110.

Ottobre 2007

Il paesaggio cambiò rapidamente. Davanti a loro, Nicholl vide la distesa scintillante dell’oceano. L’ampia strada che stavano percorrendo aveva l’aria di un resort, con edifici bassi e di un bianco abbagliante su entrambi i lati. Gli faceva venire in mente alcune strade della Costa del Sol in Spagna, che era più o meno l’orizzonte più lontano della sua esperienza di viaggiatore.

“Port Melbourne”, disse George Fletcher. “È qui che il fiume Yarra sfocia nella Baia di Hobson. Qui attorno le case costano parecchio. È una comunità di giovani rampanti. Banchieri, avvocati, gente della televisione... quel tipo di persone, insomma. Fanno la bella vita in un appartamento con vista sulla baia, prima di mettere su famiglia.”

“Come te”, disse Troy dando di gomito al collega.

“Già. Tranne che in questa zona non potrei permettermi nemmeno un monolocale.”

Parcheggiarono nei pressi di un’area commerciale, poi si avviarono verso l’ingresso di un piccolo isolato di appartamenti e George suonò il citofono del custode.

La porta si aprì con un clic. Entrarono in un lungo corridoio reso praticamente gelido dall’aria condizionata al massimo. Dopo qualche istante, un uomo tra i trenta e i quarant’anni, con la testa rasata e una maglietta viola, pantaloni corti larghi e Crocs ai piedi, si avvicinò loro con passo deciso. “In cosa posso aiutarvi?”

George esibì il distintivo. “Vorremmo parlare con uno dei residenti, il signor Nelson, all’appartamento cinquantanove.”

“Appartamento Cinquantanove?” disse l’uomo in tono allegro. “Mi avete letto nel pensiero.” Mostrò loro un mazzo di chiavi. “Stavo proprio per andarci io. I vicini si sono lamentati per il cattivo odore. Hanno l’impressione che provenga da lì. Non vedo il signor Nelson da un po’, e non ritira la posta da diversi giorni.”

Potting si accigliò. Un fetore che filtrava da un appartamento chiuso non era mai sintomo di buone notizie.

Entrarono in ascensore e salirono al quinto piano, poi uscirono in corridoio. C’era odore di moquette nuova, nient’altro. Ma, mentre lo percorrevano verso l’appartamento situato in fondo, le loro narici iniziarono a registrare qualcosa di completamente diverso.

Qualcosa che Norman Potting conosceva ormai da molto tempo. Nick Nicholl da un po’ meno. Il fetore pesante e soffocante della carne in decomposizione.

Il custode rivolse ai quattro detective un’alzata di sopracciglia che stava a significare un speriamo in bene, poi aprì la porta. Il fetore divenne subito molto più intenso. Nick Nicholl, coprendosi il naso con un fazzoletto, si mise in coda al gruppo.

Dentro l’abitazione faceva molto caldo: evidentemente l’aria condizionata era spenta. Nicholl si guardò intorno con apprensione. Era un bell’appartamento, sotto tutti i punti di vista. Tappeti bianchi su legno lucido e arredamento moderno e minimalista. Alle pareti pendevano tele senza cornice, a soggetto erotico, alcune di genitali femminili, altre più astratte.

Il corridoio era permeato dal puzzo di carne guasta, più denso a ogni passo compiuto dai cinque uomini. Nick, sempre più agitato all’idea di ciò che stavano per trovare, seguì i suoi colleghi in una camera da letto vuota. L’enorme letto matrimoniale era sfatto. Sul comodino c’era un bicchiere vuoto, accanto a una radiosveglia digitale spenta.

Entrarono in quello che sembrava uno studio ricavato da un’altra camera da letto. Sulla scrivania c’era un hard disk esterno, insieme a una tastiera e a un mouse, ma nessun computer. Diversi mozziconi di sigaretta riempivano un posacenere ed erano chiaramente lì da un bel po’ di tempo. La finestra dava sul muro grigio del palazzo vicino. Su un lato della scrivania c’era una pila di bollette da pagare.

George Fletcher ne prese una. In cima alla lettera c’era un vistoso timbro in inchiostro rosso.

“Elettricità”, disse. “Ultimo avviso. Risale a diverse settimane fa. Ecco perché fa così caldo. Probabilmente gli hanno tagliato i fili.”

“Il padrone di casa mi stava col fiato sul collo per il signor Nelson”, disse subito il custode. “È indietro con i pagamenti dell’affitto.”

“Di molto?” gli domandò Burg.

“Diversi mesi.”

Nick Nicholl stava guardandosi intorno in cerca di fotografie personali, ma non ne vide nessuna. Fissò una libreria, notando che accanto ai voluminosi cataloghi filatelici c’erano diverse raccolte di poesie d’amore e un dizionario di citazioni letterarie.

Entrarono in uno spazioso soggiorno-cucina open space con vista su un’ampia terrazza attrezzata con un barbecue e diverse sedie a sdraio. Da lì si poteva vedere un campo da tennis di una villa vicina e poi la baia in tutto il suo splendore. Nick riusciva quasi a distinguere le sagome offuscate degli edifici industriali sulla riva opposta.

Seguì i tre poliziotti in una piccola cucina ben equipaggiata; ormai doveva tenersi il naso chiuso con le dita per combattere l’odore sempre più intenso. Udì subito il ronzio delle mosche. Una tazza di tè o di caffè, posata sul ripiano della cucina, era sormontata da uno spesso strato di muffa. Accanto c’era un cestino di filo metallico con dentro frutta marcia ricoperta di muffa grigio-verde. Una grossa macchia scura si allargava sul pavimento alla base del gigantesco frigorifero cromato.

George Fletcher aprì il portello inferiore del frigorifero, quello del freezer, e l’odore peggiorò immediatamente. Fissando i pezzi di carne verdastri in decomposizione che riempivano gli scaffali del freezer, disse: “Niente pranzo oggi, gente.”

“Credo che qualcuno abbia detto al signor Nelson che stavamo arrivando”, disse Troy Burg.

Fletcher richiuse il frigo. “Se ne è andato, questo mi sembra chiaro.”

“Pensate sia scappato?” disse Norman Potting.

“Non credo che abbia in programma di tornare molto presto, se è questo ciò che intendi”, rispose il Sergente Investigativo.

Doppia identità
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