58.
Ottobre 2007
Dopo la riunione, Roy Grace si ritirò nel quieto santuario del suo ufficio e rimase qualche minuto a guardare fuori dalla finestra, oltre la strada. C’erano il parcheggio e l’orribile edificio del supermercato a tagliar fuori quella che sarebbe stata una splendida vista della città di Brighton e Hove che lui amava così tanto. Per lo meno riusciva a vedere un po’ di cielo, e per la prima volta da diversi giorni c’erano delle chiazze azzurre a rompere la coltre di nubi, con raggi di sole che filtravano attraverso il manto grigio.
Tenendo tra le mani la tazza di caffè che Eleanor gli aveva appena portato, abbassò lo sguardo sui vassoi di plastica che contenevano la sua adorata collezione: tre dozzine di accendini d’epoca che non aveva ancora messo in mostra e una bella selezione di berretti di polizia internazionali.
Posata accanto alla grossa trota, un trofeo di pesca che utilizzava nei suoi sermoni ai neo-detective come esempio dei frutti della pazienza, c’era un nuovo arrivo, un regalo di compleanno da parte di Cleo. Era una carpa impagliata, in una teca di vetro, alla base della quale era inciso il motto – un orribile gioco di parole – Carpe diem.
La sua valigetta era aperta sulla scrivania, insieme al cellulare, al dittafono e a un fascicolo di trascrizioni riguardanti le udienze in tribunale che stava aiutando a preparare, una delle quali andava sbrigata quella mattina perché l’avvocato d’ufficio dell’imputato gli stava alle costole.
Inoltre, grazie alla recente promozione, ora aveva nuove pile di dossier e di cartellette che crescevano di minuto in minuto. Eleanor le stava portando dentro sistemandole su ogni superficie disponibile. Contenevano resoconti di casi di tutti i crimini gravi su cui la Sezione Anticrimine della Polizia del Sussex stava attualmente investigando e che lui ora doveva vagliare.
Fece una lista di tutto ciò di cui aveva bisogno per proseguire con l’Operazione Dingo, poi iniziò a leggere le trascrizioni, che richiesero un’ora abbondante. Quando ebbe finito, tirò fuori il taccuino e, partendo dal fondo, lesse le annotazioni più recenti. La sua calligrafia era pessima, così gli ci volle un momento per decifrare l’appunto e ricordare.
Katherine Jennings, Appartamento 82, Arundel Mansions, 29 Lower Arundel Terrace.
Per qualche istante fissò quelle parole senza capirle, aspettando che le sinapsi trovassero un collegamento e gli facessero tornare in mente perché aveva scritto quell’indirizzo. Poi ricordò Kevin Spinella che gli parlava dopo la conferenza stampa del giorno precedente. Gli aveva detto qualcosa a proposito di una giovane donna liberata da un ascensore che gli era sembrata spaventata.
La maggior parte delle persone rimaste bloccate in un ascensore sarebbe stata spaventata. Vagamente claustrofobico e sofferente di vertigini, probabilmente lo sarebbe stato anche lui. Spaventato a morte. Comunque, non si può mai sapere. Decise di fare la cosa giusta e di segnalare la faccenda ai colleghi di Brighton Est. Compose il numero interno dell’agente più in gamba che conosceva lì al distretto, l’ispettore Stephen Curry, gli diede il nome e l’indirizzo della donna e gli spiegò come li aveva ottenuti.
“Non serve farne una priorità, Steve. Però magari manda un paio dei tuoi ragazzi di pattuglia a dare un’occhiata, per vedere se è tutto okay.”
“Assolutamente”, disse Stephen Curry, che sembrava di fretta. “Lascia fare a me.”
“Con grande piacere”, disse Grace.
Dopo aver riagganciato, guardò la mole di lavoro rimasta sulla scrivania e decise che la passeggiata l’avrebbe fatta più tardi, verso l’ora di pranzo, per andare a recuperare la macchina al pub. Avrebbe preso un po’ di aria fresca. Si sarebbe goduto quei rari raggi di sole e cercato di schiarirsi le idee. Poi sarebbe andato in centro per tentare di scovare un paio delle vecchie conoscenze di Ronnie Wilson. Aveva già un’idea di dove cominciare a cercare.