6.

Ottobre 2007

Abby, distesa sul duro pavimento della cabina, fissava il piccolo cartello avvitato di fianco al pannello dei pulsanti sulla parete grigia dell’ascensore. La scritta era in lettere rosse su fondo bianco:

IN CASO È ROTTO

TELEFONARE AL N° 013 228 7828

O CHIAMARE IL 999

La sintassi non era rassicurante. Sotto il pannello dei pulsanti c’era uno sportellino di vetro scheggiato. Lentamente, un centimetro alla volta, Abby strisciò sul pavimento. Era a meno di un metro di distanza ma, con l’ascensore che ondeggiava pericolosamente a ogni suo movimento, era come se fosse dall’altra parte del mondo.

Alla fine riuscì a raggiungerlo, lo aprì e prese la cornetta, che era attaccata a un cavo a spirale.

Non c’era linea.

Premette la forcella più volte e la cabina ondeggiò ancora, ma dalla cornetta non venne alcun suono. Compose i numeri, nell’eventualità che... Niente.

Grandioso, pensò. Fantastico. Poi prese il cellulare dalla borsetta e compose il 999.

Il telefono emise un acuto bip. Sul display apparve il messaggio:

Nessuna copertura di rete.

“Gesù, no, non farmi questo.”

Annaspando, spense il cellulare, aspettò qualche secondo e poi lo riaccese, gli occhi fissi sul display, aspettando che comparisse almeno una tacca.

Niente.

Fece ancora il 999 e ottenne la stessa risposta di prima. Tentò di nuovo e poi ancora, picchiando sui tasti ogni volta più forte.

“Avanti, avanti! Ti prego, per favore:”

Fissò di nuovo il display. A volte il campo andava e veniva. Forse, se avesse aspettato...

Poi chiamò, dapprima incerta. “Ehi? Aiutatemi!”

La sua voce suonava minuscola, come imbottigliata.

Si riempì i polmoni e gridò con tutto il fiato che aveva. “EHI? C’È NESSUNO? AIUTO! SONO BLOCCATA NELL’ASCENSORE!

Aspettò.

Silenzio.

Un silenzio tanto assordante che riusciva a sentirlo. Il ronzio di una delle luci al neon nel pannello sopra di lei. I tonfi del suo battito cardiaco. Il rumore del sangue che le scorreva nelle vene. Il rapido sibilo del suo stesso respiro.

Poteva vedere le pareti che si stringevano intorno a lei.

Inspirò lentamente, poi espirò. Guardò di nuovo il display del cellulare. La mano le tremava così tanto che era quasi impossibile riuscire a leggere. Le cifre erano soltanto una macchia indistinta. Inspirò di nuovo, profondamente, e poi ancora. Provò ancora una volta a chiamare il 999. Niente. Poi posò il telefono a terra e batté i pugni con forza sulle pareti della cabina.

Il tonfo risuonò nella tromba dell’ascensore, enorme, e la cabina beccheggiò in modo allarmante, andando a sbattere contro la parete esterna e scendendo di qualche altro centimetro.

AIUTATEMI!” strillò Abby.

Persino il suo grido provocò un altro tonfo dell’ascensore contro la parete. Abby rimase immobile. L’ascensore si assestò.

Poi, attraverso il velo del proprio terrore, Abby si sentì pervadere da una rabbia cieca. Spingendosi avanti di un passo, cominciò a pestare sulle porte metalliche e a urlare – urlò finché non le fecero male le orecchie e la gola iniziò a bruciarle troppo perché potesse continuare. Prese a tossire, come se avesse inghiottito una boccata di polvere.

FATEMI USCIRE!

Poi sentì l’ascensore muoversi, all’improvviso, come se qualcuno stesse spingendo sul tetto della cabina. Il suo sguardo scattò verso l’alto. Trattenne il fiato, in ascolto.

Ma non riuscì a udire altro che il silenzio.

Doppia identità
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