33.
Ottobre 2007
Non era stato il weekend migliore della sua vita, pensò Roy Grace alle otto di lunedì mattina mentre era seduto nella piccola e affollata sala d’attesa del dentista sfogliando le pagine di Sussex Life. In effetti, aveva la sensazione che la settimana precedente non fosse conclusa affatto.
L’autopsia del dottor Frazer Theobald era stata interminabile, ed era finita alle nove di sabato sera. E Cleo, che si era comportata normalmente durante l’autopsia, il giorno prima era stata stranamente irritabile con lui.
Entrambi sapevano che non era colpa di nessuno se i loro piani per il weekend erano andati all’aria, eppure in qualche modo Roy aveva la sensazione che lei lo ritenesse responsabile, proprio come Sandy quando arrivava a casa con ore di ritardo, o doveva annullare un programma all’ultimo momento per un’emergenza. Come se fosse colpa sua se un jogger aveva scoperto un cadavere in un fosso un venerdì pomeriggio invece che pensarci in un momento più opportuno.
Cleo conosceva queste cose. Conosceva il mondo della polizia e gli orari irregolari meglio di chiunque altro – i suoi orari non erano poi tanto diversi. Poteva essere chiamata in qualsiasi momento del giorno e della notte, e capitava spesso. Allora che cosa la turbava?
Si era persino arrabbiata con lui quando Roy era tornato a casa sua per un paio d’ore a falciare l’erba incolta del giardino.
“Non avresti potuto farlo se fossimo stati a Londra”, gli aveva detto. “Quindi perché farlo proprio adesso?”
Era casa sua il vero problema, Roy lo sapeva. Quella casa – sua e di Sandy – su Cleo aveva ancora l’effetto di un panno rosso agitato davanti a un toro. Nonostante di recente avesse tolto molte delle cose di Sandy, Cleo andava da lui molto di rado e, quando lo faceva, sembrava sempre a disagio. Avevano fatto l’amore solo una volta a casa di Roy, e non era stata una bella esperienza per nessuno dei due.
Da allora avevano sempre passato la notte a casa di Cleo. Le notti che passavano insieme stavano diventando sempre più frequenti, e ora Roy teneva un set da barba lì da lei, così come un completo scuro, una camicia bianca pulita, una cravatta e un paio di scarpe nere – la sua divisa di lavoro durante la settimana.
Era stata una buona domanda, e lui non le aveva detto la verità, perché la verità avrebbe solo peggiorato le cose. La verità era che quello scheletro l’aveva scosso, e lui voleva stare da solo a riflettere per qualche ora.
A pensare cosa avrebbe provato se si fosse trattato di Sandy.
La sua relazione con Cleo si era spinta molto oltre ogni altro rapporto che Roy avesse avuto dopo Sandy, ma era perfettamente consapevole che, nonostante tutti i suoi sforzi per far funzionare le cose, Sandy rimaneva un tasto dolente, per entrambi. Qualche settimana prima, a una cena dove avevano alzato un po’ il gomito, Cleo aveva accennato al proprio orologio biologico che ticchettava inesorabile. Roy avvertiva il bisogno di Cleo di un impegno più serio da parte sua – e anche il suo timore che fosse il pensiero di Sandy a impedirlo.
Non era vero. Roy la adorava. La amava profondamente. E cominciava davvero a immaginarsi di passare la vita con lei.
Per questo, la sera prima, era rimasto molto ferito quando, dopo essere tornato da casa sua con un paio di bottiglie del loro vino preferito, il Rioja rosso, aveva aperto la porta con la chiave per trovarsi di fronte un piccolo cucciolo di cane che gli era corso incontro, gli aveva stretto una gamba con le zampe e gli aveva pisciato sui pantaloni.
“Humphrey, ti presento Roy!” aveva detto Cleo. “Roy, questo è Humphrey!”
“Chi... di chi è questo cane?” aveva risposto lui, sbalordito.
“Mio. L’ho preso oggi pomeriggio. È un cucciolo di cinque mesi... un incrocio tra un labrador e un border collie.”
L’urina del cane che gli filtrava nelle scarpe gli aveva procurato una sensazione calda e sgradevole. E quando si era chinato e aveva sentito la lingua ruvida del cucciolo leccargli la mano, si era ritrovato in preda a una strana confusione. Era completamente stordito.
“Tu... non mi hai mai detto che avresti comprato un cucciolo!”
“Già... be’, ci sono molte cose che tu non mi dici, Roy”, aveva risposto lei piccata.
* * *
Una donna anziana entrò nella sala d’aspetto, gli rivolse un’occhiata sospettosa – come a dirgli: Il mio appuntamento è prima del tuo, ragazzo – e poi si sedette.
Roy aveva un’agenda molto fitta. Alle nove doveva incontrare Alison Vosper e parlarle di Cassian Pewe. Alle dieci meno un quarto, più tardi del solito, doveva tenere il primo briefing dell’Operazione Dingo – il nome che il computer di Sussex House aveva assegnato a caso all’indagine sulla morte della Donna Sconosciuta, come veniva chiamato al momento lo scheletro rinvenuto nel canale di scolo. Poi alle dieci e mezza doveva andare alle preghiere del mattino – il nome scherzoso affibbiato alle riunioni settimanali della squadra direttiva, da poco ripristinate.
A mezzogiorno doveva tenere una conferenza stampa sul ritrovamento dello scheletro. Non che ci fosse molto da dire, a quel punto, ma Roy sperava che, rivelando l’età della donna morta, le caratteristiche fisiche e il periodo approssimativo del decesso, qualcuno avrebbe ricordato qualcosa. Sempre che, ovviamente, non si trattasse di Sandy.
“Roy! Che piacere vederti!”
Steve Cowling era sulla porta nel suo camice bianco, sorridendo con i denti perfetti. Un uomo alto, sui cinquantacinque, con una postura rigida da militare e capelli immacolati che diventavano sempre più grigi ogni volta che Roy lo vedeva, emanava fascino e sicurezza di sé in egual misura, sempre frammiste a una sorta di entusiasmo infantile, come se i denti fossero davvero la cosa più eccitante del mondo.
“Entra, accomodati, vecchio mio!”
Grace rivolse un cenno di scusa all’anziana signora, che sembrava alquanto contrariata, e seguì il dentista nella sua bianca camera di tortura.
Mentre, come lui, Steve Cowling diventava un po’ più vecchio a ogni visita, il dentista aveva una successione infinita di assistenti che sembravano diventare sempre più giovani e attraenti. L’ultima, una mora dalle gambe lunghissime che doveva avere a malapena vent’anni, gli sorrise tenendo tra le mani una grossa busta, dalla quale sfilò una manciata di negativi che poi porse a Cowling con un sorrisetto malizioso.
Il dentista sollevò il calco che Roy gli aveva dato venti minuti prima. “D’accordo, Roy. Questo è davvero molto interessante. La prima cosa che posso dirti è che sicuramente non si tratta di Sandy.”
“Davvero?” rispose Roy, con voce un po’ piatta.
“Assolutamente.” Cowling gli indicò i negativi. “Questi sono quelli di Sandy – non c’è nessun punto in comune. Ma il calco ci fornisce molte informazioni che potrebbero essere utili.” Rivolse a Grace un sorriso smagliante.
“Benissimo.”
“Questa donna aveva degli impianti che, all’epoca in cui sono stati fatti, dovevano essere molto costosi. Viti in titanio – fabbricate da una compagnia svizzera, la Straumann. Si tratta più che altro di un cilindro cavo sistemato sopra la radice, che poi cresce all’interno della radice stessa e forma una riparazione permanente.”
Mentre ascoltava, Grace provava emozioni contrastanti. Tentò di concentrarsi, ma d’un tratto lo trovava molto faticoso.
“Ciò che è interessante, vecchio mio, è che possiamo stabilire una data approssimativa a questi impianti – e la data corrisponde alla stima su quando la donna è morta. Hanno iniziato ad andare fuori moda più o meno quindici anni fa. La donna ha fatto altri interventi piuttosto costosi, alcune riparazioni e un ponte. Se è di questa zona, allora direi che ci sono soltanto cinque o sei dentisti che possono aver fatto un lavoro simile. Un buon punto di partenza sarebbe Chris Gebbie, che ha uno studio a Lewes. Ti scriverò anche gli indirizzi degli altri. Questo significa che la donna doveva essere piuttosto ricca.”
Grace ascoltava, ma i suoi pensieri erano altrove. Se lo scheletro fosse stato di Sandy, per quanto macabro, avrebbe portato a una specie di conclusione. Ora, invece, la sofferenza dell’incertezza sarebbe continuata.
Roy non sapeva se esserne deluso o sollevato.