe di cuoio scivolarono sull’erba umida e il suo braccio, aggrappato al ramo, si tese fino a fargli scrocchiare l’articolazione. E in quel momento Grace si rese conto che l’unica cosa che gli impediva di scivolare giù per il declivio fino alla striscia di erba, e poi nell’abisso verso la morte, era proprio il ramo al quale stava aggrappato con la mano destra.
Stava cominciando a cedere. Grace sentiva le radici che si strappavano lentamente.
Era completamente terrorizzato.
“Ti prego aiutami! Sto cadendo!” gridò di nuovo Pewe.
In preda al panico, Roy trovò un altro ramo e poi, aggrappandosi a quello mentre il vento gli soffiava feroce tutt’intorno come se stesse tentando di strapparlo via dalla parete della scogliera, scese ancora un po’.
Non guardare giù, disse a se stesso.
Infilò la punta della scarpa nella parete e si ricavò un piccolo appiglio scivoloso. Poi individuò un altro ramo. Ora si trovava allo stesso livello della carrozzeria sporca e parzialmente contorta della sua macchina. Le ruote avevano smesso di girare e ora l’auto ondeggiava su e giù.
“Cassian, dove diavolo sei?” gridò, cercando di non guardare oltre l’auto.
Il vento si portò via subito le sue parole.
La voce di Pewe era soffocata dalla paura. “Sotto. Riesco a vederti! Ti prego, sbrigati!”
Improvvisamente, il ramo al quale Roy si teneva cedette. Per un lunghissimo, terribile istante Roy pensò che sarebbe caduto all’indietro. Si buttò in avanti in cerca di un altro ramo e lo afferrò, ma il suo peso lo spezzò. Stava cadendo, scivolando oltre la macchina, oltre la lingua di erba verde e poi nel baratro. Afferrò un altro ramo, che era ricoperto da foglie aguzze che gli scivolarono sul palmo della mano, graffiandolo, ma il ramo era giovane e forte, e resistette, lussandogli quasi una spalla. Poi Roy ne trovò un altro con la mano sinistra e vi si aggrappò con tutte le sue forze. Con suo grande sollievo, capì che era più robusto del precedente.
Udì Pewe gridare di nuovo.
Vide un’enorme ombra sopra di sé. Era la sua macchina. Appollaiata cinque o sei metri più in alto, come una piattaforma, ondeggiava in bilico sulla parete della scogliera. Pewe pendeva a testa in giù dalla portiera del passeggero, i piedi impigliati nel groviglio delle cinture di sicurezza, l’unica cosa che gli impediva di cadere.
Grace guardò giù e subito si pentì di averlo fatto. Era proprio sull’orlo del precipizio. Fissò per un istante i marosi che si frangevano sulle rocce sottostanti. Avvertì il peso della forza di gravità sulle braccia e il vento selvaggio e impietoso che gli soffiava attorno. Un piede in fallo... sarebbe bastato un passo falso e sarebbe morto.
Ansimando terrorizzato, cominciò freneticamente a scalciare con il piede destro per cercare di scavarsi un appiglio nel terreno. Il ramo che teneva con il braccio destro si mosse all’improvviso. Grace scalciò più forte la parete gessosa e umida e, dopo qualche istante, riuscì a scavare un buco abbastanza grande da infilarci il piede e sostenere il proprio peso.
Pewe gridò di nuovo.
L’avrebbe aiutato tra un attimo. Prima, però, doveva salvarsi la vita. Se fosse morto, non sarebbe riuscito ad aiutare nessuno dei due.
“Roooy!”
Scalciò con il piede sinistro, scavando anche con quello. Dopo qualche secondo, con entrambi i piedi ben piantati nella parete, si sentì un po’ meglio, anche se non proprio al sicuro.
“Sto cadendo! Rooy! Oddio, tirami fuori di qui! Ti prego, non lasciarmi cadere! Non lasciarmi morire!”
Roy guardò verso l’alto, calcolando i tempi di ogni movimento, finché non riuscì a vedere la faccia di Pewe circa tre metri sopra di lui.
“Stai calmo!” gridò. “Cerca di non muoverti.”
Udì uno schianto secco: un ramo si era spezzato. I suoi occhi scattarono in su. Vide la macchina muoversi. Cadde di parecchi centimetri, ondeggiando ancora di più ora, in equilibrio sempre più precario. Merda. Stava per precipitargli sulla testa.
Centimetro dopo centimetro, con cautela, tirò fuori la radio, terrorizzato all’idea di lasciarla cadere, e chiamò aiuto. Gli venne assicurato che gli aiuti stavano già arrivando e che era stato chiamato un elicottero di soccorso.
Cristo, pensò, ci metterà una vita.
“Ti prego, non lasciarmi morire!” singhiozzava Pewe.
Grace guardò ancora verso l’alto, studiando con attenzione il groviglio delle cinture di sicurezza. Sembravano impigliate inestricabilmente intorno ai piedi del collega. Il vento teneva la portiera spalancata. Poi Grace osservò il modo in cui la macchina stava ondeggiando. Si muoveva troppo. I rami stavano cedendo: scricchiolavano, rompendosi poco a poco. Era un rumore terrificante. Quanto ancora sarebbero riusciti a resistere? Quando avessero ceduto, la macchina sarebbe scivolata giù strisciando sul tetto come un toboga su quel pendio ripido come un trampolino di lancio, finendo a schiantarsi sugli scogli.
Pewe peggiorava le cose, dibattendosi come un ossesso e sforzandosi inutilmente di agguantare il telaio.
“Cassian, smetti di agitarti”, gridò Grace, ormai quasi senza voce. “Cerca di restare immobile. Ho bisogno di aiuto per tirarti su. Non oso farlo da solo, non voglio rischiare di far cadere la macchina.”
“Ti prego, non lasciarmi morire, Roy!” gridò Pewe, dimenandosi come un pesce all’amo.
Arrivò un’altra feroce raffica di vento. Grace si aggrappò ai rami, con il vento che gli strattonava la giacca e la gonfiava come una vela, rendendo ancora più difficile mantenere la presa. Per diversi secondi, finché la raffica non cessò, Grace non osò muovere un muscolo.
“Non mi lascerai morire, vero, Roy?” supplicò Pewe.
“Sai una cosa, Cassian?” gli gridò Grace in risposta. “In realtà al momento sono più preoccupato per la mia macchina.”