103.
Ottobre 2007
Abby, in attesa sul divano di pelle nello studio di Hugo Hegarty, soffiava sul suo tè sorseggiandolo di tanto in tanto. Prese un biscotto. Non aveva fatto colazione e sentiva il bisogno di un po’ di zuccheri. Hegarty impiegò parecchio prima di tornare.
“Mi dispiace per l’interruzione”, disse educatamente, e tornò a sedersi alla sua scrivania. Poi guardò i francobolli ancora per qualche istante. “Sono tutti di eccellente qualità”, disse. “Condizioni perfette. È una collezione davvero importante.”
Abby sorrise. “Grazie.”
“E lei ha intenzione di venderla in toto?”
“Sì.”
“Che prezzo ha in mente?”
“Il valore di catalogo è di poco superiore ai quattro milioni di sterline”, rispose Abby.
“Sì, più o meno è così. Ma temo che nessuno le pagherà il prezzo di catalogo. Chiunque compri questi francobolli, vorrà avere un margine di guadagno. E migliore è la provenienza, minore il margine, ovviamente.”
“Ha intenzione di comprarli?” domandò Abby. “A un prezzo scontato?”
“Può spiegarmi più nel dettaglio come sono venuti in suo possesso? Ieri sera mi ha detto che stava sistemando la casa di sua zia.”
“Sì.”
“A Sydney, in Australia.”
Abby annuì.
“Come si chiamava sua zia?”
“Anne Jennings.”
“E lei ha qualcosa che può comprovare la catena dei proprietari?”
“Che cosa le serve?”
“Una copia del testamento. Magari potrebbe chiedere al suo avvocato di mandarmela via fax. Non so che ora sia laggiù, adesso.” Guardò l’orologio. “Notte fonda, credo. Potrebbe farlo domani.”
“E lei quanto mi pagherebbe per la collezione?”
“Con una catena di possesso senza ombre di sorta? Sarei pronto a pagare due milioni e mezzo di sterline, più o meno.”
“E senza quella? In contanti, sull’unghia, adesso?”
Hegarty scosse la testa con un sorriso. “Non è il modo in cui opero di solito, mi dispiace.”
“Mi è stato detto che lei era la persona da contattare.”
“No, non io. Non più. Senta, signorina, le darò un consiglio. Divida questa collezione. È troppo grossa. Le persone le faranno delle domande. La divida in più lotti. Ci sono pochi commercianti di francobolli, qui nel Regno Unito. Porti una tavola a uno, una tavola a un altro. Magari si rivolga a qualche collezionista estero. Contratti con loro, mercanteggi sul prezzo. Non deve accettare il loro prezzo, se non è quello che vuole. Li venda con calma, nel giro di un paio d’anni, e così non si farà notare da nessuno.”
Hegarty raccolse i francobolli con cura, quasi con reverenza, e li rimise nelle loro buste protettive.
Disperata, Abby disse con un filo di voce: “Mi può raccomandare qualche commerciante o collezionista qui nel Regno Unito?”
“Sì, be’... mi ci faccia pensare.” Iniziò a snocciolare diversi nomi mentre riponeva i francobolli nella busta imbottita. Abby prese nota. Poi Hegarty aggiunse, come se ci avesse pensato solo in quel momento: “Certo, c’è anche qualcun altro che mi viene in mente.”
“Chi?”
“Ho sentito dire che Chad Skeggs è in città”, disse, puntandole lo sguardo addosso.
E Abby non riuscì a impedirselo: la sua faccia diventò rossa come un peperone. Chiese a Hegarty se poteva chiamarle un taxi.
* * *
Hugo Hegarty accompagnò Abby alla porta. Tra loro era calato un silenzio gelido e Abby non riusciva a pensare a nulla che potesse romperlo. Disse soltanto un debole: “Non è come lei crede.”
“È questo il problema, con Chad Skeggs”, ribatté lui. “Non è mai come si crede.”
Quando se ne fu andata, Hegarty tornò subito nel suo studio e richiamò il detective Branson. Non aveva molto da aggiungere alla loro conversazione precedente, se non il nome della zia della giovane donna: Anne Jennings.
Avrebbe fatto qualunque cosa, pur di mettere i bastoni tra le ruote a Chad Skeggs. Era quello che meritava, per averlo fregato.