108.
Ottobre 2007
La Sezione Interrogatori dei Testimoni a Sussex House comprendeva due stanze. Una era più o meno delle dimensioni di un soggiorno di una casa molto piccola. L’altra, che poteva contenere appena due persone sedute una accanto all’altra, veniva usata soltanto per osservare.
La stanza più grande, nella quale Glenn Branson sedeva con Bella Moy e con una “Katherine Jennings” dall’aria agitatissima, conteneva tre poltroncine foderate di rosso e un tavolino basso. Branson e Abby avevano entrambi una tazza di caffè di fronte a loro, mentre Bella stava bevendo un bicchiere d’acqua.
Al contrario della maggior parte delle buie stanze degli interrogatori dell’ormai vecchia Stazione di Polizia di Brighton Central, in John Street, quella stanza era luminosa e aveva persino una finestra.
“Nessuna obiezione se registriamo la conversazione?” domandò Branson, indicando con un cenno del capo le due telecamere montate a parete puntate su di loro. “È la procedura standard.” Quello che mancò di aggiungere era che a volte una copia del nastro veniva passata a uno psicologo perché facesse il profilo dell’interrogato. Si potevano scoprire molte cose basandosi semplicemente sul linguaggio del corpo di alcuni testimoni.
“D’accordo”, disse lei con un filo di voce.
Branson la studiò attentamente per qualche istante. Nonostante il suo viso fosse esausto e contorto dalla disperazione, era una giovane donna molto attraente. Poco più che venticinquenne, a occhio. Capelli neri con un taglio un po’ troppo severo e quasi sicuramente tinti, perché le sopracciglia erano molto più chiare. Il suo volto aveva una bellezza classica, con gli zigomi alti, la fronte ampia e un naso bellissimo, piccolo, finemente cesellato e leggermente all’insù. Per un naso così, donne meno fortunate di lei sborsavano migliaia di sterline dal chirurgo plastico. Glenn lo sapeva perché Ari una volta gli aveva mostrato un articolo sulle rinoplastiche, e da quel momento in avanti lui non aveva più smesso di cercare segni di interventi chirurgici ogni volta che guardava il naso di una donna.
Ma il tratto più sorprendente della giovane donna che aveva di fronte erano gli occhi. Color verde-smeraldo, e ipnotici: occhi da felino. Scintillavano nonostante l’espressione distrutta della ragazza.
E sapeva come vestirsi. Jeans di marca, stivaletti alla caviglia – palesemente polverosi e malandati – una polo nera di maglia sotto un giubbotto sicuramente costoso foderato di lana soffice, la ragazza pareva un paradigma della classe più assoluta. Qualche centimetro in più di statura e avrebbe potuto stare su una passerella.
Branson stava per dare inizio all’interrogatorio quando la ragazza sollevò una mano. “Quello che vi ho dato non è il mio vero nome. Penso che sia il caso di metterlo in chiaro da subito. Mi chiamo Abby Dawson.”
“Perché usa un nome falso?” domandò gentilmente Bella.
“Sentite, mia madre sta morendo. È in grave pericolo, in questo momento. Potremmo solo... solo...” Si portò le mani al volto. “Voglio dire, dobbiamo parlare per forza di tutto questo? Non possiamo farlo... farlo dopo?”
“Per intervenire dobbiamo essere al corrente dei fatti, Abby”, le disse Bella. “Perché il nome falso?”
“Perché...” Abby scrollò le spalle. “Sono tornata qui, in Inghilterra, per cercare di scappare dal mio fidanzato. Pensavo che per lui sarebbe stato più difficile trovarmi, se avessi usato un altro nome.” Si strinse di nuovo nelle spalle e fece un sorriso triste. “Mi sbagliavo.”
“Okay, Abby”, disse Glenn, “vorrebbe dirci esattamente cos’è successo? Tutto ciò che ci serve sapere di lei, di sua madre e dell’uomo che l’avrebbe rapita?”
Abby prese un fazzoletto dalla borsa di pelle marrone e lo usò per asciugarsi gli occhi. Glenn si domandò che cosa ci fosse nel sacchetto di plastica posato sul pavimento accanto alla borsetta.
“Ho ereditato una collezione di francobolli. Non ne sapevo proprio niente – ma, per puro caso, a Melbourne, frequentavo – uscivo con questo Ricky Skeggs, che era molto addentro nel mercato dei francobolli e delle monete rare.”
“È collegato in qualche modo con Chad Skeggs?” le domandò Branson.
“Sono la stessa persona.”
“ Chad e Ricky sono tutti e due diminutivi di Richard”, disse Bella a Glenn.
“Non lo sapevo.”
“Ho chiesto a Ricky di dare un’occhiata ai francobolli e di dirmi se valevano qualcosa”, proseguì Abby. “Lui se li è portati via, e quando me li ha restituiti un paio di giorni dopo mi ha detto che alcuni valevano qualcosa, ma che la maggior parte erano repliche di francobolli rari, collezionabili ma non di grande valore. Secondo lui, da tutto il lotto si potevano ricavare al massimo un paio di migliaia di dollari australiani.”
“D’accordo”, disse Glenn. Gli occhi della ragazza lo mettevano a disagio, continuavano a spostarsi da una parte all’altra. Aveva la sensazione di stare assistendo a una recita provata più volte, non a qualcosa che veniva dal cuore. “E lei gli ha creduto?”
“Non avevo motivo per non credergli”, rispose Abby. “Se non che sono sempre stata una persona un po’ diffidente.” Scrollò di nuovo le spalle. “Non è nella mia natura, fidarmi. Così ho fatto delle fotocopie di tutti i francobolli, prima di darglieli. Quando ho controllato quelli che mi ha riportato, sembravano gli stessi, ma c’erano piccole differenze. Allora l’ho affrontato, e lui mi ha detto che avevo le allucinazioni.”
“È stata una mossa astuta fare le fotocopie”, commentò Bella.
Abby guardò ansiosamente l’orologio, poi sorseggiò un po’ di caffè. “A ogni modo, un paio di giorni dopo stavo sfogliando una delle riviste specializzate a casa di Ricky, e ho letto un articolo che parlava di un’asta di francobolli rari a Londra. Si trattava di un Plate 77 Penny Red che era stato battuto al prezzo record di centosessantamila sterline. E mi sono resa conto che era simile alla tavola di Penny Reds che avevo io. Ho controllato la fotografia della rivista con i miei francobolli e, con mio grande sollievo, ho visto che erano molto simili, ma non del tutto identici, quindi non erano i miei quelli venduti. Poi, però, mi è preso il panico che Ricky stesse cercando di venderli.”
“E perché le è venuta in mente una cosa del genere?” le chiese Bella.
“C’era qualcosa, nel modo in cui si era comportato con i francobolli, che mi metteva molto a disagio. Insomma, sapevo che mi stava mentendo.” Si strinse nelle spalle. “Comunque, un paio di giorni dopo era completamente strafatto di cocaina – la sniffava di continuo – e la mattina presto è crollato addormentato. Sono andata al suo computer – era sempre acceso – e ho trovato diverse email che aveva mandato a collezionisti di tutto il mondo, offrendo in vendita i miei francobolli. Era stato molto furbo. Li aveva divisi in piccoli lotti e in pezzi singoli, in modo che non potessero essere identificati come una collezione.”
“Gliene ha parlato?” le domandò Glenn.
Lei scosse la testa. “No, la prima volta che ci siamo conosciuti mi aveva raccontato quanto erano facili da nascondere i francobolli, un mezzo grandioso per riciclare denaro sporco, comodi da trasportare in tutto il mondo. E che, anche se venivi fermato, era raro che gli agenti della dogana avessero la minima idea del loro valore. Aveva detto che il posto migliore per nascondere i francobolli era dentro un libro – un romanzo rilegato, qualcosa del genere, che li avrebbe protetti. Così mi sono limitata a frugare nella sua biblioteca. E li ho trovati.”
Bella sorrise.
Branson guardava la faccia di Abby, i suoi occhi, assorbendo ogni movimento, ma sentiva che c’era qualcosa che non quadrava. Quella non era tutta la storia. C’era qualcosa che la ragazza stava tenendo nascosto. Non aveva idea di cosa fosse. Era chiaramente molto furba.
“E poi cos’è successo?” domandò.
“Sono scappata. Ho preso i francobolli, sono andata a casa mia, ho fatto la valigia e ho raggiunto Sydney con il primo volo che sono riuscita a prendere quella mattina. Avevo paura perché pensavo che mi avrebbe inseguita – quell’uomo è un sadico. Sono arrivata in Inghilterra passando prima da Los Angeles e poi da New York.”
“Perché non è andata alla polizia di Melbourne per denunciare quello che Skeggs aveva fatto?” domandò Glenn.
“Perché avevo paura di lui”, rispose. “È molto astuto. E bravissimo a mentire. Temevo che si inventasse qualcosa da raccontare alla polizia, e riprendersi i francobolli. O che mi desse la caccia e mi facesse del male. Non sarebbe stata la prima volta.”
Glenn e Bella si scambiarono un’occhiata consapevole, ricordando entrambi i precedenti penali di Skeggs con la polizia di Brighton.
“E avevo davvero bisogno dei soldi di quei francobolli”, disse Abby. “Mia madre è molto malata, ha la sclerosi multipla. Ho bisogno dei soldi per poterla ricoverare in una casa di cura.”
Glenn si soffermò sul modo in cui aveva pronunciato quell’ultima frase. Non si trattava di qualcosa di ben definito, ma la ragazza l’aveva detta in un modo strano, come se giustificasse qualsiasi cosa. E gli suonava strano anche che avesse usato la parola bisogno. Se qualcuno ti prende qualcosa che ti appartiene, non è più una questione di bisogno. È tuo diritto riaverla.
“Mi sta dicendo che costerebbe milioni di sterline tenere sua madre in una casa di riposo?” domandò Bella.
“Ha soltanto sessantotto anni, anche se sembra molto più vecchia”, replicò Abby. “Potrebbe anche starci per vent’anni, magari anche di più. Non so quanto potrebbe costare.” Sorseggiò un po’ di caffè. “Perché queste cose sono così importanti? Voglio dire... se non facciamo qualcosa alla svelta, mia madre non sopravviverà. Non ce la farà.” Di nuovo si coprì il volto con le mani e cominciò a singhiozzare.
I due detective si scambiarono un’altra occhiata. Poi Glenn Branson le chiese: “Non hai mai incontrato nessuno di nome David Nelson?”
“David Nelson?” La ragazza aggrottò la fronte, asciugandosi gli occhi, poi scosse la testa. “Il nome non mi suona nuovo, almeno credo.” Esitò un istante, poi proseguì: “David Nelson? Credo che Ricky me ne abbia parlato, una volta.”
Branson annuì. La ragazza stava mentendo.
“E i francobolli... sono in Inghilterra, adesso?” domandò.
“Sì.”
“Dove?”
“Al sicuro, sotto chiave.”
Branson annuì di nuovo. Questa volta era stata sincera.