13.

11 settembre 2001

Una notte, nella strada in cui Ronnie Wilson era cresciuto, nella zona di Coldean a Brighton, una casa era andata a fuoco. Ronnie ricordava l’odore, il rumore, il pandemonio, i mezzi dei pompieri, mentre lui era in strada in vestaglia e ciabatte a guardare. Ricordava di esserne stato affascinato e spaventato al tempo stesso. Ma più di ogni altra cosa ricordava l’odore.

Un fetore terribile di distruzione e disperazione.

Lo stesso odore che c’era nell’aria adesso. Non l’aroma piacevole e dolce del fumo di legna, o l’odore accogliente del carbone, ma una puzza acre e pungente di vernice bruciata, di carta carbonizzata, di gomma fusa e dei gas prodotti dalla plastica e dal vinile che andavano a fuoco. Una puzza soffocante che gli pungeva gli occhi, che gli faceva venir voglia di tapparsi il naso, di indietreggiare, di andarsene, di tornare nel locale da cui era appena uscito.

Invece rimase dov’era.

Come tutti gli altri.

Un momento di silenzio surreale nella mattina di Manhattan, come se qualcuno avesse premuto il tasto di pausa su tutte le persone che erano in strada in quel momento. Soltanto le macchine continuavano a muoversi, poi un semaforo passò al rosso e fermò anche quelle.

La gente guardava. Gli ci volle qualche secondo per vedere ciò che stavano guardando. Prima guardò a livello del suolo, lungo la strada, oltre un idrante e dei cavalletti fuori da un negozio stracarichi di riviste e di guide per turisti, oltre il tendone di un negozio la cui insegna diceva BURRO E UOVA. Guardò una mano rossa illuminata con la scritta NON ATTRAVERSARE un po’ più avanti, e il cavo che sosteneva il semaforo sopra l’incrocio con Warren Street, e la fila di traffico e le luci rosse degli stop.

Poi si rese conto che stavano guardando tutti verso l’alto.

Seguendo i loro sguardi, all’inizio tutto ciò che vide fu un denso pennacchio di fumo nero che si innalzava sopra i grattacieli a soli pochi isolati di distanza, un fumo spesso come se stesse uscendo dalla ciminiera di un impianto petrolchimico.

Un palazzo stava bruciando, pensò. Poi, attraverso il velo dello shock e dell’orrore, il suo cuore si rese conto di che palazzo si trattava. Il World Trade Center.

Merda, merda, merda.

Raggelato e confuso come tutti gli altri, rimase immobile sul posto, ancora incapace di credere ai propri occhi o di capire cosa stava vedendo.

Il semaforo divenne verde e, quando le automobili e i furgoni e i camion iniziarono a muoversi in avanti, Ronnie si chiese se magari i guidatori non se ne fossero accorti, pensò che forse non erano in grado di vedere al di sopra dei parabrezza dei loro veicoli.

Poi il fumo si diradò per qualche istante, disperdendosi nell’aria. Attraverso la coltre, alta e fiera contro l’azzurro brillante del cielo, c’era l’antenna radio bianca e nera. La Torre Nord, riconobbe Ronnie da una visita precedente. Avvertì un lampo di sollievo. L’ufficio di Donald Hatcook era nella Torre Sud. Benissimo. Okay. Sarebbe riuscito ancora ad andare al colloquio.

Udì il lamento delle sirene. Poi il tonfo ritmico delle pale di un elicottero che diventava sempre più forte, sempre più forte, echeggiando nel silenzio tutt’intorno. Ronnie si voltò e vide un’autopattuglia bianca e blu del Dipartimento di Polizia di New York, l’agente sul sedile posteriore che si sporgeva in avanti piegando la testa verso l’alto. La macchina della polizia passò sul lato opposto della strada, contromano, mentre i lampeggianti gettavano bagliori rossastri sulle portiere di tre taxi in coda. Poi, frenando di colpo fino a far stridere le gomme, l’autopattuglia si diresse verso l’incrocio, passando tra il furgone delle consegne di una panetteria, una Porsche e un altro taxi giallo.

“Oh, mio Dio! Oh, Gesù! Oh, mio Dio!” stava dicendo una donna alle sue spalle. “Oh mio Dio! Ha colpito la torre! Oh mio Dio!”

La sirena si allontanò, affievolendosi nel silenzio irreale. Chambers Street era ammutolita. D’un tratto, era deserta. Ronnie vide un uomo che attraversava. Indossava un berretto da baseball, una giacca a vento leggera e un paio di scarpe da lavoro, e portava una borsa di plastica in cui forse c’era il suo pranzo. Poteva sentire il rumore dei suoi passi. L’uomo guardava stordito in fondo alla strada, come se temesse di poter essere investito da un’altra macchina della polizia.

Ma non ne arrivò nessun’altra. Solo il silenzio. Come se quella che era appena passata fosse abbastanza e potesse tenere a bada la situazione, quasi fosse un incidente di portata minore.

“L’ha visto?” disse la donna dietro di lui.

Ronnie si voltò. “Cos’è successo?”

La donna aveva lunghi capelli castani e gli occhi fuori dalle orbite. Due borse della spesa giacevano dimenticate accanto a lei, scatole e lattine sparse sul marciapiedi.

“Un aereo!” Le tremava la voce. “Un aereo! Oh, Gesù, era un cazzo di aereo! Ha colpito la torre. Non credo ai miei occhi. Era un aereo, e ha colpito quella cazzo di torre!”

“Un aereo?”

“Ha colpito la torre. Ha colpito quella cazzo di torre.”

Era ovviamente sotto shock.

Si udì un’altra sirena. Diversa da quella della macchina della polizia, un suono più profondo, ritmato. Un camion dei pompieri.

Grandioso! pensò Ronnie. Oh, questo è veramente grandioso! La mattina in cui devo incontrarmi con Donald, ecco che qualche deficiente va a sbattere con il suo aereo proprio contro il World Trade Center!

Guardò l’orologio. Merda! Quasi le nove meno cinque! Era uscito dal locale appena dopo le nove meno un quarto – perfettamente in orario. Era rimasto davvero lì come un imbecille per dieci minuti? Quella snob della segretaria di Donald Hatcook gli aveva detto che doveva essere puntuale, che Donald aveva a disposizione solo un’ora prima di dover andare all’aeroporto a prendere un aereo per chissà dove – Wichita, credeva di ricordare Ronnie. O forse Washington. Soltanto un’ora. Una finestra temporale di appena sessanta minuti per convincerlo, e salvarsi dalla bancarotta!

Udì un’altra sirena. Merda. Ci sarebbe stato il caos, questo era poco ma sicuro. I maledetti servizi di emergenza potevano anche transennare tutta la zona. Doveva arrivarci prima che accadesse. Doveva arrivare a quella riunione.

Devo.

Non avrebbe permesso a qualche stronzo incapace di guidare l’aereo di mandargli a puttane l’incontro!

Trascinandosi dietro i bagagli, Ronnie cominciò a correre.

Doppia identità
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