88.
Ottobre 2007
“Dov’è mia madre?” gridò Abby nel telefono prima ancora che Ricky avesse il tempo di parlare. “Dov’è, brutto bastardo? DOV’È MIA MADRE?”
Alle sue spalle si aprì una porta e un uomo anziano guardò fuori, poi la richiuse con forza.
Ripensandoci ora, Abby si sentiva troppo stupida per aver lasciato la madre alla custodia di quella vecchia vicina. Si rifugiò nella privacy delle scale.
“Voglio parlarle subito. Dov’è?”
“Tua madre sta bene, Abby”, disse lui. “È comoda come uno scarafaggio in un tappeto, in caso ti chiedessi dov’era finito.”
Con il telefono attaccato all’orecchio, Abby scese al piano di sotto e rientrò nell’appartamento della madre, chiudendosi la porta alle spalle. Raggiunse il soggiorno, fissando le assi del pavimento là dove prima c’era il tappeto. Le lacrime le rigavano le guance. Stava tremando, e iniziava a sentirsi dissociata da se stessa, il primo segnale di un attacco di panico in arrivo.
“Sto per chiamare la polizia, Ricky”, disse. “Non mi interessa più di nient’altro. Okay? Adesso chiamo la polizia.”
“Non credo proprio, Abby”, rispose lui, imperturbabile. “Credo che tu sia troppo furba per fare una cosa del genere. E che cosa dirai? Ho rubato tutto ciò che quest’uomo possedeva e adesso lui è arrabbiato con me e ha preso mia madre in ostaggio. Devi prenderti le responsabilità di quello che fai, Abby. Nel mondo d’oggi, con tutte le leggi contro il riciclaggio, dovrai essere in grado di rendere conto delle enormi somme di denaro che possiedi. Come potrai giustificare quello che hai, con il tuo stipendio di barista a Melbourne?”
Abby gridò nel telefono. “Non mi interessa più niente, Ricky! Okay?”
Dopo una breve pausa di silenzio, lui disse: “Oh, invece io credo di sì. Tu non hai agito d’impulso. La fregatura che mi hai dato l’avevi pianificata a lungo. Avevate pensato a tutto, tu e Dave, vero? È stato lui a dirti anche come scoparmi, oppure quella è stata un’idea tua?”
“Questo non ha niente a che fare con mia madre. Riportala indietro. Riportala qui e parleremo.”
“No, tu mi porti tutto quello che mi hai preso, e poi parliamo.”
L’attacco di panico stava peggiorando. Abby respirava affannosamente, la testa le bruciava. Si sentiva come se stesse fluttuando fuori dal corpo, sentiva che il suo corpo le sarebbe morto sotto gli occhi. Inciampò e barcollò di lato, urtò il bracciolo del divano e poi ci si aggrappò disperatamente. Si lasciò scivolare sul divano e sedette, in preda alle vertigini.
“Adesso riattacco”, annaspò, “riattacco e chiamo la polizia.”
Ma mentre lo diceva si rendeva già conto che molta convinzione era scomparsa dal suo tono di voce, e che anche lui se ne era accorto.
“Sì, certo, e poi cosa fai?”
“Non mi importa. Non me ne frega niente!” Come una bambina capricciosa, ripeté la frase diverse volte, ogni volta a voce più alta. “Non me ne frega niente!”
“Dovrebbe fregartene, invece. Perché la polizia troverà una vecchia signora, malata cronica, suicidata, e scoprirà che la figlia è una ladra che racconta una storia inverosimile sull’uomo che ha derubato di tutto, e l’altro uomo che le ha messo l’idea in testa non sarà certo disponibile ad andare sul banco dei testimoni per confermare quella versione. Quindi pensa a un modo per uscirne, puttana. Adesso ti darò il tempo di calmarti e intanto preparerò alla tua mammina una bella tazza di tè. Ti richiamo dopo.”
“No! Aspetta...” gridò lei.
Ma Ricky aveva riattaccato.
Poi, improvvisamente, Abby si ricordò del taxi che la aspettava fuori, con il tassametro in funzione.