105.

Ottobre 2007

Abby uscì in strada in preda allo stordimento. Il suo telefono cominciò a squillare, ma le ci vollero diversi secondi prima che se ne rendesse conto.

“Sì, pronto?” disse.

Era Ricky. Riusciva a malapena a sentirlo sotto il rombo del traffico. “Aspetta”, disse, correndo per la strada sotto la pioggia finché non trovò riparo in un androne. Ci si infilò dentro e disse: “Scusami, non ho sentito, cosa hai detto?”

“Sono preoccupato per la tua mammina.”

Impiegò un lungo istante prima di riuscire a rispondere. Un lungo istante per ricacciare indietro il singhiozzo che le stringeva la gola. Un lungo istante per calmare il respiro affannoso.

“Per favore”, annaspò. “Dimmi dov’è, Ricky, oppure riportamela.”

“Ha bisogno delle sue medicine, Abby.”

“Le prendo io. Tu dimmi solo dove le devo portare.”

“Non è così semplice.”

Nel traffico un autobus si fermò in coda proprio di fronte a lei. Il rumore del motore era troppo forte perché Abby riuscisse a parlare o a sentire alcunché. Tornò fuori, sotto la pioggia, corse sul marciapiedi e si riparò nell’ingresso di un negozio. Non le piaceva il modo in cui Ricky aveva detto non è così semplice.

Improvvisamente, fu presa dal panico all’idea che sua madre fosse morta. Dall’ultima volta che si erano parlate, forse uno spasmo l’aveva uccisa?

Cominciò a piangere. Non poteva farne a meno. Prima lo shock di ciò che aveva letto, e ora questo. Era completamente fuori di sé.

“Sta bene? Ti prego, dimmi solo se sta bene.”

“No, non sta bene.”

“Ma è viva.”

“Per il momento sì.”

Poi Ricky chiuse la comunicazione.

“No!” gridò Abby. “No! Ti prego!”

Rimase appoggiata contro l’ingresso del negozio. Non le importava se qualcuno da dentro la stava guardando. Le lacrime e la pioggia le facevano bruciare gli occhi, quasi accecandola. Ma non abbastanza da impedirle di vedere una piccola auto marrone che passava lentamente davanti a lei.

All’interno c’erano due uomini, e quello sul sedile del passeggero parlava al cellulare. Avevano entrambi i capelli corti: uno era completamente rasato, l’altro li aveva tagliati a spazzola. Tipi militari. O poliziotti.

La guardarono proprio come l’avevano guardata i due uomini che aveva visto passare sulla macchina azzurra prima di entrare da Hawkes. Il tempo che aveva trascorso in fuga aveva acutizzato i suoi sensi, la sua consapevolezza di ciò che la circondava. In quelle due macchine, semplicemente, c’era qualcosa che non quadrava.

Ognuna con il passeggero al telefono.

E gli uomini che la fissavano mentre passavano.

Hugo Hegarty aveva forse chiamato la polizia? L’avevano messa sotto sorveglianza?

Tutte e due le macchine erano nel traffico intenso diretto a sud. Ce n’erano altre? Magari in direzione nord? O forse anche degli agenti che la seguivano a piedi?

Guardò in ogni direzione, poi si mosse verso nord, svoltando di colpo a sinistra in un vicolo e oltrepassando una fila puzzolente di bidoni della spazzatura. Dall’altra parte della strada successiva vide un vicolo che si allungava stretto tra due case. Si guardò rapidamente alle spalle, ma non vide nessuno che la seguiva, così si infilò in quello spazio angusto. La pioggia stava diminuendo un po’ di intensità. I suoi pensieri erano frenetici. Conosceva quella zona come le sue tasche perché una volta, nella sua vita precedente, aveva vissuto in un appartamento nei pressi dei Seven Dials.

Corse rapida, controllando ogni due o tre passi che il pacchetto fosse ancora saldamente sopra la cintura e che i soldi fossero al sicuro nelle tasche. Si guardò indietro più volte. Corse lungo un viale alberato circondato da case di lusso, con poche persone in giro in quel clima orribile che potessero notarla. Lo sforzo fisico e il tamburellare della pioggia sulla faccia la aiutarono a schiarirsi un po’ le idee.

La aiutarono a pensare.

Abby si diresse in salita, verso i Dials, poi svoltò a destra, lungo un’altra via residenziale, ed emerse sopra la stazione ferroviaria. Tenendosi indietro, fuori vista dalla strada, osservò diverse automobili e veicoli commerciali passarle davanti; poi scattò attraverso Buckingham Road e poi in un’altra strada direttamente sopra la stazione. La percorse in discesa e, di nuovo, facendo attenzione alle auto di passaggio, attraversò un altro viale ampio, New England Street, e riprese a salire attraverso un labirinto di viuzze residenziali costellate da cartelli di agenzie immobiliari.

Le venne una fitta al fianco e si fermò per qualche istante, poi proseguì camminando a passo spedito, ansimando e sudando copiosamente. La pioggia era cessata quasi del tutto e si era levata una forte brezza che le rinfrescava la faccia.

Ora riusciva a pensare con maggior chiarezza, più di quanto avesse fatto da ore, come se lo shock di ciò che aveva visto sull’Argus avesse riavviato il suo disco fisso mentale. Camminando decisa, si mantenne nelle vie laterali, controllando costantemente di non essere seguita e cercando tracce di un’automobile blu o marrone o di qualsiasi altra macchina con due passeggeri a bordo, ma non vide nulla che potesse preoccuparla.

Ricky aveva visto l’Argus? La storia era stata pubblicata anche su altri giornali? Ricky l’avrebbe vista, ne era sicura. Ovunque fosse, aveva di certo accesso a giornali, radio, televisione.

Entrò in un’edicola e sfogliò rapidamente alcuni quotidiani nazionali. Per il momento, nessuno di essi parlava di quella storia. Comprò una copia dell’Argus e si fermò davanti al negozio, fissando a lungo la faccia dell’uomo in prima pagina. Dentro di sé provava un turbine di emozioni.

Poi, sempre inchiodata alla strada, rilesse tutto l’articolo. Colmava le lacune nel passato di Dave. I silenzi, le risposte evasive, la rapidità con cui cambiava argomento ogni volta che lei accennava ai suoi trascorsi. Chiariva certe affermazioni di Ricky, quando sondava quanto lei sapesse di Dave.

E Ricky, quanto ne sapeva di lui?

Fece qualche passo, poi si sedette su un gradino umido, tenendosi la testa tra le mani. Si sentiva più spaventata di quanto non fosse mai stata in vita sua. Aveva paura non solo per sua madre, ma per tutto il suo futuro.

La vita è un gioco, amava dirle Dave. Gli piaceva ricordarglielo. Un gioco. E quella storia era iniziata come un gioco.

Ma non era stato divertente.

Nella vita non contano le vittime, Abby. Solo chi vince e chi perde.

Le lacrime tornarono a offuscarle la vista. La voce penosa di sua madre le ronzava nelle orecchie, le echeggiava nel cuore. Compose il numero della madre, poi quello di Ricky, ma non ottenne nulla.

Richiamami. Ti prego, richiamami. Faremo un accordo.

Dopo qualche minuto si alzò e si incamminò in discesa, poi lungo una via affiancata da un recinto oltre il quale si scorgevano i binari della linea ferroviaria Londra-Brighton. Continuò scendendo alcuni scalini di pietra, poi attraversò un piccolo tunnel e salì alla biglietteria della Stazione di Preston Park.

Era una piccola stazione di pendolari, affollata nell’ora di punta e pressoché deserta nel resto della giornata. Se la polizia la stava seguendo, se l’avevano vista in centro, vicino alla Brighton Station, era là che l’avrebbero cercata. Era poco probabile che fossero in quella piccola stazione, decise Abby.

La vita è un gioco.

Studiò gli orari degli arrivi e delle partenze, cercando di pianificare un tragitto che la portasse a Eastbourne evitando la Brighton Station, e poi all’aeroporto di Gatwick, che ora faceva parte del nuovo piano che si stava formando nella sua testa.

D’un tratto, il suo cellulare mandò un bip. Abby lo prese, sperando con tutta se stessa che si trattasse di un messaggio di Ricky, ma non lo era.

Il messaggio diceva:

Il silenzio è d’oro? Baci

Improvvisamente, si rese conto che non aveva risposto al suo ultimo messaggio. Ci pensò per qualche istante, poi scrisse:

Problemi. Baci

Qualche minuto dopo, mentre stava salendo sul treno, il suo cellulare trillò ancora segnalando un messaggio in risposta.

L’amore, come un fiume, scava un nuovo sentiero ogni volta che incontra un ostacolo.

Si accomodò sul sedile, troppo scossa per riuscire a pensare a una citazione con cui rispondere. Si limitò a inviare un semplice Bacio.

Poi si mise a guardare fuori dal finestrino, lo sguardo perso sulla massicciata biancastra che si sollevava ai lati del treno mentre i vagoni uscivano lentamente dalla stazione. Si sentiva sommersa da una paura oscura e gelida.

Doppia identità
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