99.
2 novembre 2001
Lorraine era sdraiata nel letto, completamente sveglia. I sonniferi che il medico le aveva prescritto le facevano più o meno l’effetto di un doppio espresso.
Nella stanza c’era la televisione accesa, la piccola merdosa tv portatile che un tempo era nella camera degli ospiti, l’unica che non era stata pignorata dagli ufficiali giudiziari, visto che non c’era da guadagnarci nemmeno un centesimo. Stavano trasmettendo un vecchio film. Lorraine non aveva visto il titolo, ma teneva sempre il televisore acceso, come se lo schermo facesse parte della tappezzeria. Le piaceva la luce che diffondeva, la compagnia delle voci.
Steve McQueen e Faye Dunaway stavano giocando a scacchi in una stanza con le luci soffuse. C’era un’atmosfera erotica, quasi elettrica, tra di loro, ogni gesto e parola sembrava alludere al sesso.
Lei e Ronnie giocavano spesso insieme. Lorraine ricordava i primi anni, quando erano pazzi l’uno dell’altra e a volte facevano cose selvagge, strane. Giocavano a strip-scacchi, e Ronnie la batteva sempre, lasciandola nuda mentre lui restava con tutti i vestiti addosso. E strip-scarabeo.
Mai più. Lorraine ingoiò le lacrime.
Trovava difficile concentrarsi con chiarezza su qualsiasi cosa, difficile pensare con coerenza. Continuava solo a pensare a Ronnie. Le mancava. Lo sognava nelle rare occasioni in cui riusciva a dormire abbastanza a lungo da poter sognare. E nei suoi sogni Ronnie era vivo, sorridente, le diceva che era stata una stupida ad averlo creduto morto.
Era ancora scossa dal contenuto della busta della Fed-Ex che le era arrivata alla fine di settembre, con le fotografie del portafogli di Ronnie e del suo cellulare. La peggiore era quella del portafogli bruciacchiato. Era morto bruciato?
D’un tratto, venne assalita da una possente ondata di dolore. Iniziò a piangere. Aggrappata al cuscino, singhiozzò fino a farsi male al cuore. “Ronnie”, mormorava, “Ronnie, mio adorato Ronnie. Ti amavo così tanto. Così tanto.”
Dopo qualche minuto riuscì a calmarsi e si sdraiò, osservando il film sullo schermo. E poi, paralizzata dal terrore, vide la porta della camera da letto che si apriva. Una sagoma stava entrando nella stanza. Un’ombra alta e nera. Un uomo, la faccia immersa nell’oscurità nascosta dal cappuccio di una mantellina impermeabile. Stava avanzando a grandi passi verso di lei.
Lorraine arrancò all’indietro sul letto, terrorizzata, allungando il braccio verso il comodino in cerca di qualcosa da usare come arma. Il bicchiere d’acqua che teneva sempre lì cadde sul pavimento, rompendosi. Tentò di strillare, ma riuscì a emettere soltanto un gemito soffocato prima che una mano le tappasse con forza la bocca.
E udì la voce di Ronnie. Sussurrante e decisa.
“Sono io!” disse. “Sono io! Lorraine, piccola, sono io. Sto bene!”
Tolse la mano e si scostò il cappuccio dalla testa.
Lorraine accese la luce sul comodino. Lo fissò, incapace di credere ai propri occhi. Guardava un fantasma che si era fatto crescere la barba e si era rasato la testa. Un fantasma che aveva lo stesso odore della pelle di Ronnie, dei capelli di Ronnie, del profumo di Ronnie. Un fantasma che le teneva la testa tra le mani, mani che le davano la stessa sensazione di quelle di Ronnie.
Continuò a fissarlo, sbalordita, stordita, mentre dentro di lei si accendeva una gioia senza fine. “Ronnie? Sei tu, vero?”
“Certo che sono io!”
Lo fissava. A bocca aperta, incapace di dire niente. Lo fissava, continuava a fissarlo. Poi scosse la testa, senza parlare.
“Dicevano tutti... dicevano che eri morto.”
“Tanto meglio”, disse lui. “Lo sono.”
La baciò. Il suo fiato sapeva di sigarette, alcool e vagamente di aglio. In quel momento, per lei era l’odore più buono del mondo.
“Mi hanno mandato delle foto del tuo portafogli e del tuo cellulare.”
I suoi occhi si accesero come quelli di un bambino. “Cazzo! Geniale! Li hanno trovati! È veramente grandioso!”
La sua reazione la confuse. Stava scherzando? Niente, in quel momento, aveva un senso. Si toccò la faccia, mentre le lacrime continuavano a scorrerle lungo le guance.
“Non riesco a crederci”, disse, accarezzandogli il volto, toccandogli il naso, le orecchie, la fronte. “Sei tu. Sei veramente tu.”
“Sì, scema!”
“Come – come hai fatto – come sei sopravvissuto?”
“Perché ho pensato a te e non ero ancora pronto a lasciarti.”
“Perché, perché non hai chiamato? Eri ferito?”
“È una lunga storia.”
Lo attirò a sé e lo baciò. Lo baciò come se stesse scoprendo la sua bocca per la prima volta, esplorandone ogni parte. Poi si scostò un attimo, come per riprendere fiato, e sorrise.
“Sei veramente tu!”
Le mani di Ronnie avevano trovato la loro strada sotto la sua camicia da notte e le stavano esplorando il seno. Quando se l’era fatto rifare, per un po’ le sue tette l’avevano fatto impazzire, ma poi lui sembrava aver perso ogni interesse per quelle più o meno come per qualsiasi cosa. Ma nella notte quell’apparizione, il Ronnie nella sua camera da letto era un uomo del tutto diverso. Era tornato lo stesso che Lorraine ricordava dai tempi felici. Tornato dal mondo dei morti.
Si stava spogliando. Si slacciava le scarpe da tennis. Si calava i pantaloni. Aveva un’erezione enorme. Si tolse la mantellina impermeabile, la polo nera, le calze. Scostò le coperte dal letto e le sollevò rudemente la camicia da notte sulle cosce.
Poi si chinò su di lei e iniziò a farla bagnare con le dita, trovando il suo punto più dolce come solo lui sapeva fare, con perizia, cercandolo, indugiando, umettandosi il dito con le labbra e con gli umori di lei, accendendole un fuoco in ogni centimetro del corpo. Si sporse in avanti, sciogliendo i nastri della camicia da notte e liberandole il seno, per poi baciarle i capezzoli a lungo, a turno, continuando sempre a muovere le dita.
Poi il suo cazzo, più grosso e più duro di quanto non fosse stato da anni, duro come una pietra, si spinse profondamente dentro di lei.
Lorraine gridò di gioia. “RONNIE!”
Immediatamente lui le premette un dito sulle labbra. “Shhhh!” sibilò. “Io non sono qui. Sono soltanto un fantasma.”
Lei gli cinse la testa con le braccia, attirò il suo volto il più possibile al proprio, godendosi la sensazione della barba ruvida sulla pelle, e lo accolse sempre più a fondo dentro di sé.
“Ronnie!” ansimò nel suo orecchio, respirando sempre più veloce mentre raggiungeva l’orgasmo e lo sentiva esplodere a sua volta.
Rimasero immobili sul letto, respirando affannosamente. Sul televisore c’era ancora il film. La ventola del riscaldamento continuava a soffiare aria con un rantolo meccanico intermittente.
“Non sapevo che i fantasmi si potessero eccitare così tanto”, sussurrò Lorraine. “Posso evocarti ogni notte?”
“Dobbiamo parlare”, le disse lui.