72.
Ottobre 2007
“È qui”, disse Abby. “Appena dopo il lampione, sulla sinistra.” Guardò di nuovo dal lunotto posteriore. Non c’era traccia né di Ricky né della sua macchina. Ma era possibile che avesse preso una strada più breve, pensò Abby. “Può passare davanti alla casa, girare a sinistra e fare il giro dell’isolato, per favore?” domandò al tassista.
Il tassista obbedì. Era una zona residenziale tranquilla, vicina all’Eastbourne College. Abby scrutò con attenzione le strade e le automobili parcheggiate. Con suo sollievo, non vide nessun segno di Ricky o della macchina che aveva preso a noleggio.
Il tassista la riportò nella via più ampia, fiancheggiata da villette in mattoni rossi, alla fine della quale, completamente incongrua rispetto agli altri edifici, c’era la palazzina di appartamenti degli anni Sessanta in cui viveva sua madre. All’epoca era stata costruita al risparmio, e quattro decenni di venti salmastri del canale della Manica l’avevano trasformata in un obbrobrio.
Il tassista parcheggiò in seconda fila accanto a una vecchia Volvo. Il tassametro indicava trentaquattro sterline. Abby porse all’uomo due banconote da venti.
“Ho bisogno del suo aiuto”, disse. “Le do quaranta sterline per farle capire che non intendo squagliarmela. Non mi dia il resto, voglio che continui a far correre il tassametro.”
Lui annuì, lanciandole un’occhiata preoccupata. Abby si guardò di nuovo alle spalle, ma ancora non si sentiva sicura.
“Adesso entro nel palazzo. Se non torno entro cinque minuti... okay, esattamente cinque minuti, voglio che chiami il 999 e faccia venire qui la polizia. Dica loro che sono stata aggredita là dentro.”
“Vuole che la accompagni?”
“No, va bene così, grazie.”
“Ha problemi con il suo ragazzo? Con suo marito?”
“Sì.” Abby aprì la portiera e scese dal taxi, guardandosi attentamente intorno. “Le do il mio numero di cellulare. Se vede una Ford Focus grigia – quattro porte, pulita, e alla guida c’è un tizio con un berretto da baseball, mi avverta immediatamente.”
Il tassista impiegò un tempo interminabile a trovare una penna e poi, con la scrittura più lenta che Abby avesse mai visto, si appuntò il numero.
Quando ebbe finito, Abby si affrettò verso l’ingresso, aprì il portone ed entrò nell’atrio semibuio. Che strana sensazione, trovarsi di nuovo lì – le sembrava che nulla fosse cambiato. Il pavimento di linoleum, che doveva risalire a quando la palazzina era stata costruita, era immacolato come sempre, e c’erano ancora le stesse, minuscole cassette della posta con quelli che potevano tranquillamente essere gli stessi volantini di consegna a domicilio di pizzerie, ristoranti cinesi, thailandesi e indiani che sporgevano dalla maggior parte delle fessure. L’aria era impregnata dell’odore di detersivo e di verdure bollite.
Guardò la casella di sua madre per vedere se avesse ritirato la posta, e con suo disappunto vide che era piena zeppa. Una delle buste, quasi sul punto di cadere, era un avviso di rinnovo dell’abbonamento televisivo.
La posta era uno dei momenti-clou della giornata di sua madre. Era una fanatica dei concorsi a premi, era abbonata a diverse riviste che ne organizzavano, e aveva sempre avuto fortuna. Molti regali dell’infanzia di Abby e persino qualche
vacanza erano il risultato delle sue vincite, come pure la metà di ciò che sua madre possedeva.
Allora perché non aveva ritirato la posta?
Con il cuore in gola, Abby si affrettò lungo il corridoio verso la porta dell’abitazione di sua madre, sul retro del palazzo. Poteva sentire un televisore acceso in un altro appartamento da qualche parte sopra di lei. Bussò alla porta, poi la aprì usando la chiave senza aspettare risposta.
“Ciao Mami!”
Udì delle voci. Le previsioni del tempo.
Alzò la voce. “Mamma!”
Com’era strano. Erano passati più di due anni da quando era stata in quella casa l’ultima volta. Era consapevole dello shock che avrebbe dato a sua madre, ma ora non poteva preoccuparsene.
“Abby?” La voce di sua madre sembrava sbalordita.
Corse dentro, attraverso il piccolo corridoio e poi nel minuscolo soggiorno, notando a malapena l’odore di muffa e di corpi non lavati. Sua madre era sul divano, magra come un chiodo, i capelli scarmigliati e più grigi di quanto Abby ricordasse, con indosso una vestaglia a fiori e un paio di pantofole con i pompon. Teneva in bilico sulle ginocchia un vassoio rosa – che Abby ricordava dalla sua infanzia – con sopra una scatoletta aperta di budino di riso.
Giornali strappati e pagine di concorsi erano sparsi su tutta la moquette del pavimento, e il televisore Sony a grande schermo trasmetteva le previsioni del tempo dell’ora di pranzo. Il televisore era stato vinto a un concorso, Abby lo ricordava benissimo, ed era appollaiato in modo instabile su un carrello portavivande di metallo, altro premio di un altro concorso.
Il vassoio cadde rumorosamente sul pavimento. Sembrava che sua madre avesse visto un fantasma.
Abby attraversò la stanza e la prese tra le braccia.
“Ti voglio bene mamma”, disse. “Ti voglio tanto bene.” Mary Dawson era sempre stata una donna minuta, ma ora sembrava ancor più piccola di quanto Abby ricordasse, come se in quegli ultimi due anni si fosse ritirata in se stessa. Anche se aveva ancora un viso piacevole, con splendidi occhi azzurri, aveva molte più rughe dell’ultima volta che Abby l’aveva vista. La strinse a sé con forza, con le lacrime che le scorrevano sulle guance, bagnando i capelli di sua madre che avevano sì l’odore dei capelli non lavati, ma anche l’odore della mamma.
Dopo che suo padre era morto, in modo orribile ma misericordiosamente rapido per un cancro alla prostata, dieci anni prima, Abby per un po’ aveva sperato che sua madre trovasse qualcun altro. Ma quando le era stata diagnosticata la malattia, ogni speranza era svanita.
“Cosa succede, Abby?” domandò sua madre. Poi aggiunse, con improvvisa eccitazione: “Non è che siamo su This Is Your Life?4 È per questo che sei qui?”
Abby scoppiò a ridere. Poi, tenendo stretta sua madre, si rese conto che era passato tanto, tantissimo tempo da quando aveva riso l’ultima volta. “Non credo che lo trasmettano più.”
“Non ci sono premi in quel programma, cara.”
Abby rise di nuovo. “Mi sei mancata, mamma!”
“Mi manchi anche tu, tesoro. Sempre. Perché non mi hai detto che stavi tornando dall’Australia? Quando sei tornata? Se avessi saputo che arrivavi mi sarei messa un po’ in ordine!”
Ricordandosi solo ora del tempo che passava, Abby guardò l’orologio. Erano trascorsi tre minuti. Saltò su di scatto. “Torno tra un attimo!”
Corse fuori, guardando con cautela la strada, poi andò al taxi e aprì la portiera. “Ci metterò un po’ di più, ma vale quello che le ho detto prima. Mi chiami, se lo vede.”
“Se si fa vedere, signorina, gli do una bella ripassata!”
“Mi chiami e basta!”
Tornò da sua madre.
“Mamma, adesso non posso spiegarti. Bisogna chiamare un fabbro e far cambiare la serratura della porta di casa, e far mettere una catenella e uno spioncino. E bisogna farlo oggi stesso.”
“Cosa sta succedendo, Abby? Di che si tratta?”
Abby andò al telefono e prese l’apparecchio, girandolo al contrario. Non sapeva che aspetto avesse una microspia, ma non riuscì a vedere nulla. Poi guardò la cornetta, ma nemmeno lì vide nulla di strano. Ma cosa ne sapeva?
“Hai altri telefoni?” chiese.
“Sei nei guai, vero? Che cosa succede? Sono tua madre, dimmelo!”
Abby si chinò e raccolse il vassoio, poi andò in cucina a cercare uno straccio per asciugare il budino di riso rovesciato.
“Ti comprerò un telefono nuovo, un cellulare. Per favore, questo non usarlo più.”
Mentre si chinava a pulirlo, si rese conto che il tappeto era lo stesso del vecchio soggiorno di casa loro a Hollingbury. Era rosso scuro, con un ampio bordo di rose ricamate in verde, ocra e marrone, e in alcuni punti era liso fin quasi al tessuto. Ma era confortante vederlo: la riportava all’infanzia.
“Che succede, Abby?”
“Va tutto bene, mamma.”
Sua madre scosse la testa. “Sarò anche malata, ma non sono stupida. Tu hai paura. Se non puoi parlare con la tua vecchia mamma, a chi puoi dirlo?”
“Ti prego, fai quello che ti dico. Hai le Pagine Gialle?”
“Nel cassetto di mezzo, in basso”, disse sua madre indicandole una cassettiera in noce.
“Ti spiegherò tutto più tardi, ma adesso non c’è tempo, okay?” Trovò l’elenco telefonico. Era vecchio di qualche anno, ma probabilmente non aveva importanza, decise, aprendolo e sfogliandolo finché non trovò la categoria Fabbri e affini.
Fece la telefonata, poi disse a sua madre che quel pomeriggio sarebbe arrivato qualcuno della Eastbourne Lockworks.
“Sei nei guai, Abby?”
Abby scosse la testa, non volendo allarmarla troppo. “Credo che qualcuno mi stia seguendo, un corteggiatore molesto che cerca di rintracciarmi tramite te, tutto qui.”
Sua madre le rivolse una lunga occhiata, come a dimostrarle che non ci credeva fino in fondo. “Stai ancora con quel Dave?”
Abby mise lo straccio nel lavandino della cucina, poi tornò di là e baciò sua madre. “Sì.”
“A me non sembra un tipo a posto.”
“È stato sempre gentile con me.”
“Tuo padre... lui era una brava persona. Non era ambizioso, ma era un brav’uomo. Era saggio.”
“Lo so, mamma.”
“Ricordi cosa diceva sempre? Rideva di me perché facevo tutti quei concorsi e mi diceva che il segreto della felicità non era avere tutto ciò che vuoi, ma volere ciò che hai.” Guardò sua figlia. “Tu vuoi quello che hai?”
Abby arrossì. Poi la baciò di nuovo su entrambe le guance. “Ci sono vicina. Tornerò con un telefono nuovo tra meno di un’ora. Aspetti qualcuno oggi?”
Sua madre ci pensò per un momento. “No.”
“Quella tua amica, quella che vive al piano di sopra e che ogni tanto ti viene a trovare?”
“Doris?”
“Pensi che possa venire a tenerti compagnia finché non torno?”
“Non sono ancora un’invalida”, ribatté lei.
“Nel caso che venga lui.”
Ancora una volta, sua madre la guardò a lungo. “Non credi che dovresti raccontarmi tutta la storia?”
“Più tardi. Te lo prometto. In che appartamento è?”
“Al numero quattro, al primo piano.”
Abby si affrettò a uscire e fece le scale di corsa. Arrivò al pianerottolo, trovò l’appartamento e suonò il campanello.
Qualche istante dopo sentì il rumore di una catenella di sicurezza e desiderò che sua madre ne avesse una. Poi la porta venne aperta di qualche centimetro da una donna statuaria con i capelli bianchi, con lineamenti marcati in parte oscurati da un paio di occhiali neri grandi quanto la maschera di un subacqueo, e circa della stessa forma. La donna indossava un completo elegante di maglia.
“Salve”, disse con un accento molto raffinato.
“Sono Abby Dawson, la figlia di Mary.”
“La figlia di Mary! Parla tanto di lei! Pensavo che fosse ancora in Australia.” Aprì la porta un po’ di più e la guardò più da vicino, mettendo la faccia a pochi centimetri da quella di Abby. “Mi scusi”, disse. “I miei occhi. Ho una maculopatia, riesco a vedere bene soltanto di lato.”
“Mi dispiace”, disse Abby, “povera signora.” Sapeva di doversi mostrare più comprensiva, ma era ansiosa di mettersi all’opera. “Senta, mi chiedevo se poteva farmi un favore. Devo andare via per un’ora e – è una storia lunga – c’è un mio ex ragazzo che mi sta rendendo la vita impossibile, e ho paura che arrivi e dia fastidio alla mamma. Potrebbe per caso stare con lei finché non torno?”
“Ma certo. Preferisce che la mamma venga qui da me?”
“Be’, sì, ma sta aspettando il fabbro.”
“Oh, d’accordo, non si preoccupi. Sarò giù tra un paio di minuti. Prendo il bastone.” Poi, la voce incupita da una minaccia scherzosa, aggiunse: “Se quel tipo si fa vedere se ne pentirà!”
Abby tornò di corsa di sotto, nell’appartamento di sua madre. Le spiegò cosa sarebbe successo, poi disse: “Non aprire la porta a nessuno finché non torno.”
Poi corse in strada e salì di nuovo sul taxi.
“Devo trovare un negozio di cellulari”, disse al tassista. Poi controllò le tasche. Aveva altre centocinquanta sterline in contanti. Dovevano bastare.
* * *
Parcheggiato fuori vista, dietro un camper sul lato destro di una viuzza laterale, Ricky aspettò che il taxi si allontanasse, poi mise in moto e prese a seguirlo, tenendosi a grande distanza, curioso di scoprire dove era diretta Abby.
Al tempo stesso, tenendo una mano sul GSM 3060 Intercept che aveva appoggiato sul sedile accanto, riascoltò la chiamata di Abby alla Eastbourne Lockworks e memorizzò il numero. Era felice di avere con sé l’apparecchio: non aveva voluto correre il rischio di lasciare un oggetto tanto costoso incustodito nel furgone.
Chiamò il fabbro e, educatamente, annullò l’appuntamento, spiegando che la signora, sua madre, aveva dimenticato una visita in ospedale proprio quel pomeriggio. Disse che avrebbe richiamato più tardi per prendere un appuntamento per il giorno seguente.
Poi chiamò la madre di Abby, si presentò come il direttore della Eastbourne Lockworks e si scusò per il ritardo. Il suo staff si stava occupando di un’emergenza. Qualcuno sarebbe andato da lei il prima possibile, ma era probabile che non arrivasse prima di sera. Altrimenti, il suo sarebbe stato il primo lavoro l’indomani mattina. Si augurava di non averle causato problemi. No, rispose la donna.
Il tassista guidava lentamente, come un cretino, il che rendeva l’inseguimento a distanza fin troppo facile: la vernice bianca e azzurra della macchina e la luce sul tetto erano visibili anche a grande distanza. Dopo dieci minuti, iniziò a rallentare ancora di più percorrendo una strada piena di negozi, e le luci rosse degli stop si accesero diverse volte prima che si fermasse davanti a un negozio di telefoni. Ricky sterzò bruscamente, si infilò in un parcheggio e osservò Abby entrare nel negozio.
Poi spense il motore e, colto da fame improvvisa, prese una barretta di cioccolato dalla tasca e si preparò ad aspettare.
4 Si tratta di uno show televisivo americano di grande successo, la cui versione inglese è andata in onda ininterrottamente dal 1955 al 2003. [NdT]