16.

Ottobre 2007

Dovresti essere luminoso, cazzo! Nell’oscurità totale, Abby si portò l’orologio davanti alla faccia finché non sentì il freddo del vetro e dell’acciaio contro la punta del naso, e ancora non riusciva a vedere un accidenti di niente.

Ho speso dei soldi per un orologio luminoso, maledizione!

Raggomitolata sul duro pavimento, aveva la sensazione di aver dormito, forse, ma non aveva idea di quanto. Era giorno o era notte?

I suoi muscoli sembravano paralizzati, e aveva un braccio completamente addormentato. Lo agitò in aria, cercando di far riprendere la circolazione del sangue. Pesava come piombo. Avanzò strisciando di una ventina di centimetri e lo agitò di nuovo, poi fece una smorfia di dolore quando il braccio colpì la parete della cabina con un tonfo sordo.

“C’è nessuno?” gracchiò.

Batté ancora, e ancora, e ancora.

Sentì l’ascensore che ondeggiava sotto i suoi colpi.

Batté ancora. E ancora.

Sentiva di nuovo il bisogno di fare pipì. Uno stivale era già pieno. Il fetore di urina stantia stava diventando sempre più forte. Aveva la bocca secca. Chiuse gli occhi, poi li riaprì, si portò di nuovo l’orologio davanti alla faccia. Ma nemmeno questa volta riuscì a vedere nulla.

Squassata da un brivido di terrore, si domandò se non fosse diventata cieca.

Che ore erano? Quando aveva guardato l’ultima volta, prima che saltassero le luci, erano le tre e otto del mattino. Poco dopo aveva fatto pipì nello stivale. O almeno ci aveva provato, in quel buio pesto.

Poi si era sentita meglio ed era riuscita a pensare un po’ più chiaramente. Ora il bisogno di urinare le stava ottundendo di nuovo i pensieri. Tentò di allontanare lo stimolo dalla mente. Qualche anno prima aveva visto un documentario in televisione che parlava di superstiti. Una giovane donna, più o meno della sua età, era stata uno dei pochi passeggeri sopravvissuti a un disastro aereo: il velivolo era precipitato e aveva preso fuoco. La donna ammetteva di essere riuscita a cavarsela perché aveva mantenuto la calma mentre tutti gli altri erano in preda al panico; senza perdere la testa, aveva ragionato secondo logica, e malgrado il fumo e il buio era riuscita a localizzare le uscite di emergenza.

Gli altri superstiti del documentario ripetevano tutti la stessa cosa. Mantenere la calma, pensare con chiarezza. Era quella la via giusta.

Più facile a dirsi che a farsi.

Sugli aerei c’erano delle uscite. E hostess con il sorriso di plastica che indicavano l’ubicazione dei portelli di sicurezza, mostravano giubbotti di salvataggio arancioni e strattonavano maschere a ossigeno, come se a ogni decollo si rivolgessero a un pubblico di ritardati mentali e sordomuti. L’Inghilterra era diventata una nazione maledettamente assistenziale, allora perché non avevano approvato una legge che garantisse la presenza di una hostess in ogni ascensore? Perché entrando non trovavi una bionda robotica a porgerti un foglio plastificato che spiegasse dov’erano le uscite? O a consegnarti un giubbotto salvagente arancione in caso l’ascensore finisse sommerso, e tu con lui? Perché nessuno ti sventolava sotto il naso una maschera a ossigeno?

Improvvisamente udì un doppio bip.

Il suo telefono!

Annaspò alla cieca in cerca della borsetta. Usciva della luce. Il suo cellulare stava funzionando! C’era un segnale! E, ovviamente, c’era anche l’orologio, nel telefono – nel panico, se ne era completamente dimenticata!

Lo tirò fuori e lo fissò. Sul display c’era scritto:

1 Nuovo Messaggio.

A malapena capace di contenere il proprio entusiasmo, Abby aprì il cellulare.

Non riconobbe il numero del mittente. Il messaggio diceva:

So dove sei.

Doppia identità
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