15.

11 settembre 2001

Ronnie si affrettò lungo la West Broadway, attraversando Murray Street, Park Place e poi Barclay Street. Ora il World Trade Center era dritto di fronte a lui, dalla parte opposta di Vesey Street, i due monoliti argentei che si ergevano ripidi verso il cielo. Gli odori dell’incendio erano più forti e nell’aria fluttuavano fogli di carta arricciati e in fiamme, mentre dal cielo piovevano detriti sul terreno.

Attraverso il denso fumo nero poteva vedere un cuore cremisi, come se la torre stesse sanguinando. Poi lampi di color arancio brillante. Fiamme. Gesù, pensò, sentendo una paura terribile e oscura che gli attanagliava le viscere. Non può succedere davvero.

La gente usciva barcollando dagli ingressi della torre, l’aria sconvolta, gli sguardi fissi verso l’alto, uomini con camicie stirate ma senza giacca, alcuni con il cellulare all’orecchio. Per un istante Ronnie rimase a guardare una brunetta attraente con un tailleur che avanzava zoppicando con una scarpa sola. D’un tratto si portò le mani alla testa, in preda al dolore, come se uno degli oggetti cadenti l’avesse appena colpita, e Ronnie vide un rivolo di sangue scorrerle lungo una guancia.

Esitò. Non sembrava sicuro proseguire oltre. Ma aveva bisogno di quell’incontro, ne aveva un bisogno disperato. Devo rischiare pensò. Correre a più non posso. Tossì, la gola invasa dal fumo, e scese dal marciapiedi. Lo scalino era più alto di quanto pensasse e, quando le rotelle del trolley scesero, la maniglia gli si torse nella mano e la valigia cadde.

Merda! Non farmi questo.

Poi, proprio mentre si chinava per afferrare la maniglia che gli era sfuggita, udì l’urlo assordante del motore di un jet.

Sollevò di nuovo lo sguardo. E non riuscì a credere ai proprio occhi. Una frazione di secondo più tardi, prima che avesse il tempo di capire ciò che stava vedendo, ci fu un’esplosione. Un rombo di tuono metallico, come la collisione di due bidoni di grandezza cosmica. Un suono che sembrò echeggiargli nel cervello e continuare a rimbalzare sulle pareti del cranio, rotolando fuori controllo dentro la testa finché non gli venne l’impulso di ficcarsi le dita nelle orecchie per farlo smettere, per soffocarlo. Poi avvertì l’onda d’urto. La sentì spostare ogni singolo atomo del suo corpo.

Un’enorme palla di fuoco arancione, accompagnata da una pioggia di scintille incandescenti e da fumo nero, eruppe vicino alla sommità della Torre Sud. Per un istante infinito Ronnie rimase affascinato dalla meraviglia di quello spettacolo: il contrasto dei colori – l’arancio, il nero – che si stagliava contro l’azzurro profondo del cielo.

Sembrava che un milione, un miliardo di piume stesse fluttuando nell’aria intorno alla fiammata, andando alla deriva, senza fretta, verso terra. Come al rallentatore.

Poi la realtà lo investì.

Pezzi di legno, vetro, sedie, scrivanie, telefoni, mobiletti piovevano dal cielo, andando in mille schegge sul terreno davanti a lui. Una macchina della polizia accostò proprio al suo fianco. Le portiere si aprirono prima ancora che l’auto si fermasse del tutto. A meno di cento metri sulla sua destra, lungo Vesey Street, quello che all’inizio gli sembrò un disco volante in fiamme atterrò con un clangore assordante, scavando un profondo cratere nell’asfalto, e poi rimbalzò via, catapultando ovunque pezzi di lamiera e sprizzando fiamme tutt’intorno. Quando finalmente rimase immobile, continuò a bruciare con ferocia.

Con suo assoluto orrore, Ronnie si rese conto che si trattava del motore di un jet.

E che quella era la Torre Sud.

L’ufficio di Donald Hatcook era lì. All’ottantasettesimo piano. Tentò di contare verso l’alto.

Due aerei.

L’ufficio di Donald. Secondo una rapida stima, l’ufficio di Donald era nel punto colpito dal secondo aereo.

Che cosa diavolo sta succedendo? Oh, Gesù Cristo, che cosa diavolo sta succedendo?

Rimase a fissare la turbina in fiamme. Poteva sentirne il calore. Vide i poliziotti che correvano verso di lui.

Il cervello gli stava dicendo che non ci sarebbe stato nessun appuntamento, ma Ronnie tentò di ignorarlo. Il cervello si sbagliava. Gli occhi si sbagliavano. In qualche modo sarebbe riuscito a incontrarsi con Donald. Doveva solo continuare ad andare avanti. Continua ad andare avanti. Puoi ancora farcela a incontrarlo. Puoi ancora farcela. HAI BISOGNO DI QUEL CAZZO DI COLLOQUIO!

E un’altra parte del cervello gli stava dicendo che, mentre un aereo che colpiva le Torri Gemelle poteva anche essere un incidente, due erano qualcos’altro. Due non erano una coincidenza.

Spinto da una disperazione assoluta, strinse con forza la maniglia della valigia e ricominciò a camminare, determinato.

Qualche secondo più tardi udì un tonfo sordo, come un sacco di patate caduto a terra. Sentì una frustata bagnata sulla faccia. Poi vide qualcosa di bianco e scomposto rotolare verso di lui e fermarsi a pochi centimetri dai suoi piedi. Era un braccio umano. Qualcosa di umido gli stava scivolando lungo la guancia. Si portò una mano alla faccia e le sue dita toccarono del liquido. Le guardò e vide che erano sporche di sangue.

Il suo stomaco si rovesciò come cemento in una betoniera. Ronnie si voltò dall’altra parte e vomitò la colazione, senza quasi accorgersi di un altro tonfo a pochi metri di distanza. Le sirene ululavano, sirene dalla bocca dell’inferno. Sirene tutt’intorno. Dappertutto. Poi un altro tonfo, e un altro spruzzo sulla sua faccia e sulle sue mani.

Sollevò lo sguardo. Fiamme e fumo e sagome piccole come formiche e vetro e un uomo, in pantaloni e maniche di camicia, che roteava in caduta libera dal cielo. Perse una scarpa, girando all’infinito su se stesso. Ronnie lo osservò per tutta la traiettoria, si girava e si rigirava, senza fine. Persone grandi come soldatini giocattolo e detriti, dapprima indistinguibili le une dagli altri, stavano piovendo dal cielo.

Ronnie rimase fermo, immobile, a guardare, incapace di fare altro. Gli venne in mente un set di francobolli che aveva venduto una volta, francobolli che omaggiavano la visione della morte e dell’inferno del pittore olandese Hieronymus Bosch. Ecco che cos’era tutto ciò. L’inferno.

L’aria puzzolente e soffocante ora traboccava di rumori. Grida, sirene, strilli, il tonfo delle pale degli elicotteri. Vigili del fuoco e poliziotti stavano correndo verso i grattacieli. Un mezzo dei pompieri con la scritta Ladder 12 si fermò proprio davanti a lui, bloccandogli la visuale. Ronnie ci girò intorno mentre vigili del fuoco con gli elmetti uscivano dall’autopompa e iniziavano a correre.

Ci fu un altro tonfo. Ronnie vide un uomo grassoccio con un completo scuro atterrare sulla schiena ed esplodere.

Vomitò ancora, ondeggiando in preda alle vertigini, poi cadde in ginocchio, coprendosi la faccia con le mani, e rimase lì per qualche istante, tremando. Chiuse gli occhi, come se quel gesto, in qualche modo, potesse cancellare ogni cosa. Poi si voltò, in preda alla paura improvvisa che qualcuno gli avesse preso la borsa e la valigia. La sua finta borsa di Louis Vuitton. Non che, in quel momento, a qualcuno importasse nulla di chi l’aveva fabbricata. O se era un’imitazione.

Dopo qualche secondo, Ronnie si riprese e si alzò. Sputò diverse volte, cercando di togliersi dalla bocca il sapore del vomito. Poi un lampo di rabbia si trasformò in un’onda di collera cieca che lo travolse. Perché proprio oggi? Perché non un altro giorno? Perché doveva succedere proprio oggi?

Vide una fiumana di persone, alcune interamente ricoperte di polvere bianca, altre sanguinanti, che usciva lentamente, come in trance, dall’ingresso della Torre Nord. Poi udì in lontananza il clacson ritmato di un altro camion dei pompieri. Poi un altro. E un altro ancora. Qualcuno davanti a lui stava usando una videocamera.

Notiziari, pensò. Televisione. Quella stupida di Lorraine si sarebbe fatta prendere dal panico, se avesse visto quella roba. Andava in panico per qualsiasi cosa. Se c’era un incidente sull’autostrada telefonava subito per chiedere se lui stava bene, anche quando avrebbe dovuto già sapere, se solo ci avesse pensato un attimo, che lui era magari a cento chilometri di distanza.

Prese il cellulare dalla tasca e compose il suo numero. Udì un bip e poi sul display comparve un messaggio.

Rete occupata.

Provò ancora due volte, poi rimise via il cellulare.

Soltanto qualche ora più tardi, ripensandoci, si sarebbe reso conto di che colpo di fortuna fosse stato non riuscire a fare quella telefonata.

Doppia identità
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