47.

Ottobre 2007

Poco prima delle sette, Cassian Pewe guidava la sua Astra verde scuro nelle raffiche di vento e nell’oscurità screziata di neon della strada panoramica costiera. Attraversò due rotonde a Peacehaven, poi proseguì per un paio di chilometri oltrepassando una fila infinita di negozi e di uffici, per metà agenzie immobiliari e per il resto fast food dalle insegne sgargianti. Il paesaggio gli faceva venire in mente le periferie delle piccole cittadine americane che aveva visto nei film.

Poco pratico di quella zona a pochi chilometri a est di Brighton, si lasciava guidare dalla voce femminile del navigatore satellitare. Ora, superata Peacehaven, stava seguendo un camper sulla strada serpeggiante che scendeva dalla collina verso Newhaven. La voce del navigatore gli disse di proseguire diritto per ottocento metri. Poi squillò il cellulare, posato sull’apparecchio viva-voce.

Pewe guardò il display, vide che si trattava di Lucy, la sua ragazza, e allungò una mano per rispondere.

“Ciao tesoro”, disse. “Come sta il mio dolce angelo?”

“Sei in viva-voce?” domandò lei. “Sembri un robot.”

“Mi dispiace, amoruccio. Sto guidando.”

“Non hai chiamato”, disse lei, con un tono ferito e vagamente arrabbiato. “Dovevi chiamarmi stamattina, per questa sera.”

Lucy, che viveva e lavorava a Londra come segretaria di un agente di cambio, non era rimasta molto entusiasta del suo recente trasferimento a Brighton. Molto probabilmente, pensava Pewe, perché lui non l’aveva invitata a trasferirsi con lui. Teneva sempre a distanza le sue donne, promettendo di chiamarle e poi dando buca, e annullando spesso gli appuntamenti all’ultimo momento. Aveva imparato che era il modo migliore per farle stare al loro posto.

“Angelo mio, sono stato tremendameeeente occupato”, cinguettò di nuovo. “Non ho avuto nemmeno un attimo. Una riunione dopo l’altra, per tutto il giorno!”

“Tra centocinquanta metri, svolta a sinistra”, disse la voce.

“Chi è?” domandò Lucy, sospettosa. “Chi c’è in macchina con te?”

“È soltanto il navigatore, tesoro.”

“Quindi ci vediamo stasera?”

“Non credo che staserà sarà possibile, angelo mio. Sono stato assegnato a un caso urgente. Potrebbe essere l’inizio di un’importante indagine per omicidio, con conseguenze serie per la polizia locale di qui. Hanno pensato che io fossi la persona giusta per occuparmene, vista la mia esperienza nella Polizia Metropolitana.”

“E dopo?”

“Be’, se tu saltassi su un treno, potremmo magari cenare sul tardi da queste parti. Che te ne pare?”

“Non esiste, Cassian! Devo essere in ufficio alle sette meno un quarto, domattina.”

“Be’, sì... era solo un’idea”, rispose lui.

Stava attraversando il ponte di Newhaven. Davanti a lui c’era una sfilza di cartelli stradali: uno verso il traghetto della Manica, un altro che puntava a Lewes. Poi, con suo sollievo, ne vide un’altro che indicava Seaford, la sua destinazione.

“Prendi la seconda a sinistra”, ordinò il navigatore.

Pewe si accigliò. Era sicuro che il cartello per Seaford indicasse di proseguire dritto.

“Chi era?” domandò Lucy.

“Sempre il navigatore”, rispose Pewe. “Non mi chiedi come è stata la mia giornata? Il mio primo giorno di lavoro all’Anticrimine del Sussex?”

“Come è andata oggi?” gli chiese lei di malavoglia.

“In realtà”, disse lui, “sono stato promosso!”

“Di già? Credevo che trasferirti dalla Polizia Metropolitana fosse già una promozione. Passare da Ispettore Capo a Soprintendente Investigativo.”

“E adesso è anche meglio. Mi hanno affidato tutti i casi irrisolti – e ciò comprende anche tutte le persone scomparse di cui non si sono mai avute notizie.”

Lei rimase in silenzio.

Pewe svoltò a sinistra.

La strada scomparve dal display del navigatore satellitare. Poi la voce ordinò: “Fare inversione di marcia.”

“Fanculo”, sbottò Pewe.

“Che succede?” domandò Lucy.

“Il mio navigatore non sa dove diavolo sono.”

“Mi sta simpatica”, disse Lucy.

“Ti chiamo più tardi, angelo mio.”

“L’hai detto tu o il tuo navigatore?”

“Oh, molto divertente!”

“Ti auguro una bella cenetta romantica con lei”, disse Lucy, e riappese.

 

* * *

Dieci minuti dopo, il navigatore aveva ritrovato la strada e lo condusse fino all’indirizzo che stava cercando a Seaford, una cittadina residenziale costiera molto tranquilla a pochi chilometri di distanza da Newhaven. Scrutando nell’oscurità i numeri sulle porte, Pewe accostò davanti a una villetta piccola e ordinaria. Una Nissan Micra era parcheggiata sul vialetto.

Accese la luce dell’abitacolo, controllò il nodo della cravatta, sistemò i capelli, scese dalla macchina e chiuse a chiave la portiera. Una raffica di vento lo spettinò non appena imboccato il vialetto che oltre un giardino ben curato conduceva alla porta. Trovò il campanello e lo suonò, maledicendo l’assenza di una veranda. Si udì un unico, funereo scampanellio.

Dopo qualche istante la porta si aprì di qualche centimetro e una donna – a occhio, sulla sessantina, suppose Pewe – lo fissò da dietro un paio di occhiali dalla montatura severa. Vent’anni prima, con una diversa acconciatura e senza tutte quelle rughe, doveva essere stata decisamente attraente, pensò Pewe. Ora, con i capelli corti brizzolati, un maglione arancione senza forma, pantaloni di poliestere marroni e scarpe da tennis, a Pewe ricordava quelle anziane austere che si vedono dietro i banchetti di beneficenza della parrocchia.

“La signora Margot Balkwill?” domandò.

“Sì?” disse la donna, esitante e un po’ sospettosa.

Le mostrò il distintivo. “Sono il Soprintendente Investigativo Pewe della Polizia Anticrimine del Sussex. Mi dispiace disturbarla, ma vorrei scambiare una parola con lei e suo marito riguardo sua figlia, Sandy.”

La bocca piccola e rotonda della donna si spalancò, rivelando denti ingialliti dall’età. “Sandy?” gli fece eco, sconvolta.

“Suo marito è in casa?”

La donna soppesò la domanda per un istante, come una preside che ha appena ricevuto una grossa delusione da uno dei suoi pupilli. “Be’, sì... è in casa.” Esitò ancora, poi gli fece cenno di entrare.

Pewe calpestò lo zerbino con la classica scritta WELCOME ed entrò in un minuscolo corridoio spoglio che odorava leggermente di arrosto e in modo molto più acuto di gatti. Udì l’audio di una soap opera alla tv.

Lei chiuse la porta alle sue spalle e poi chiamò, con voce un po’ timida: “Derek! Abbiamo visite. Un agente di polizia. Un detective”.

Riavviandosi i capelli, Pewe la seguì in un piccolo soggiorno assolutamente immacolato. C’era un divano a tre posti di velluto con un tavolino di vetro, sistemato intorno a un vecchio televisore squadrato sul cui schermo due facce vagamente familiari stavano discutendo all’interno di un pub. Sopra il televisore c’era una fotografia incorniciata di una ragazza bionda e graziosa di circa diciassette anni: dalle foto che Pewe aveva esaminato nel dossier quel pomeriggio, si trattava senza dubbio di Sandy.

Dall’altra parte del soggiorno, accanto a quella che Pewe giudicò una credenza vittoriana decisamente brutta, piena di piatti decorati a motivi bianchi e azzurri, un uomo sedeva a un tavolino ricoperto con cura da fogli di giornale, intento ad assemblare il modellino di un aereo. Strisce di legno di balsa, rotelline e pezzi del carrello, una torretta per le mitragliatrici e altri pezzi che Pewe non fu in grado di identificare erano sparsi su entrambi i lati dell’aereo, che giaceva inclinato, come pronto al decollo, su un piccolo piedistallo. La stanza odorava di colla e di vernice.

Pewe guardò rapidamente il resto del locale. Un caminetto elettrico con tanto di carbone finto, acceso. Uno stereo che aveva tutta l’aria di servire per dischi in vinile e non per i cd. E, ovunque, fotografie di Sandy in età diverse, dall’infanzia fino alla ventina e più. Una, nel posto d’onore sulla mensola del caminetto, era una foto delle nozze di Sandy e Roy Grace. Lei indossava un lungo abito bianco e aveva un bouquet tra le mani. Grace, più giovane e con i capelli molto più lunghi di adesso, indossava un completo grigio e una cravatta argentea.

Il signor Balkwill era un uomo massiccio, con le spalle larghe e l’aria di chi aveva avuto un fisico possente prima di lasciarsi andare. I radi capelli grigi erano pettinati all’indietro ai lati della testa calva, e un accenno di doppio mento scompariva nelle pieghe di un golf multicolore simile a quella della moglie – forse li aveva fatti lei a maglia entrambi. Si alzò, un po’ ingobbito e con la schiena curva, come un uomo sconfitto dalla vita, e girò intorno al tavolo. Sotto il maglione, che gli arrivava quasi alle ginocchia, indossava pantaloni sformati e un paio di sandali neri.

Un gatto tigrato sovrappeso, che sembrava vecchio almeno quanto loro due, uscì da sotto il tavolo, diede un’occhiata a Pewe, inarcò la schiena e uscì dalla stanza con passo felpato.

“Derek Balkwill”, disse l’uomo, con una voce pacata e quasi timida che sembrava molto più piccola della sua corporatura. Tese una grossa mano e diede a Pewe una stretta vigorosa che lo sorprese e gli fece un po’ male.

“Soprintendente Investigativo Pewe”, rispose lui con una smorfia. “Vorrei scambiare due parole con lei e sua moglie a proposito di Sandy.”

L’uomo sembrò immobilizzarsi. Il poco colorito che aveva gli scomparve dal volto già pallido e Pewe notò un lieve tremito nelle sue mani. Per un istante orribile si chiese se l’uomo non stesse per avere un attacco cardiaco.

“Ho appena spento i fornelli”, disse Margot Balkwill. “Gradisce una tazza di tè?”

“Un tè sarebbe perfetto”, rispose Pewe. “Limone, se ne ha.”

“Lavora con Roy, lei, vero?” gli domandò la donna.

“Sì, assolutamente.” Pewe continuava a fissare il marito, preoccupato.

“Come sta?”

“Bene. Al momento è impegnato con un’indagine di omicidio.”

“È sempre occupato.” Derek Balkwill sembrò calmarsi un poco. “È un gran lavoratore.”

Margot Balkwill uscì dalla stanza.

Derek gli indicò l’aereoplanino. “Lancaster.”

“Seconda guerra mondiale?” rispose Pewe, cercando di sembrare bene informato.

“Ne ho altri, di sopra.”

“Davvero?”

L’uomo fece un timido sorriso. “Ho un Mustang P45. Uno Spit. Un Hurricane. Mosquito. Wellington.”

Ci fu una pausa di silenzio imbarazzato. Ora, sullo schermo televisivo, due donne stavano discutendo di un abito da sposa. Poi Derek gli indicò il Lancaster. “Mio padre li pilotava. Settantacinque missioni. Ha presente i Dambusters? Ha mai visto il film?”

Pewe annuì.

“Era uno di loro. Uno di quelli che sono tornati. Uno dei pochi.”

“Era un pilota?”

“Mitragliatore di coda. Tail End Charlie, così lo chiamavano.”

“Un uomo coraggioso”, disse educatamente Pewe.

“Non proprio. Faceva solo il suo dovere. Dopo la guerra era diventato un uomo diverso, amareggiato.” Poi, dopo qualche secondo, aggiunse: “La guerra ti incasina, lo sa?”

“Posso immaginarlo.”

Derek Balkwill scosse la testa. “No. Nessuno può immaginarlo. È da molto che è nella polizia?”

“Diciannove anni a gennaio.”

“Proprio come Roy.”

 

* * *

Quando la donna tornò con il tè e un vassoio di biscotti, Derek Balkwill armeggiò con il telecomando e azzerò il volume, lasciando però il televisore acceso. Si sedettero tutti e tre, Pewe su una poltrona, i Balkwill sul divano.

Pewe prese la tazza, tenendo il manico tra le dita curate, soffiò sul tè, bevve un sorso e poi posò la tazza sul tavolino. “Sono stato trasferito da poco all’Anticrimine del Sussex dalla Polizia Metropolitana di Londra”, disse. “Mi hanno chiamato per riesaminare vecchi casi. Non so come dirlo con più delicatezza, ma... ho studiato i casi di persone scomparse e non credo affatto che la scomparsa di vostra figlia sia stata investigata in modo adeguato.”

Si appoggiò allo schienale e aprì le braccia in un gesto espansivo. “Con questo voglio dire... senza la minima intenzione di criticare Roy, ovviamente...” Esitò, finché il doppio cenno del capo da parte dei due gli diede la certezza di poter continuare. “In qualità di persona esterna e completamente imparziale, mi sembra che Roy Grace fosse davvero troppo coinvolto dal punto di vista emotivo per poter condurre un riesame distaccato dell’indagine sulla scomparsa di sua moglie.” Fece una pausa e prese un altro sorso di tè. “Mi chiedevo soltanto... voi due avete qualche opinione in merito?”

“Roy sa che lei è qui?” domandò Derek Balkwill.

“Sto conducendo un’indagine indipendente”, rispose Pewe, evasivo.

La madre di Sandy si accigliò, ma non disse nulla.

“Male non può farne”, disse infine suo marito.

Doppia identità
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