67.
Ottobre 2007
L’interno del locale trasudava grasso di frittura. Sedendosi di fronte ai due uomini, Grace si rese conto che il semplice fatto di respirare là dentro avrebbe fatto salire il colesterolo di chiunque a livelli da attacco cardiaco. Ma non desistette e ordinò uova, bacon, salsicce e patatine, pane fritto e una Coca-cola, felice che né Glenn Branson né Cleo fossero nei paraggi a sgridarlo ricordandogli la sua dieta.
Terry Biglow ordinò uova e patatine, mentre il suo amico, Jimmy, si limitò a prendere una tazza di tè e a continuare a rivolgere a Grace occhiate imploranti, come se il Soprintendente Investigativo fosse l’unico uomo sulla terra a poterlo salvare da un pericolo imprecisato. Da se stesso, probabilmente, pensò Roy guardandolo tirar fuori una mezza bottiglia di Bells dalla tasca del cappotto e fare un lungo sorso e notando i tatuaggi da galeotto sulle nocche. Un puntino per ogni anno passato dentro. Grace ne contò sette.
“Sto rigando dritto, ora, signor Grace”, disse d’un tratto Terry Biglow.
Anche lui aveva dei puntini tatuati sulle nocche, e la coda di un serpente sul dorso della mano. Il corpo dell’animale scompariva sotto la manica.
“Così mi dici. Buon per te.”
“Mio fratello è molto malato. Tumore al pancreas. Si ricorda mio zio Eddie, signor Grace? Mi scusi, Ispettore Grace?”
Grace se lo ricordava eccome, meglio di quanto avrebbe voluto. Non aveva mai dimenticato una dichiarazione raccolta da una delle vittime di Eddie Biglow. La faccia dell’uomo era stata aperta in due da un vetro rotto, su entrambi i lati, dall’attaccatura dei capelli fino al mento, perché si era lamentato quando Eddie si era presentato senza essere stato invitato davanti alla porta di un pub.
“Sì”, disse. “Me lo ricordo.”
“In realta, ho anch’io un cancro.”
“Mi dispiace”, disse Grace.
“Alla pancia, sa?”
“Grave?” domandò Grace.
Biglow si strinse nelle spalle, come se si trattasse di una cosa poco importante. Ma nel suo sguardo c’era la paura.
Jimmy annuì saggiamente e bevve un altro sorso. “Non so chi baderà a me quando sarà morto”, piagnucolò con Grace. “Ho bisogno di protezione.”
Grace gli rivolse un’occhiata rapida, poi prese la sua Cocacola dalla cameriera e ne bevve subito un po’. “Tu e Ronnie Wilson eravate amici, vero Terry?”
“Sì, una volta lo eravamo, sì.”
“Prima che tu andassi dentro?”
“Sì, prima. Mi sono preso le colpe per lui, sa.” Mescolò lo zucchero nel suo tè. “Sono stato dentro e tutto il resto.”
“Conoscevi sua moglie?”
“Le conoscevo tutt’e due.”
“Tutte e due?” disse Grace, sorpreso.
“Sì. Joanna e poi Lorraine.”
“Quando si è risposato?”
Biglow si grattò la testa. “Mah, qualche anno dopo che Joanna l’aveva lasciato. Era uno schianto, Joanna, uno schianto! Ma a me non mi piaceva molto. Era a caccia di soldi, ecco cos’era. Si era attaccata a Ronnie perché era uno che si dava arie, ma non aveva capito che non aveva molta grana.” Si toccò un lato del naso. “Non era un granché come uomo d’affari, Ronnie. Parlava sempre un casino, si vantava, aveva sempre grandi progetti per la testa. Ma non aveva – come si dice – il fiuto, il tocco di Mida. E così, quando Joanna l’ha capito, se l’è data a gambe.”
“Per dove?”
“Los Angeles. Sua mamma è morta e lei ha ereditato qualcosa. Una mattina Ronnie si è svegliato e lei non c’era più. Gli ha lasciato un biglietto. Andata per cercare di far carriera nel cinema, per fare l’attrice.”
Arrivò il cibo. Terry affogò le patatine nell’aceto, poi ci rovesciò sopra mezza saliera. Grace versò un po’ di salsa scura sul piatto, poi prese il contenitore del ketchup a forma di pomodoro. “Con chi si è tenuta in contatto dopo che è andata a Los Angeles?”
Biglow si strinse nelle spalle e infilzò una patatina con la forchetta. “Con nessuno, credo. Non c’era nessuno, qui, a cui quella piaceva. Nessuno di noi. La mia signora non la poteva proprio vedere. E lei non aveva nessun interesse a fare amicizia con noi.”
“Era di qui?”
“Nah. Londra, credo. Credo che lui l’avesse incontrata in uno di quei posti dove fanno la lap dance a Londra.”
Un’altra patatina subì lo stesso destino.
“E la seconda moglie?”
“Lorraine. Lei era una a posto. Anche lei era bella. Gli ci è voluto un po’, a Ronnie, per sposarsela – ha dovuto aspettare due anni, credo, per ottenere il divorzio da Joanna, perché era scappata.”
Molto difficile trovare qualcuno che sta marcendo in un canale di scolo e fargli firmare le carte del divorzio, pensò Grace.
“Dove posso trovare questa Lorraine?”
Biglow gli rivolse una strana occhiata.
“Ho bisogno di qualcuno che si prenda cura di me, signor Grace”, piagnucolò Jimmy ancora una volta.
Biglow guardò il suo amico e si indicò la faccia. “Vedi le labbra che si muovono? Significa che sto ancora parlando, quindi dacci un taglio, d’accordo?” Si rivolse a Grace. “Lorraine. Be’, se vuole trovarla deve procurarsi una bella barca e una di quelle tute da subacqueo. Si è fatta fuori. Si è buttata dal traghetto Newhaven-Dieppe, una sera.”
Grace perse subito ogni interesse per il cibo. “Dimmi di più.”
“Era depressa dopo che Ronnie è morto, era in uno stato terribile. Lui l’ha lasciata nei casini fino al collo, finanziariamente intendo. La banca si è ripresa la casa e quelli delle finanziarie le hanno tolto tutto, tranne un po’ di francobolli.”
“Francobolli?”
“Sì, erano il pallino di Ronnie. Li scambiava di continuo, li comprava, li rivendeva. Una volta mi ha detto che li preferiva ai soldi veri, diceva che erano più facili da trasportare.”
Grace ci pensò su per un attimo. “Pensavo di aver letto da qualche parte che le famiglie delle vittime dell’undici settembre hanno ricevuto dei grossi indennizzi. Lorraine no?”
“Non ha mai detto niente di ’sta cosa. È diventata una specie di reclusa, sa, si teneva a distanza. Come rintanata in un guscio. Quando le hanno portato via tutto, si è trasferita in un piccolo appartamento in affitto in Montpellier Road.”
“Quando è morta?”
Biglow ci pensò su per un po’. “Ah sì. Era novembre – l’undici settembre è successo nel 2001, quindi doveva essere il novembre del 2002. Stava arrivando il Natale. Sa cosa voglio dire? Periodo difficile, il Natale, per qualcuno. Si è buttata dal traghetto.”
“Il corpo è stato ritrovato?”
“Non lo so.”
Grace prese qualche appunto mentre Biglow mangiava. Grace si limitò a piluccare qualcosa, la sua concentrazione ora era altrove. Una moglie parte per andare in America e finisce in un canale di scolo a Brighton. La seconda salta in mare da un traghetto. Molte domande gli affollavano la mente. “Avevano dei bambini?”
“L’ultima volta che ho visto Ronnie mi ha detto che ci stavano provando. Ma avevano dei problemi di fertilità.”
Grace rifletté anche su quello. “A parte te, chi erano i migliori amici di Ronnie Wilson?”
“Non è che eravamo così intimi. Eravamo amici, ma non intimi. C’era il vecchio Donald Hatcook – a quanto pare Ronnie era con lui, nel suo ufficio, l’undici settembre. Su una di quelle torri del World Trade Center. Donald aveva fatto fortuna, povero bastardo.” Fece una pausa, cercando di ricordare. “Ah, e poi c’è Chad Skeggs. Ma è emigrato, certo, è andato in Australia.”
“Chad Skeggs?”
“Sì.”
Grace ricordava quel nome: l’uomo si era messo nei guai anni prima, ma Grace non riusciva a ricordare per quale motivo.
“Capisce? Sono tutti andati. Qui dovevano esserci i Klinger, credo. Sì, Steve e Sue Klinger, li conosce? Vivono a Tongdean.”
Grace annuì. I Klinger avevano una casa molto appariscente in Tongdean Avenue. Stephen era stato, per dirla con l’eufemismo più comune, persona di interesse per la polizia fin da quando Grace era entrato nel corpo. Era opinione diffusa che Klinger, che aveva iniziato la sua carriera come venditore di automobili, non avesse fatto i soldi in modo lecito, e c’era il fondato sospetto che i suoi locali notturni, bar, caffetterie, appartamenti per studenti e varie altre imprese servissero a riciclare il denaro sporco che proveniva dalla sua attività vera: il traffico di stupefacenti. Ma anche ammesso che fosse un signore della droga, almeno fino a quel momento Stephen Klinger aveva gestito i suoi affari con estrema cautela, e si era assicurato che mai nulla potesse essere ricondotto a lui.
“Ronnie e lui hanno iniziato a lavorare insieme”, continuò Biglow. “Poi sono finiti nei casini per qualche macchina rubata. Non ricordo cosa è successo di preciso. La ditta è sparita da un giorno all’altro – l’officina è bruciata con tutti i registri. Una cosa molto conveniente. Non sono mai stati accusati di niente.”
Grace aggiunse i nomi di Stephen e Sue Klinger alla lista di persone da fare interrogare alla squadra. Poi tagliò un boccone di pane fritto e lo intinse nell’uovo.
“Terry”, disse, “che cosa pensavi di Ronnie?”
“Cosa intende dire, signor Grace?”
“Che tipo era?”
“Un fottuto psicopatico”, intervenne d’un tratto Jimmy.
“Sta’ zitto!” sbottò Biglow. “Ronnie non era uno psicopatico. Ma aveva un caratteraccio, questo sì, glielo garantisco.”
“Era un cazzo di psicopatico”, insistette Jimmy.
Biglow sorrise a Grace. “A volte era un po’ fuori di testa, sa com’è. Il peggior nemico di se stesso. Era incazzato con il mondo perché non aveva fatto fortuna, non come qualcuno dei suoi amici – capisce cosa voglio dire?”
Come te? pensò Grace. “Credo di capire.”
“Sa cosa ha detto mio padre di lui, una volta?”
Grace, che stava masticando un pezzo di salsiccia, scosse la testa.
“Ha detto che era il tipo d’uomo che è capace di seguirti attraverso un tornello della metropolitana e saltarti fuori davanti senza aver pagato!”, ridacchiò Biglow. “Sì, il nostro Ronnie era proprio così. Che Dio accolga la sua anima!”