69.

Ottobre 2007

Abby guardava stordita oltre il parabrezza di una Ford Focus grigia presa a noleggio. Non pensava fosse possibile che quell’incubo potesse peggiorare, ma era peggiorato.

Mentre imboccavano la tangenziale A27 di Brighton, con Patcham sulla destra e l’aperta campagna sulla sinistra, c’era un’ampia striscia di cielo azzurro sopra di loro. Libertà, pensò Abby, ancora prigioniera nonostante i legacci le fossero stati tolti e ora indossasse un paio di jeans, un maglione, un giubbotto di flanella e scarpe da ginnastica. L’erba era rigogliosa e verde per la pioggia recente, e se non fosse stato per il ronzio della ventola del riscaldamento che soffiava aria calda dentro la macchina, la giornata avrebbe potuto passare per estiva, con quel cielo. Ma, dentro il suo cuore, era ancora inverno.

Per avere quella registrazione, si rese conto Abby, Ricky doveva aver messo sotto controllo il telefono della madre.

Seduto accanto a lei, lui guidava in silenzio, furioso, attento a rispettare i limiti di velocità per non correre il rischio di essere fermato dalla polizia. Era una rabbia che covava da due lunghi mesi. La rampa di uscita si avvicinava. Ricky mise la freccia. Era già stato lì quella mattina, conosceva la strada. Abby rimase ad ascoltare il ticchettio ritmico e a osservare la spia che lampeggiava sul cruscotto.

Ora che aveva bevuto un po’ d’acqua e mangiato un pezzo di pane e una banana, si sentiva più in sé e riusciva a pensare con maggiore chiarezza nonostante la paura per la madre – e per se stessa. Com’era riuscito Ricky a trovare sua madre? Presumibilmente allo stesso modo in cui aveva trovato lei, quale che fosse. Abby si stava scervellando, tentando di ricordare se aveva lasciato qualche indizio a Melbourne. Come diavolo era riuscito a risalire al suo indirizzo? Non era molto difficile, supponeva Abby. Conosceva il suo cognome e probabilmente lei stessa una volta gli aveva detto che la madre, vedova, abitava a Eastbourne. Quanti Dawson c’erano sull’elenco telefonico di Eastbourne? Certo non molti. Di sicuro non abbastanza da scoraggiare una persona determinata e furiosa come Ricky.

Lui non rispondeva a nessuna domanda.

Sua madre era una donna inerme. Ormai quasi paralizzata dalla sclerosi multipla, riusciva a muoversi a stento, e presto anche quel poco non le sarebbe più stato possibile. E per quanto indipendente fosse la sua indole, la sua forza fisica era ridotta al lumicino. Anche un bambino sarebbe riuscito a sopraffarla, il che la rendeva estremamente vulnerabile nei confronti di un intruso; ciò nonostante rifiutava in modo categorico di indossare un telecomando di emergenza. Abby sapeva che una vicina andava a dare un’occhiata da lei di tanto in tanto, e sua madre aveva un’amica che la accompagnava a giocare al bingo il sabato sera. A parte questo, era sola.

E adesso Ricky aveva il suo indirizzo e, sapendo quanto era sadico, la cosa la spaventava più di ogni altra. Aveva la sensazione che non si sarebbe accontentato di riavere tutto indietro: si sarebbe vendicato, facendo del male a lei e anche a sua madre. Di sicuro, dalle confidenze che Abby gli aveva fatto in Australia, sapeva quanto fossero legate e quanto si sentisse in colpa per averla abbandonata trasferendosi dall’altra parte del mondo proprio quando la madre aveva più bisogno di lei. Ci avrebbe provato gusto a farle del male, per far soffrire lei.

Si stavano avvicinando a una piccola rotonda. Ricky imboccò la seconda a destra e iniziò a scendere lungo un lieve pendio. Alla loro destra la vista si estendeva per chilometri sui campi e sulle tenute. Alla loro sinistra c’era la zona industriale di Hollingbury, un agglomerato di supermercati, fabbriche degli anni Cinquanta, magazzini trasformati in uffici e fabbriche più moderne. Uno degli edifici, parzialmente oscurato alla loro vista da un supermercato ASDA, era il quartier generale della Polizia Anticrimine del Sussex, ma Abby non lo sapeva. E, se anche l’avesse saputo, non poteva correre il rischio di metterci piede. Qualsiasi cosa avesse fatto Ricky per recuperare i suoi soldi, lei restava una ladra. Gli aveva rubato tantissimo, e l’avere derubato un criminale non la scagionava affatto.

E, a parte questo, se facevano la spia l’uno sull’altra, avrebbero perso tutto. Si trovavano in una sorta di impasse, al momento. Al tempo stesso, Abby sapeva che, se gli avesse restituito ciò che voleva, non c’erano motivi per cui Ricky la tenesse in vita. Invece, ce n’erano – e non pochi – perché decidesse di farla fuori.

Vide un enorme edificio con l’insegna BRITISH BOOKSHOPS, poi il palazzo della Argus, un cartello della Matalan, dopodiché superarono un concessionario Renault. Ricky mancò quasi la svolta. Imprecò, frenò bruscamente e girò il volante, facendo stridere le gomme. Imboccò la discesa troppo alla svelta, e dovette frenare di colpo per fermare la macchina a pochi centimetri da una grossa Volvo con una donna minuscola al volante che era uscita all’ultimo momento dal parcheggio di fronte alla fila di negozi.

“Brutta stronza”, imprecò Ricky, e la donna gli rispose battendosi un dito sulla tempia. Per un attimo Abby pensò – sperò – che Ricky volesse scendere dalla macchina per litigare.

Invece la Volvo partì con un rombo e loro proseguirono oltre il parcheggio e il retro di un magazzino. Poi oltrepassarono un cancello con grosse porte di ferro e grandi cartelli che avvertivano della presenza di telecamere a circuito chiuso, per entrare in un cortile dove erano parcheggiati diversi camion e furgoni blindati. Erano tutti dipinti di nero con uno stemma dorato, uno scudo attraversato da una catena e la scritta SOUTHERN DEPOSIT SECURITY.

Si diressero verso un edificio moderno, a un solo piano, con piccole finestre a feritoia che gli davano l’aria di una fortezza. E lo era.

Ricky parcheggiò in uno spazio contrassegnato dalla scritta VISITATORI e spense il motore. Poi si voltò verso Abby.

“Fai una delle tue furbate e tua madre è morta. Intesi?”

Lei riuscì solo a mormorare un “Sì” terrorizzato.

E intanto continuava a pensare. Cercava di pianificare come doveva comportarsi. Cercava di visualizzare i prossimi minuti. Faceva del suo meglio per pensare a tutto, per ricordare a se stessa i propri punti di forza.

Finché aveva quello che lui voleva, lui sarebbe stato costretto a trattare. Non aveva importanza quanto desse in escandescenze, la verità era quella. Solo grazie a questo era rimasta viva e incolume fino a ora, non c’erano dubbi. Con un po’ di fortuna, poteva sfruttare la stessa leva per salvare anche sua madre. O almeno così sperava.

Sì, aveva un piano, ma non aveva ancora pensato a tutti i dettagli, e tutto iniziò a dipanarsi nel suo cervello mentre usciva dalla macchina. Improvvisamente si sentì mancare, tremava in tutto il corpo e dovette aggrapparsi al tetto dell’automobile per un attimo, sicura di essere sul punto di vomitare.

Dopo un paio di istanti, quando si sentì meglio, Ricky la prese per un braccio e insieme andarono verso l’entrata, come una qualsiasi coppia che si recasse a fare un deposito o un prelievo o magari solo per controllare l’argenteria di famiglia. Ma, guardandolo di sottecchi, Abby provò un moto di repulsione e si chiese come avesse potuto cadere tanto in basso da fare tutte quelle cose che aveva fatto con lui.

Premette il pulsante del citofono sotto lo sguardo implacabile di due telecamere a circuito chiuso e diede il suo nome. Qualche attimo dopo la porta si aprì con uno scatto. Oltrepassarono una doppia fila di porte di sicurezza, entrando in un atrio austero che dava l’impressione di essere stato scolpito nel granito.

Due guardie di sicurezza, uomini massicci e dalla faccia impassibile, erano piantate appena oltre la porta, e altre due si occupavano del bancone dietro uno spesso vetro antiproiettile. Abby si avvicinò a uno di questi ultimi e parlò attraverso i forellini nel vetro, chiedendosi se fosse il caso di tentare di comunicare a cenni la sua situazione alla guardia. Poi ci ripensò.

“Katherine Jennings”, disse con voce tremante. “Vorrei avere accesso alla mia cassetta di sicurezza.”

L’uomo spinse un registro nella fessura sotto il vetro. “Per favore, riempia il modulo. Entrate tutti e due?”

“Sì.”

“Allora dovrete compilarlo entrambi.”

Abby scrisse il nome, la data e l’ora, poi passò il registro a Ricky, che fece la stessa cosa. Quando lui ebbe finito, ripassò il registro sotto il vetro e la guardia digitò qualcosa sulla tastiera di un computer. Pochi instanti dopo fece passare attraverso la fessura delle tesserine plastificate dotate di clip.

“Sapete cosa fare?” domandò ad Abby.

Lei annuì e si avvicinò alla porta di sicurezza accanto al bancone. Poi si posizionò con l’occhio destro di fronte allo scanner della retina e premette il pulsante verde.

Dopo qualche istante la serratura scattò. Abby spinse la pesante porta blindata, la tenne aperta per Ricky ed entrarono. Di fronte a loro c’era una scalinata di cemento. Lei scese, sentendo i passi di Ricky appena dietro di sé. In fondo c’era un’enorme porta d’acciaio con un altro scanner retinico. Ancora una volta, Abby si mise di fronte all’apparecchio e premette il pulsante verde. Si udì uno scatto e la porta si aprì di un centimetro.

Abby la spinse. Entrarono in una gelida camera blindata rettangolare. Era lunga più di trenta metri e larga almeno sette. I tre lati erano coperti dal pavimento al soffitto da cassette di sicurezza in acciaio, ognuna contrassegnata da un numero identificativo.

Quelle sulla destra erano profonde un metro e ottanta, quelle sulla sinistra sessanta centimetri e quelle sulla parete di fronte erano alte quasi due metri. Abby si domandò, come già la prima volta che era entrata lì, quale fosse il contenuto di quelle cassette, che genere di tesori – ottenuti legalmente o meno – potessero nascondersi dietro quegli sportelli chiusi.

Tenendo in mano la chiave, Ricky passò avidamente in rassegna i numeri sulle cassette. “Quattro-due-sei?” domandò.

Lei indicò un punto vicino alla parete di fondo, sulla sinistra, e lo guardò mentre percorreva quei pochi metri quasi di corsa.

Ricky infilò la chiavetta sottile nella fessura verticale e provò a girarla. Sentì l’albero della serratura, perfettamente lubrificato, che ruotava senza intoppi. Fece compiere alla chiave un giro completo, ascoltando gli ingranaggi che scattavano a turno. Gli piacevano le serrature, erano una sua passione da sempre, e di molte conosceva il meccanismo a menadito. Diede uno strattone leggero alla chiave, ma lo sportello non si mosse. Doveva avere un funzionamento più complesso di quanto avesse immaginato, si rese conto, facendo fare alla chiave un altro giro completo e sentendo scattare altri ingranaggi. Tirò di nuovo.

Questa volta il pesante sportello metallico si aprì e Ricky guardò dentro. Con suo assoluto stupore, la cassetta era vuota.

Si voltò di scatto, imprecando a voce alta contro Abby. E si ritrovò a sbraitare in una stanza deserta.

Doppia identità
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