107.

Ottobre 2007

Il telefono di Abby restava in silenzio. Sembrava che la sua linea di collegamento con il mondo fosse scomparsa. Erano passate quasi tre ore da quando aveva sentito Ricky.

Fissava fuori dal finestrino del vagone ferroviario deserto, tenendo stretta tra le mani la busta di plastica in cui aveva infilato tutte le medicine che era riuscita a trovare nel bagno e nella camera da letto di sua madre. Aveva detto a Doris che stava trasferendo sua madre in una casa di riposo perché era preoccupata che non fosse in grado di badare a se stessa, e che le avrebbe telefonato per darle il nuovo indirizzo e il nuovo numero di telefono della mamma. Doris aveva risposto che era triste perdere la sua vicina di casa, ma che sua madre era molto fortunata ad avere una figlia che si preoccupava così tanto per lei.

Piuttosto ironico, pensò Abby.

Porzioni sempre più grandi di cielo stavano diventando azzurre. Grosse nubi correvano come se fossero impegnate in una missione urgente. Stava diventando un bel pomeriggio autunnale, nuvoloso. Proprio il tempo ideale per camminare lungo la riva del mare, in particolare sulla passeggiata sotto la scogliera a Black Rock, oltre la Marina verso Rottingdean.

Anche a sua madre piaceva quella passeggiata. A volte, ci andavano insieme la domenica pomeriggio, tutta la famiglia, lei e i suoi genitori. Abby la amava soprattutto con l’alta marea, quando le onde esplodevano sugli scogli e a volte si schiantavano contro l’argine stesso, sommergendoli di spruzzi salati.

E c’era un tempo – perso da qualche parte nelle nebbie della sua infanzia – in cui ricordava di essere stata davvero felice. Era stato prima che cominciasse ad accompagnare suo padre nelle ville di lusso dove lavorava? Prima che vedesse che esisteva gente diversa, con una vita diversa dalla loro?

Era stato allora? Il momento in cui era cambiata?

In lontananza, alla sua sinistra, poteva vedere le morbide colline dei Downs, mentre il treno procedeva verso Brighton, verso il luogo legato a tanti ricordi della sua vita. Dove vivevano ancora i suoi amici. Amici che non sapevano che lei era lì. Amici che le sarebbe tanto piaciuto rivedere. Più di ogni altra cosa, sentiva nostalgia dei suoi amici, ora. Avrebbe voluto aprire il suo cuore a qualcuno che non fosse coinvolto in tutta quella storia. Qualcuno capace di pensare con lucidità e di dirle se era diventata pazza oppure no. Ma per quello temeva che ormai fosse troppo tardi.

Gli amici erano l’unica parte della vita che non era un gioco. Ma a volte era necessario liberarsi di loro, per quanto difficile potesse essere.

Gli occhi le si inumidirono ancora. Aveva un senso di nausea che le attanagliava la bocca dello stomaco. Non aveva mangiato niente tutto il giorno a parte quell’unico biscotto a casa di Hugo Hegarty, e aveva bevuto una Coca-cola sulla banchina della Stazione di Gatwick poco prima. Il nodo che le stringeva la gola le impediva anche solo di pensare a inghiottire qualcos’altro.

Ti prego, telefona.

Stava attraversando Hassocks. Poco dopo entrarono nel Clayton Tunnel. Abby rimase ad ascoltare il rombo del treno che riverberava fragoroso sulle pareti. Vide la propria immagine riflessa, pallida e spaventata, che ricambiava il suo sguardo dal finestrino.

Quando tornarono alla luce – con il verde declivio di Mill Hill alla sua destra e la London Road alla sua sinistra – vide con sgomento che sul cellulare c’era una chiamata persa.

Merda.

Nessun numero.

Poi il telefono squillò. Era Ricky.

“Mi sto preoccupando sempre di più per tua madre, Abby. Non sono sicuro che sopravviverà ancora per molto.”

“Ti scongiuro, Ricky, fammi parlare con lei!”

Ci fu una breve pausa. “Non credo che sia in grado di parlare”, disse infine Ricky.

Una nuova scheggia di paura, nera e sottile, le si conficcò nell’animo. “Dove sei?” domandò. “Verrò da te. Ci vediamo dove vuoi, ovunque. Ti darò tutto quello che vuoi.”

“Sì, Abby, so che lo farai. Ci incontreremo domani.”

“Domani?” gli gridò. “Non esiste, cazzo! Dobbiamo farlo adesso, per favore. Devo portarla in ospedale!”

“Ci vedremo quando lo vorrò io. Mi hai già causato abbastanza fastidi. Adesso avrai un assaggio di come ci si sente.”

“Questo non è un semplice fastidio, Ricky. Per favore, per l’amore di dio. È una vecchia signora ammalata. Non ha fatto niente di male. Non ti ha fatto niente. Prenditela con me, non con lei.”

Il treno stava rallentando, avvicinandosi a Preston Park, dove Abby aveva intenzione di scendere.

“Sfortunatamente, Abby, è lei che ho per le mani, non te.”

“Facciamo cambio.”

“Molto divertente.”

“Per favore, Ricky, incontriamoci e basta.”

“Ci incontreremo domani.”

“No! Adesso! Per favore, vediamoci oggi. Mia madre potebbe anche non sopravvivere fino a domani.” Stava diventando isterica.

“Sarebbe un vero peccato, non credi? Morire sapendo che sua figlia è una ladra.”

“Dio onnipotente, sei veramente un lurido bastardo.”

Ignorando l’epiteto, Ricky disse: “Avrai bisogno di una macchina. Ti ho spedito la chiave per posta. La riceverai al tuo indirizzo domani mattina.”

“Alla macchina hanno messo le ganasce”, rispose Abby.

“Allora dovrai noleggiarne una per i fatti tuoi.”

“Dove ci incontriamo?”

“Ti chiamerò io domani mattina. Vai a noleggiare un’auto stasera. E porta i francobolli con te, hai capito?”

“Per favore, possiamo incontrarci ora, questo pomeriggio?”

Lui chiuse la comunicazione. Il treno si fermò con un sussulto.

Abby si alzò e avanzò barcollando verso l’uscita, tenendo strette a sé la borsetta e la busta di plastica con una mano e il corrimano con l’altra. Scese sulla banchina. Erano le quattro e un quarto.

Devo mantenere la calma, pensò. Devo. In qualche modo, devo riuscirci.

Oh, Gesù, ma come?

Mentre usciva dalla stazione e si dirigeva verso il posteggio dei taxi, pensò di essere sul punto di vomitare. Con sua grande delusione, vide che non c’erano auto in sosta. Guardò l’orologio, ansiosa, poi chiamò una delle compagnie locali di radiotaxi. Poi fece un altro numero, un numero che aveva già chiamato poco prima. Le rispose la stessa voce maschile. “South-East Philatelic.”

Era l’unico commerciante di francobolli che Hugo Hegarty non le aveva nominato.

“Sono Sarah Smith”, disse. “Sto per arrivare, sto aspettando un taxi. A che ora chiudete?”

“Non prima delle cinque e mezza”, rispose l’uomo.

Quindici, eterni minuti dopo, il taxi arrivò.

Doppia identità
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