5.
Ottobre 2007
Era rimasta pochissima luce diurna quando, immerso nei suoi pensieri, Roy Grace svoltò con la macchina senza contrassegni in Trafalgar Street. Poteva anche onorare nel nome una grande vittoria navale, ma quella parte della strada era circondata da entrambi i lati da palazzi e negozi sporchi e trascurati e, per la maggior parte del giorno e della notte, da spacciatori di droga. Anche se il tempo pessimo di quel pomeriggio li stava tenendo tutti in casa – fatta eccezione per i più disperati. Glenn Branson, vestito impeccabilmente con un completo gessato marrone e una cravatta di seta immacolata, era seduto in silenzio accanto a lui, visibilmente contrariato.
Cosa insolita per un’auto del dipartimento, la Hyundai quasi nuova non aveva ancora cominciato a puzzare come un incarto di McDonald’s pieno di vecchio gel per capelli, ma aveva ancora il tipico odore delle macchine nuove. Grace svoltò a destra, procedendo di fianco all’alta palizzata di un cantiere edile. Dietro la recinzione un’ampia area del centro di Brighton si stava sottoponendo a un trattamento cosmetico che avrebbe trasformato due depositi della ferrovia in disuso in un’altra costruzione urbana chic.
La visione dell’architetto, sapientemente illustrata, correva lungo quasi l’intero steccato. IL QUARTIERE NEW ENGLAND. CASE E UFFICI PER UN NUOVO STILE DI VITA. Sembrava, pensò Grace, simile in tutto e per tutto a ogni altra costruzione moderna in ogni città in cui capitava di passare. Tutto vetro e travi d’acciaio a vista, cortili punteggiati da arbusti e alberi qua e là. Non un solo rapinatore in vista. Un giorno tutta l’Inghilterra avrebbe avuto lo stesso aspetto, e nessuno sarebbe più riuscito a capire in che città si trovava.
Ma ha davvero importanza? si domandò all’improvviso. Sono già un vecchio brontolone a trentanove anni? Voglio davvero che questa città che amo così tanto venga preservata, con tutte le sue piaghe, in una sorta di bolla spazio-temporale?
In quel momento, però, aveva per la testa qualcosa di più importante delle politiche del Dipartimento dell’Urbanistica di Brighton e Hove. Ancora più importante dei resti umani che era sul punto di osservare. Qualcosa che lo stava deprimendo non poco.
Cassian Pewe.
Lunedì, dopo una lunga convalescenza a seguito di un incidente d’auto e diverse false partenze, Cassian Pewe avrebbe finalmente iniziato il suo lavoro al quartier generale del CID, nello stesso ruolo di Grace. E con un grande vantaggio: il Soprintendente Cassian Pewe era il cocco dell’Assistente Capo Allison Vosper, mentre lui era praticamente la sua bête noire.
Nonostante quelli che considerava ottimi successi ottenuti negli ultimi mesi, Roy Grace sapeva di essere a un unico, piccolo fallimento di distanza dall’essere trasferito dalla Forza di Polizia del Sussex all’infinito e oltre. Non voleva davvero finire lontano da Brighton e Hove. O, cosa ancor più importante, lontano dalla sua amata Cleo.
A suo modo di vedere, Cassian Pewe era uno di quegli uomini arroganti che erano al tempo stesso impossibilmente belli e consapevoli di esserlo. Aveva i capelli biondi, occhi azzurri, un’abbronzatura permanente e una voce penetrante come il trapano di un dentista. Era tronfio, trasudava un’aria di autorità naturale, e si comportava sempre come se fosse il capo, anche quando non lo era.
Roy aveva avuto una discussione con lui proprio su questo argomento, quando la Polizia Metropolitana aveva mandato rinforzi per aiutare la polizia di Brighton durante il Congresso del Partito Laburista un paio di anni prima. Con un’arroganza assoluta e totale, Pewe, allora ancora Ispettore Investigativo, aveva arrestato due informatori che Roy si era coltivato con cura per tanti anni e poi, noncurante, si era rifiutato di ritirare le accuse. E, con grande rabbia di Roy, quando la questione era arrivata ai piani alti, Allison Vosper aveva preso le parti di Pewe.
Che cosa diavolo ci vedesse in quell’uomo Roy non lo capiva, a meno che, come a volte sospettava, non avessero una relazione – per quanto improbabile potesse sembrare quell’ipotesi. La fretta con cui la Vosper aveva prelevato Pewe dalla Polizia Metropolitana e l’aveva promosso, di fatto dividendo in due i compiti di Grace – quando in realtà lui era più che in grado di gestire tutto da solo – puzzava di bruciato.
Solitamente chiacchierone fino a diventare fastidioso, Glenn Branson non aveva detto una parola da quando avevano lasciato il quartier generale del CID a Sussex House. Forse era davvero irritato per essere stato trascinato via dal suo venerdì sera in famiglia. O forse era perché Roy non si era offerto di farlo guidare. Poi, all’improvviso, il sergente ruppe il silenzio.
“Hai mai visto il film La calda notte dell’ispettore Tibbs?” domandò.
“Non credo”, rispose Grace. “No, perché?”
“Parlava di un poliziotto razzista nel Profondo Sud.”
“E allora?”
Branson si strinse nelle spalle.
“Mi stai dando del razzista?”
“Avresti potuto rovinare il weekend di qualcun altro. Perché proprio il mio?”
“Perché me la prendo sempre con gli uomini di colore.”
“È quello che pensa Ari.”
“Non dirai sul serio!”
Un paio di mesi prima, Roy aveva ospitato Glenn a casa sua quando la moglie l’aveva sbattuto fuori. Dopo qualche giorno passato a stretto contatto, la loro splendida amicizia era quasi arrivata al capolinea. Ora Glenn era tornato con la moglie.
“Sono serio.”
“Credo che Ari abbia un problema.”
“La scena d’apertura, sul ponte, è famosa. È uno dei pianisequenza più lunghi nella storia del cinema”, disse Glenn.
“Grandioso. Un giorno o l’altro me lo guardo. Ascolta, amico, Ari deve darsi una calmata.”
Glenn gli offrì una gomma da masticare. Grace la accetto e iniziò a ruminare, risvegliato dal sapore di menta.
“Avevi davvero bisogno di trascinarmi qui, stasera?” disse Glenn. “Potevi portarti qualcun altro.”
Oltrepassarono un angolo di strada e Grace vide un uomo malmesso con un vestito stropicciato che parlava con un giovane con la testa celata dal cappuccio di una felpa. Al suo occhio allenato apparvero furtivi. Uno spacciatore locale che concludeva un affare.
“Pensavo che le cose andassero meglio tra te e Ari.”
“Lo pensavo anch’io. Le ho comprato quel cazzo di cavallo che voleva. Adesso viene fuori che era il cavallo sbagliato.”
Finalmente, attraverso i tergicristalli in movimento, Grace intravide un gruppo di scavatrici, una macchina della polizia e il nastro bianco e azzurro della scena del crimine disteso davanti all’ingresso di un cantiere edile. Vide anche un agente fradicio e dall’aria decisamente infelice con indosso una giacca gialla catarifrangente che reggeva un portablocco avvolto in una busta di plastica. Quella vista gli fece piacere: almeno i poliziotti in uniforme, adesso, stavano iniziando a capire che cosa serviva per preservare le scene del crimine.
Accostò, parcheggiando proprio di fronte alla macchina della polizia, e si rivolse a Glenn. “Tra poco hai l’esame per la promozione a ispettore, vero?”
“Già”, si strinse nelle spalle il sergente.
“Questo potrebbe essere proprio il tipo di inchiesta che ti darà tante cose di cui parlare durante il colloquio. Il fattoreinteresse.”
“Dillo ad Ari.”
Grace mise un braccio intorno alle spalle dell’amico. Voleva bene a quell’uomo, uno degli investigatori più brillanti che avesse mai incontrato. Glenn possedeva tutte le qualità necessarie per fare una lunga carriera nelle forze di polizia, ma a un prezzo. E quel prezzo era qualcosa che molti non riuscivano ad accettare. Gli orari impossibili distruggevano fin troppi matrimoni. Per la maggior parte, chi riusciva a sopravvivere era sposato con delle colleghe. O con infermiere, o altre le cui professioni prevedevano orari anti-sociali.
“Ho scelto te, oggi, perché sei il migliore che posso avere accanto. Ma non ti voglio obbligare. Puoi venire con me oppure andartene a casa. Dipende da te.”
“Già, come no, vecchio mio, me ne vado a casa e poi? Domani sono di nuovo in uniforme, ad arrestare finocchi per atti osceni in luogo pubblico al Duke’s Mound. Ho capito bene?”
“Più o meno.”
Grace uscì dall’auto. Branson lo seguì.
Piegati contro la pioggia e il vento, si cambiarono indossando le tute bianche e gli stivali di gomma. Poi, con l’aspetto di due spermatozoi, si avvicinarono all’agente di guardia alla scena e firmarono l’accesso.
“Avrete bisogno delle torce elettriche”, disse loro l’agente.
Grace accese la propria per controllare se funzionava, poi la spense. Branson fece lo stesso. Un altro agente, anch’egli con indosso la giacchetta gialla, fece loro strada sotto la luce del riflettore. Avanzarono nel fango solcato dalle impronte dei battistrada enormi delle scavatrici, attraversando l’immenso cantiere.
Oltrepassarono una gru, una scavatrice JCB spenta e cataste di materiali da costruzione coperti da teli sventolanti di polietilene. Il malconcio muro di mattoni in stile vittoriano che fronteggiava le fondamenta del parcheggio di Brighton Station si ergeva di fronte a loro. Al di là del buio, potevano vedere il bagliore arancione delle luci della città. Un’asse allentata della palizzata sbatteva nel vento e, da qualche parte, due pezzi di metallo picchiavano l’uno contro l’altro.
Grace stava osservando il terreno. Era in corso lo scavo per i piloni delle fondamenta. Dovevano essere mesi che le scavatrici mettevano sottosopra la superficie. Per i rilievi avrebbero dovuto accontentarsi dell’interno della conduttura – qualsiasi altro indizio fuori dal grosso tubo era sicuramente già stato cancellato da un pezzo.
L’agente si fermò e indicò loro un fosso scavato circa sette metri sotto di loro. Grace rimase a fissare quello che sembrava un serpente preistorico con un buco frastagliato a un’estremità. Il mosaico di mattoni, tanto vecchi da essere ormai quasi completamente privi di colore, formava parte di un tunnel semisommerso che in alcuni punti emergeva appena dalla superficie del fango.
Il canale di scolo che andava dalla vecchia linea ferroviaria tra Brighton e Kemp Town.
“Nessuno sapeva che ci fosse”, disse l’agente. “La scavatrice l’ha rotto stamattina.”
Roy Grace si trattenne per un istante cercando di combattere la sua paura dell’altezza, che si faceva sentire nonostante la scarsa profondità del sito. Poi fece un respiro profondo e iniziò a scendere per il pendio scivoloso, sospirando di sollievo quando raggiunse il fondo ancora tutto intero. E, d’un tratto, il corpo del serpente gli sembrò molto più grande, e più esposto, di quanto non avesse pensato vedendolo da sopra. La forma arrotondata si curvava sopra di lui, alta più di due metri. Il buco al centro sembrava buio come una caverna.
Avanzò verso l’apertura, con Branson e l’agente in uniforme appena dietro di lui, e accese la torcia elettrica. Quando entrò nel tubo, le ombre iniziarono a ondeggiare rapidamente. Abbassò la testa, arricciando il naso per il forte odore di umido. La volta era più alta di quanto apparisse da fuori: sembrava di stare all’interno di una vecchia galleria della metropolitana, senza banchina.
“Il Terzo Uomo”, disse d’un tratto Glenn Branson. “Hai visto quel film, no? Ce l’hai a casa.”
“Quello con Orson Welles e Joseph Cotten?” disse Grace.
“Esatto, bella memoria! Le fogne me lo ricordano sempre.”
Grace diresse il potente raggio della torcia verso destra. Buio. Pozze scintillanti di acqua. Vecchi mattoni. Poi lo puntò a sinistra. E sussultò.
“Merda!” esclamò Glenn Branson. La sua voce echeggiò intorno a loro.
Nonostante Grace se lo aspettasse, ciò che vide, diversi metri all’interno del tunnel, gli mise i brividi. Uno scheletro, appoggiato alla parete del tubo, parzialmente sepolto dai sedimenti. Sembrava che si stesse semplicemente riposando, aspettando lui. Lunghe ciocche di capelli erano ancora attaccate allo scalpo in alcuni punti, ma a parte quelle era costituito solo da nude ossa, ripulite dagli animali o dal tempo, con alcuni frammenti di pelle disseccata.
Avanzò nel fango verso lo scheletro, facendo attenzione a non scivolare nella melma. Due puntini rossastri apparvero per un istante e poi sparirono nel buio. Un ratto. Grace puntò di nuovo la luce verso il teschio. Il sogghigno folle gli dava i brividi.
Ma c’era anche qualcos’altro, nello scheletro, che lo metteva a disagio.
I capelli. Anche se la lucentezza se n’era andata da tempo, avevano la stessa lunghezza e lo stesso colore del grano in inverno dei capelli di sua moglie Sandy, scomparsa tanto tempo prima.
Cercando di togliersi quel pensiero dalla testa, si voltò verso l’agente e chiese: “Avete perlustrato tutta la lunghezza?”
“No, signore, ho pensato che fosse meglio aspettare i SOCO.”1
“Bene.”
Grace era sollevato, felice che il giovane poliziotto avesse avuto il buon senso di non rischiare di distruggere qualsiasi prova potesse ancora esserci. Poi si rese conto che gli tremava la mano. Riportò il raggio di luce sul teschio.
Sulle ciocche di capelli.
Il giorno del suo trentesimo compleanno – poco più di nove anni prima – Sandy, la moglie che adorava, era scomparsa dalla faccia della terra. Da allora Grace non aveva mai smesso di cercarla. Ogni giorno, ogni notte, si era chiesto che cosa poteva esserle capitato. Era stata rapita e tenuta segregata da qualche parte? Era scappata con un amante segreto? Era stata uccisa? Si era suicidata? Era ancora viva o era morta? Si era persino rivolto a dei medium, a dei chiaroveggenti e più o meno a tutti i tipi di maghi ed esperti di paranormale che era riuscito a scovare.
Di recente era stato a Monaco, dove era stato segnalato un possibile avvistamento. Era plausibile, visto che Sandy aveva dei parenti da parte di madre che abitavano da quelle parti. Ma nessuno di loro aveva avuto sue notizie e tutte le sue indagini, come al solito, non avevano portato a nulla. Ogni volta che nel suo lavoro si imbatteva in una donna morta più o meno dell’età di Sandy, si chiedeva se per caso quella volta non si trattasse proprio di lei.
E lo scheletro che aveva di fronte ora, in quel tunnel di scolo nella città in cui era nato, cresciuto e in cui si era innamorato, sembrava schernirlo, come se gli stesse dicendo Ce ne hai messo di tempo per arrivare!
1 SOCO, acronimo per Scene of Crime Officers (agenti della scena del crimine), la polizia scientifica inglese.