94.

Ottobre 2007

Roy Grace era seduto sul sedile posteriore della Ford Crown Victoria senza contrassegni. Mentre imboccavano il Lincoln Tunnel si domandò se un viaggiatore esperto fosse in grado di identificare ogni città del mondo semplicemente dal rumore del suo traffico.

A Londra c’era il costante ruggito dei motori a benzina e il brontolio di quelli a diesel, unito al fruscio lamentoso della nuova generazione di autobus della Volvo. Il rumore di New York era completamente diverso, costituito per lo più dal trepestio regolare degli pneumatici sull’asfalto e dal suono incessante dei clacson.

Dietro di loro, proprio in quel momento, un enorme camion stava suonando il suo.

Il detective Dennis Baker, che era al volante, sollevò una mano verso lo specchietto retrovisore e mostrò il dito medio al camionista. “Vai a fare in culo, stronzo!”

Grace sogghignò: Dennis non era cambiato affatto.

“Voglio dire, Cristo, che cosa vuoi che faccia, stronzo? Vuoi che guidi sul tetto del cazzone davanti a me o cosa? Gesù!”

Abituato da sempre al modo di guidare del suo compagno, il detective Pat Lynch, seduto sul lato del passeggero, si voltò senza fare commenti verso Roy. “È bello rivederti, amico. È passato tanto tempo. Troppo.”

Anche Roy aveva la stessa sensazione. Quei due gli erano piaciuti fin dal primo momento. Nel novembre del 2000 era stato mandato a New York per interrogare un banchiere americano gay il cui partner era stato trovato strangolato in un appartamento a Kemp Town. Il banchiere non era mai stato accusato formalmente, ma era morto per overdose due anni dopo. Roy aveva lavorato con Dennis e Pat per un po’ di tempo su quel caso, e da allora erano rimasti in contatto.

Pat indossava un paio di jeans e un giubbotto di pelle sopra una camicia beige con sotto una maglietta bianca. Con il viso butterato e il taglio di capelli da ragazzino, aveva l’aria vissuta di un duro da film, ma il suo era un carattere sorprendentemente gentile e premuroso. Aveva iniziato come scaricatore di porto e il suo fisico alto e possente l’aveva aiutato non poco in quel lavoro massacrante.

Dennis indossava una pesante giacca a vento nera, con la scritta Cold Case Homicide Squad e lo scudo del Dipartimento di Polizia di New York, sopra una camicia blu, e anch’egli portava dei jeans. Più basso di Pat, più nervoso e dallo sguardo acuto, era un esperto di arti marziali. Anni prima aveva raggiunto il settimo dan negli stili Ryu Te e Isshin-Ryu di karate ed era una specie di leggenda nel Dipartimento di Polizia di New York per le sue capacità di combattimento a mani nude.

Entrambi gli agenti si trovavano alla Stazione di Polizia di Brooklyn a Williamburg East alle otto e quarantasei della mattina dell’undici settembre, quando il primo aereo aveva colpito il World Trade Center. Letteralmente a un chilometro di distanza, dall’altra parte del Ponte di Brooklyn, si erano diretti subito sul posto con il loro capo ed erano arrivati proprio mentre il secondo aereo colpiva le torri, schiantandosi contro la Torre Sud. Nelle settimane successive avevano fatto parte della squadra che aveva passato al setaccio i detriti di Ground Zero, in quello che loro stessi avevano descritto come “il ventre della Bestia”. Dennis era stato trasferito alla postazione della scientifica e Pat al centro di accoglienza al Molo Novantadue.

Negli anni successivi, entrambi – prima in perfetta forma fisica – avevano sviluppato una grave forma d’asma, oltre ai sintomi da stress post-traumatico, ed erano stati trasferiti dai ritmi duri e implacabili del Dipartimento di Polizia di New York alle acque più calme dell’Unità Speciale Investigativa dell’Ufficio del Procuratore Distrettuale.

Pat mise al corrente Grace sul loro lavoro, che consisteva principalmente nel prendere in custodia e interrogare membri della criminalità organizzata. Ora conoscevano ogni diramazione della malavita statunitense come nessun altro. Pat raccontava di come la mafia non avesse più il potere di un tempo. I cattivi, oggi, passavano molto più spesso di prima dall’altra parte, e parlavano. E chi non avrebbe tentato di raggiungere un accordo, disse Pat, di fronte alla prospettiva di una condanna che andava da vent’anni di galera all’ergastolo?

La speranza era di trovare, nelle ventiquattr’ore successive, qualcuno che avesse conosciuto Ronnie Wilson, qualcuno che l’avesse aiutato. Se qualcuno poteva aiutare Grace a cercare un uomo che aveva deliberatamente – ormai Grace ne era sempre più sicuro – fatto sparire le proprie tracce approfittando dell’undici settembre e del caos che ne era seguito, quelli erano Pat e Dennis.

“Sembri più giovane che mai”, disse Pat, cambiando argomento. “Devi essere innamorato.”

“Di tua moglie non hai più avuto notizie?” domandò Dennis.

“No”, fu la breve risposta di Grace. Preferiva non parlare di Sandy.

“È solo invidioso”, disse Pat. “Gli è costata una fortuna liberarsi della sua!”

Grace rise e in quel momento il cellulare emise il doppio segnale di un messaggio in arrivo. Guardò il display:

Contenta che hai fatto buon viaggio. Mi manchi. Manchi anche a Humphrey. Non ha nessuno su cui vomitare. Baci

Roy sorrise, sentendo immediatamente una fitta di desiderio per Cleo. Poi si ricordò una cosa. “Se abbiamo cinque minuti, possiamo passare da uno di quei grandi negozi di giocattoli, come si chiamano... Toys R Us? Voglio prendere il regalo di Natale per la mia figlioccia. Ha una passione per qualcosa che si chiama Bratz.”

“Il più grande è a Times Square, possiamo fermarci ora e poi volevamo partire dal W.”, disse Pat.

“Grazie” Grace guardò fuori dal finestrino. Stavano percorrendo una leggera salita, oltrepassando delle impalcature dall’aria molto precaria. Uno sbuffo di vapore si sollevava da un tombino.

Era un fresco pomeriggio autunnale, con un cielo azzurro e terso. Alcune persone portavano cappotti o giacche pesanti, e mentre si avvicinavano al centro di Manhattan, tutti i passanti sembravano avere fretta. Metà degli uomini indossavano completi con camicie senza cravatta e avevano la faccia preoccupata. La maggior parte di loro parlava al cellulare e nell’altra mano aveva un bicchiere di Starbucks, un segno distintivo obbligatorio.

“Allora, io e Pat ti abbiamo preparato un bel programmino”, disse Dennis.

“Già”, confermò Pat. “Anche se adesso lavoriamo per il Procuratore Distrettuale, è sempre un piacere scortarti in città. Ottima occasione di fare un piacere a un collega, e a un amico.”

“Lo apprezzo davvero molto. Ho parlato con il mio amico dell’Fbi a Londra”, rispose Grace. “Sa che sono qui e sa cosa sto facendo. Se le mie piste sono giuste, potremmo anche rivolgerci ufficialmente al Dipartimento di Polizia di New York.”

Dennis suonò il clacson a un suv Explorer nero di fronte a loro che aveva acceso le quattro frecce e si era fermato. Il conducente cercava qualcosa all’interno dell’abitacolo. “Vaffanculo! Muoviti, stronzo!”

“Ti abbiamo prenotato una stanza al Marriott Financial Center, è proprio vicino a Ground Zero, a Battery Park City. Abbiamo pensato che sarebbe stata una buona base, visto che da lì possiamo raggiungere facilmente tutti i posti che vuoi controllare.”

“E ti dà anche un po’ di atmosfera”, disse Dennis. “È stato malamente danneggiato. Adesso è tutto nuovo. Da lì potrai vedere i lavori in corso a Ground Zero.”

“Sai che si trovano resti delle vittime ancora adesso?” disse Pat. “Sei anni dopo, capisci? Ne hanno trovati alcuni il mese scorso sul tetto del palazzo della Deutsche Bank. Chi non vive in città non si rende conto. Non ha la minima idea della catastrofe scatenata da quegli aerei.”

“Proprio di fronte all’Ufficio del Medico Legale c’è una zona chiusa da tende con dentro otto camion frigoriferi”, spiegò Dennis. “Sono lì da – quanto è? – sei anni, ormai. Là dentro ci sono ventimila resti non ancora identificati. Ci credi? Ventimila?” Scosse la testa.

“Mio cugino è morto”, continuò Pat. “Lo sapevi, vero? Lavorava per la Cantor Fitzgerald.” Sollevò il polso per mostrargli un braccialetto d’argento. “Lo vedi? Ci sono incise le sue iniziali. TJH. Tutti ne abbiamo uno, lo indossiamo in sua memoria.”

“Tutti a New York hanno perso qualcuno, quel giorno”, disse Dennis, sterzando bruscamente per evitare una donna che barcollava in mezzo alla strada. “Merda, signora, vuole scoprire che effetto fa il paraurti di una Crown Victoria? Glielo dico io, non fa molto bene.”

“Comunque”, continuò Pat, “abbiamo fatto quello che potevamo, prima che tu arrivassi. Abbiamo controllato l’albergo dove alloggiava il tuo Ronnie Wilson. C’è ancora lo stesso direttore, e questo è un bene. Ti abbiamo fissato un appuntamento con lui. È disposto a parlarti, ma non ti dirà niente di diverso da quello che sappiamo già. Alcuni effetti personali di Wilson erano ancora nella sua stanza: il suo passaporto, i biglietti aerei, un po’ di biancheria. Ora sono tutti in uno dei depositi per le vittime dell’undici settembre.”

Il cellulare di Grace squillò all’improvviso. Roy si scusò e rispose: “Grace”.

“Ehilà, vecchio mio, dove sei? Ti stai prendendo un gelato in cima all’Empire State Building?”

“Molto divertente. In realtà sono in mezzo a un ingorgo, nel traffico.”

“Okay, benissimo. Ho un altro sviluppo per te. Ci stiamo facendo il culo, mentre tu sei lì a divertirti. Il nome Katherine Jennings ti fa venire in mente qualcosa?”

Grace ci pensò su per un attimo. Si sentiva stanco e annebbiato dal viaggio. Poi ricordò. Era il nome della donna di Kemp Town che il giornalista dell’Argus, Kevin Spinella, gli aveva dato quella sera. Il nome che aveva passato a Steve Curry.

“Che mi dici di lei?”

“Sta cercando di vendere una collezione di francobolli che vale più o meno quattro milioni di sterline. Il commerciante al quale si è rivolta si chiama Hugo Hegarty, che li ha riconosciuti. Non li ha ancora visti, per ora si sono solo parlati al telefono, ma lui è convinto, a parte qualche pezzo mancante, che siano i francobolli che ha comprato per conto di Lorraine Wilson nel 2002.”

“Ha chiesto alla donna dove li ha presi?”

Branson riferì ciò che aveva detto Hegarty, poi aggiunse: “C’è una nota nel database su Katherine Jennings”.

“È mia”, rispose Grace. Rimase in silenzio per qualche secondo, ripensando alla sua conversazione con Kevin Spinella il lunedì precedente. Il giornalista aveva detto che Katherine Jennings sembrava agitata. Avere in proprio possesso quattro milioni di sterline in francobolli faceva quell’effetto? Grace pensò che lui sarebbe stato molto tranquillo, avendo per le mani un bottino di quel genere... sempre che fosse in un posto sicuro.

E allora perché era agitata? Qualcosa non quadrava.

“Credo che dovremmo metterla sotto sorveglianza, Glenn. E abbiamo il vantaggio di sapere dove abita.”

“Potrebbe essersene andata”, rispose Branson. “Ma ha preso appuntamento con Hegarty per domani mattina. E gli porterà i francobolli.”

“Perfetto”, disse Grace. “Vai da Lizzie. Riferiscile questa conversazione e dille che io suggerisco l’invio di una squadra di sorveglianza a casa di Hegarty.” Guardò l’orologio. “C’è abbastanza tempo per fare tutto.”

Anche Glenn Branson guardò l’ora. Per aggiornare Lizzie Mantle non sarebbe bastata una telefonata sbrigativa. Avrebbe dovuto scrivere un rapporto spiegando nei dettagli i motivi per la richiesta di un’unità di sorveglianza e il suo potenziale valore per l’Operazione Dingo. E avrebbe dovuto preparare il briefing. Non sarebbe tornato a casa prima di qualche ora. E ciò significava un’altra lite furibonda con Ari.

Niente di nuovo, insomma.

Quando Roy Grace terminò la chiamata, si sporse verso il sedile anteriore. “Gente”, disse, “conoscete qualcuno che possa farmi una lista di commercianti e collezionisti di francobolli?”

“Ti dai a un nuovo hobby, eh?” ridacchiò Dennis.

“Voglio solo bollare i criminali”, ribatté Grace.

“Merda, amico!” disse Pat, voltandosi a guardarlo. “Le tue battute non sono migliorate per niente, lo sai vero?”

Grace fece un sorrisetto sardonico. “È triste, eh?”

Doppia identità
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