86.
Ottobre 2007
Bella chiamò via radio una delle ricercatrici dell’Operazione Dingo, nella sala controllo, e le chiese di compilare una lista completa di tutti i commercianti e i collezionisti di francobolli della zona di Brighton e Hove. Poi Glenn si rimise alla guida e insieme si diressero verso Queen’s Road, dal commerciante di cui aveva parlato Stephen Klinger.
Appena oltre la stazione ferroviaria, Hawkes sembrava uno di quei posti che sono lì da sempre. Aveva quel genere di vetrine che non cambiano mai ma che vengono aggiornate di tanto in tanto. Era piena di monete in scatole di velluto, medaglie, first-day cover in buste di plastica e vecchie cartoline postali.
Entrarono nel negozio per sfuggire alla pioggia che si andava intensificando e videro due donne sulla trentina che avrebbero potuto essere sorelle, entrambe bionde e carine. Non proprio l’immagine mentale che aveva Branson di un appassionato filatelico. Era convinto che le collezioni di francobolli fossero territorio esclusivo di signori un po’ eccentrici e decisamente maschi.
Le donne erano immerse in una fitta conversazione e non mostrarono di averli visti, come se fossero abituate ai perditempo che entravano solo per curiosare. Glenn e Bella si guardarono intorno, aspettando educatamente che finissero di parlare. Il negozio all’interno era ancora più ingombro di quanto avessero previsto da fuori: quasi tutto lo spazio disponibile era occupato da tavoli montati su cavalletti che reggevano scatoloni pieni di cartoline osé del secolo scorso e paesaggi della vecchia Brighton.
D’un tratto le donne interruppero la conversazione e si voltarono a guardarli. Branson mostrò il distintivo.
“Sono il sergente investigativo Branson della Polizia Anticrimine del Sussex, e questa è la mia collega, Sergente Investigativo Moy. Vorremmo parlare con il proprietario. È una di voi?”
“Sì”, disse quella che sembrava più vecchia. Parlò in tono piacevole, ma riservato. “Sono Jacqueline Hawkes. Di che si tratta, sergente?”
“I nomi Ronnie e Lorraine Wilson le dicono qualcosa?”
La donna parve sorpresa e poi lanciò un’occhiata all’amica. “Ronnie Wilson? Mia madre faceva spesso affari con lui, qualche anno fa. Lo ricordo perché gli piaceva tirare sul prezzo. È morto, vero? Se non sbaglio, è morto l’undici settembre, all’attentato alle Torri Gemelle.”
“Sì”, disse Bella, non volendo dire più del necessario.
“Era un commerciante importante? Di alto livello?” domandò Branson. “Come dire, trattava francobolli estremamente rari, di grande valore?”
La donna scosse la testa. “Non qui. Non ci occupiamo di francobolli di grande valore, non abbiamo quel genere di merce. Il nostro è un negozio decoroso, ma niente di più.”
“Di cosa vi occupate, precisamente?”
“Piccole cose. I francobolli che trattiamo valgono al massimo qualche centinaio di sterline. Salvo che si presenti un vero affare. In quel caso possiamo osare un po’ di più.”
“Lorraine Wilson si è mai rivolta a voi?” domandò Glenn.
Jacqueline ci pensò per un attimo, poi annuì. “Sì, è stata qui... non saprei dire quando, con esattezza. Non molto dopo che lui era morto, credo. Sì, non era passato tanto. Aveva qualche francobollo di suo marito che voleva vendere. Glieli abbiamo comprati – non una grossa somma – a quanto ricordo, qualche centinaio di sterline.”
“Ha mai parlato con voi di francobolli molto più rari? Di cifre veramente importanti?”
“Cosa intende per cifre importanti?”
“Centinaia di migliaia di sterline.”
Jacqueline scosse la testa. “Mai.”
“Se qualcuno venisse da voi e volesse comprare, diciamo, francobolli per un valore di diverse centinaia di migliaia di sterline, che cosa fareste?”
“Lo manderei a una casa d’aste di Londra o da un commerciante specializzato, e spererei che fosse abbastanza onesto da darmi una commissione!”
“Da chi lo mandereste, in questa zona?”
Lei si strinse nelle spalle. “C’è solo una persona a Brighton che tratta a questo livello, le cifre di cui state parlando. È Hugo Hegarty. Sta invecchiando, ormai, ma so che commercia ancora.”
“Avete il suo indirizzo?”
“Sì. Ve lo scrivo subito.”
* * *
Dyke Road, che si trasformava senza soluzione di continuità in Dyke Road Avenue, si estendeva come una spina dorsale da pressi del centro di Brighton fino ai Downs, e formava parte del confine tra Brighton e Hove. Salvo per un paio di tratti dove era costeggiata da negozi, uffici e ristoranti, per gran parte della sua lunghezza era una via residenziale, con villette indipendenti che diventavano più eleganti e appariscenti via via che ci si allontanava dal centro cittadino.
Con grande sollievo di Bella, il traffico era intenso, e ciò obbligava Glenn a guidare a passo d’uomo. Contando i numeri civici, a un certo punto disse: “Tra poco, sulla sinistra”.
C’era un vialetto d’accesso a doppio senso, quasi uno status symbol obbligatorio per quel quartiere. Ma, diversamente dalla casa dei Klinger, lì non c’erano cancelli elettrici, soltanto un cancello di legno che aveva tutta l’aria di non venir chiuso da anni. Il vialetto era ingombro di macchine, così Branson parcheggiò sulla strada, di traverso sul marciapiedi: ostruiva una pista ciclabile, ne era ben consapevole, ma non aveva scelta.
Entrarono a piedi, girando intorno a una vecchia BMW decapottabile, a una Saab ancora più vecchia, a una Aston Martin DB7 grigia e molto sporca e a due Volkswagen Golf. Glenn si chiese se Hegarty non commerciasse anche in automobili, oltre che in francobolli.
Entrarono in un portico e suonarono il campanello. Quando l’imponente porta di quercia venne aperta, Glenn Branson trasalì. L’uomo che venne ad aprire era il sosia sputato di uno dei suoi attori preferiti di tutti i tempi, Richard Harris. Ne fu così sbalordito che per un attimo rimase senza parole mentre si frugava in tasca in cerca del distintivo.
L’uomo aveva uno di quei volti segnati ai quali Glenn faticava sempre a dare un’età. Poteva avere indifferentemente sessantacinque o ottant’anni. I suoi capelli, più vicini al bianco che al grigio, erano lunghi e alquanto disordinati, e l’uomo indossava un maglione da cricket sopra una camicia sportiva e i pantaloni di una tuta.
“Sergente Investigativo Branson e Sergente Investigativo Moy della Polizia Anticrimine del Sussex”, si presentò Glenn. “Vorremmo parlare con il signor Hegarty. È lei?”
“Dipende quale signor Hegarty state cercando”, rispose l’uomo con un sorriso evasivo. “Uno dei miei figli oppure io?”
“Il signor Hugo Hegarty”, disse Bella.
“Sono io.” Guardò l’orologio. “Tra venti minuti ho appuntamento per una partita a tennis.”
“Le rubiamo solo qualche minuto, signore”, disse Bella. “Vorremmo parlarle a proposito di una persona che riteniamo abbia fatto affari con lei qualche anno fa. Ronnie Wilson.”
Improvvisamente, gli occhi di Hugo Hegarty si strinsero e lui sembrò molto preoccupato. “Ronnie. Buon Dio! Sapete che è morto?” Esitò prima di fare un passo indietro e, in tono più affabile, aggiunse: “Volete accomodarvi? C’è un tempo orribile oggi”.
Entrarono in un lungo corridoio dalle pareti rivestite in legno di quercia su cui erano appesi dei dipinti a olio, quindi seguirono Hegarty in uno studio anch’esso ricoperto di quercia nel quale spiccavano un divano in pelle rossa e una poltrona dello stesso colore. Le finestre piombate affacciavano su una piscina, un ampio prato delimitato da siepi autunnali e da aiuole in terra viva, e sul tetto di una casa vicina che si stagliava oltre la staccionata divisoria. Sopra le loro teste si udiva il lamento insistente di un aspirapolvere.
Era una stanza ordinata. Sugli scaffali erano allineati quelli che sembravano trofei di golf e sulla scrivania una serie di fotografie incorniciate. Una ritraeva una bella donna dai capelli d’argento, presumibilmente la moglie di Hegarty, e altre mostravano due ragazzi adolescenti, due ragazze più o meno della stessa età e un bambino piccolo. Accanto al tampone di carta assorbente sulla scrivania c’era un’enorme lente di ingrandimento.
Hegarty indicò loro il divano, poi sedette sulla poltrona. “Povero vecchio Ronnie. Una faccenda terribile, tutto quello che è successo. Una vera sfortuna, trovarsi lì proprio quel giorno.” Rise nervosamente. “Quindi, ditemi, come posso esservi d’aiuto?”
Branson notò una schiera di grossi e pesanti cataloghi filatelici della Stanley-Gibbons e una fila di almeno dieci altri cataloghi che occupavano buona parte degli scaffali. “Si tratta di un’inchiesta che stiamo conducendo, in parte collegata al signor Wilson”, rispose. “Ci è stato detto che lei tratta francobolli di valore. È corretto, signor Hegarty?”
L’uomo annuì, poi fece una smorfia, come per contraddirsi. “Attualmente meno che in passato. Il mercato è molto difficile. Di questi tempi mi occupo più di proprietà e di azioni che di francobolli. Ma mi do ancora un po’ da fare. Mi piace tenere il polso della situazione.”
Aveva una scintilla nello sguardo che a Branson piaceva. Richard Harris aveva quella stessa luminosità, era parte della magia del grande attore. “Potrebbe confermare di aver concluso diversi affari con il signor Wilson?”
Hegarty si strinse nelle spalle. “Qualche volta, sì, saltuariamente nel corso degli anni. Ronnie non era la persona più semplice con cui fare affari.”
“In che senso?”
“Be’, sapete, per dirla senza tanti giri di parole, la provenienza di alcuni dei suoi pezzi era... dubbia. E io sono stato sempre molto attento a proteggere la mia reputazione, se capite ciò che intendo.”
Branson prese un appunto. “Intende dire che aveva la sensazione che conducesse attività illecite?”
“Alcuni dei suoi francobolli non li avrei comprati per tutto l’oro del mondo. A volte mi chiedevo dove riuscisse a scovarli, e se li avesse veramente pagati la cifra che diceva.” Si strinse nelle spalle. “Ma si sapeva muovere bene, nel campo, e gli ho anche venduto degli ottimi pezzi. Pagava sempre in contanti, sull’unghia. Ma...” La sua voce si affievolì e l’uomo scosse la testa. “Per essere onesto, devo dire che non era il mio cliente preferito. Io cerco sempre di informarmi sulle persone con le quali tratto. Si può fare affari con una persona mille volte, dico sempre io, ma la si può fregare una volta sola.”
Glenn sorrise, ma non aggiunse altro.
Bella tentò di portare avanti il discorso. “Signor Hegarty, la signora Wilson, la signora Lorraine Wilson, l’ha contattata dopo la morte del marito?”
Hegarty esitò per un secondo, spostando lo sguardo attentamente da uno all’altro, come se all’improvviso la posta in palio fosse diventata più alta. “Sì, l’ha fatto”, rispose poi in tono deciso.
“Ci può dire perché l’ha contattata?”
“Be’, suppongo che ora non abbia più importanza, anche lei è morta da tempo. Ma mi aveva fatto giurare di mantenere il segreto, capite?”
Ricordandosi ciò che gli aveva detto Grace, Branson spiegò con tatto all’uomo come stavano le cose. “Abbiamo a che fare con un’indagine per omicidio, signor Hegarty. Ci servono tutte le informazioni che può fornirci.”
Hegarty sembrò scioccato. “Omicidio? Non ne avevo idea. Oh, santo cielo. Chi... chi è la vittima?”
“Temo di non poterglielo dire, al momento.”
“No, certo, ovviamente”, disse Hegarty. Era impallidito. “Be’, lasciatemi riflettere un momento.” Tacque per qualche istante. “Il fatto è, è venuta a trovarmi – suppongo fosse in febbraio o in marzo del 2002 – o forse aprile, non ricordo – posso comunque controllare i registri. Mi disse che suo marito, morendo, le aveva lasciato ingenti debiti e che ogni centesimo che avevano le era stato tolto, che persino la loro casa era finita alla banca. Mi sembrò un po’ brutale, se devo ammetterlo, trattare una vedova a quel modo.”
Li guardò come a cercare consenso, ma non ottenne alcuna reazione.
“Mi disse che aveva appena scoperto di dover ricevere dei soldi da una polizza di assicurazione sulla vita”, continuò Hegarty, “e temeva che i creditori si prendessero anche quelli. A quanto pareva era cofirmataria di diverse garanzie creditizie. Voleva convertire la somma di denaro in francobolli, che pensava, e a ragione, direi, sarebbero stati più facili da nascondere. Una cosa che credo avesse imparato dal marito.”
“Di quanti soldi si trattava?” domandò Bella.
“Be’, il primo lotto era di un milione e mezzo, sterlina meno sterlina più. Poi ottenne più o meno la stessa somma, se non addirittura superiore, qualche mese dopo, dal fondo di risarcimento per le vittime dell’undici settembre, mi disse.”
Era un buon segno che le cifre dichiarate da Hegarty corrispondessero alle loro informazioni, pensò Branson. Lasciava ipotizzare che l’uomo stesse dicendo la verità.
“E le ha chiesto di convertire tutti quei soldi in francobolli?” domandò.
“A dirla così, sembra facile”, rispose lui. “Ma quel genere di investimento attira l’attenzione, mi spiego? Così ho effettuato io gli acquisti per lei. Ho suddiviso la somma, ricorrendo a persone diverse nell’ambiente filatelico e dicendo che stavo comprando per un collezionista che voleva restare anonimo. Non è una cosa insolita. Negli ultimi anni i cinesi sono letteralmente impazziti per i francobolli rari – una bella iniezione di energia per il mercato, non fosse che alcuni commercianti gli stanno rifilando spazzatura.” Sollevò un dito ammonitore. “Anche alcuni dei commercianti più rispettati.”
“Può fornirci una lista di tutti i francobolli che ha venduto alla signora Wilson?” domandò Bella.
“Sì, ma dovrete darmi un po’ di tempo. Posso cominciare dopo il tennis: potrei farvi avere un elenco verso l’ora del tè, questo pomeriggio. Andrebbe bene?”
“Perfetto”, commentò Branson.
“E quello che ci sarebbe molto, molto utile”, aggiunse Bella, “è che lei ci fornisse una lista di tutte le persone da cui la signora Wilson potrebbe essere andata in seguito, persone che potevano avere il denaro necessario a ricomprare i francobolli, quando lei avrebbe deciso di riconvertirli in contante.”
“Potrei farvi i nomi di qualche commerciante”, disse Hegarty. “E anche di un paio di collezionisti privati come me. Non siamo più numerosi come un tempo. Temo che molti dei miei vecchi amici in questo campo siano morti.”
“Conosce dei commercianti o dei collezionisti in Australia?” domandò Bella.
“In Australia?” Hegarty aggrottò la fronte. “Australia? Hm, aspettate un attimo. Ma certo, c’era un tizio che Ronnie aveva conosciuto qui a Brighton che era emigrato laggiù, qualche anno fa, verso la metà degli anni Novanta. Si chiamava Skeggs. Chad Skeggs. Ha sempre trattato grosse cifre, grossi scambi. Un giro d’affari per corrispondenza, da Melbourne. Di tanto in tanto ricevo un suo catalogo.”
“Ha mai comprato qualcosa da lui?” domandò Glenn.
Hegarty scosse la testa. “No, è un tipo sfuggente. Evasivo. Una volta mi ha dato una mezza fregatura. Avevo comprato da lui dei francobolli australiani antecedenti al 1913, mi sembra di ricordare. Ma non erano affatto nelle condizioni che mi aveva garantito al telefono. Quando mi sono lamentato, mi ha detto di fargli causa.” Hegarty sollevò le braccia a mezz’aria. “Per la somma che avevo speso, non ne valeva la pena, e lui lo sapeva. Un paio di migliaia di sterline: mi sarebbe costato molto di più in spese legali. Mi sorprende che quella canaglia sia ancora in affari.”
“Qualcun altro in Australia che le viene in mente?” insistette Bella.
“Vi dico cosa farò, vi darò una lista completa oggi pomeriggio. Volete tornare, diciamo, verso le quattro?”
“Bene, grazie davvero, signor Hegarty”, disse Branson.
Quando si alzarono, l’uomo si chinò in avanti con fare cospiratorio, parlando a mezza voce. “Non penso che possiate aiutarmi”, disse. “Sono stato fotografato da uno dei vostri autovelox – lungo la Old Shoreham Road – un paio di giorni fa. Non è che potreste mettere una buona parola per me?”
Branson lo guardò, sbalordito. “Temo proprio di no, signor Hegarty.”
“Ah, be’, non c’è problema. Chiedevo soltanto.”
Rivolse loro un sorriso afflitto.