68.
12 settembre 2001
Ronnie si sentiva molto meglio ora che aveva di nuovo dei soldi in tasca. Nella tasca sinistra della giacca, per essere precisi. Il malloppo, gli piaceva chiamarlo. E teneva lì la mano sinistra, con la mazzetta di banconote nuove da cento dollari e accuratamente ripiegate stretta tra le dita, senza mai lasciarla andare. Rimase così per tutto il tragitto di ritorno sul treno L della metropolitana, da Manhattan fino alla stazione di Brighton Beach.
Sempre senza spostare la mano, percorse la breve distanza fino al Mail Box City e depositò cinquemila e seicento dollari della mazzetta nella cassetta di sicurezza. Poi tornò in strada e camminò finché non trovò un negozio di abbigliamento, dove comprò un paio di t-shirt bianche, un cambio di calze e mutande, un paio di jeans e un giubbotto bomber leggero. Poco oltre entrò in un negozio di souvenir e acquistò un berretto nero da baseball con la scritta BRIGHTON BEACH ricamata sul davanti. Poi fu la volta di un negozio di articoli sportivi, dove scelse un paio di scarpe da tennis a buon mercato.
Si fermò a un baracchino per prendere un panino al tacchino con un cetriolo delle dimensioni di una piccola anguria e una Coca per pranzo, quindi tornò alla pensione. Accese il televisore e si cambiò, indossando i nuovi acquisti e mettendo quelli vecchi in uno dei sacchetti del negozio di abbigliamento.
Mangiò il panino mentre guardava la tv. Non c’era molto che non avesse già visto nei vari telegiornali, soltanto riassunti, immagini di George Bush che dichiarava la sua Guerra al Terrorismo e commenti di altri leader mondiali. Poi immagini di gente festante in Pakistan, persone che saltavano e ballavano in strada, ridendo, esibendo con orgoglio striscioni anti-americani.
Ronnie era molto compiaciuto di se stesso. La stanchezza se n’era andata e si sentiva decisamente euforico. Aveva fatto qualcosa di coraggioso: era entrato nella zona di guerra e ne era uscito vivo. Era il suo momento!
Finì di mangiare il panino, poi uscì di casa con il sacchetto dei vestiti vecchi. Poco lontano, sulla strada, gettò la busta in un maleodorante bidone dei rifiuti, già pieno fino all’orlo di cibo avariato. Poi, con passo agile e baldanzoso, si diresse al Moscow Bar.
Era vuoto come il giorno prima, ma Ronnie fu felice di vedere che il suo nuovo amico Boris era seduto allo stesso posto, sul medesimo sgabello, sigaretta in mano, cellulare all’orecchio e una bottiglia mezza piena di vodka davanti a sé. L’unica cosa diversa era la sua maglietta, che quel giorno era rosa e presentava, in lettere dorate, la scritta Genesis World Tour.
Lo stesso barman mingherlino stava al bancone intento a lucidare bicchieri con uno straccio per i piatti. Salutò Ronnie con un cenno del capo.
“Tu tornato”, disse nel suo inglese approssimativo. “Pensavo che magari eri andato ad aiutare.” Indicò lo schermo. “Loro bisognano di volontari”, disse. “Bisogna di gente che scava fuori i corpi. Pensavo che tu magari eri andato a farlo.”
“Forse”, rispose Ronnie. “Forse lo farò.”
Si issò sullo sgabello accanto al suo amico, aspettò che finisse la telefonata, che sembrava una specie di transazione d’affari, poi gli diede una pacca sulla spalla. “Ehi, Boris, come ti va?”
Ronnie ricevette una pacca in risposta, tanto forte che ebbe l’impressione di aver perso un paio di otturazioni.
“Amico mio! Come stai? Hai trovato la stanza che ti ho detto ieri? Andava bene?”
“Andava benissimo.” Ronnie si chinò e si grattò una puntura particolarmente fastidiosa sulla caviglia. “Fantastico. Grazie.”
“Bene. Per il mio amico del Canada, questo e altro.”
Senza che nessuno gliel’avesse chiesto, il barista appoggiò sul bancone un bicchierino e subito Boris lo riempì fino all’orlo.
Tenendolo delicatamente tra l’indice e il pollice, Ronnie se lo portò alle labbra. “ Carpe diem!”, disse.
La vodka andava giù bene. Aveva un vago sapore di limone che Ronnie trovava irresistibile. Il secondo bicchiere andò giù ancora meglio.
Il russo agitò una mano davanti alla faccia di Ronnie in segno di ammonimento, poi sollevò il suo bicchiere fissando Ronnie dritto negli occhi, i denti storti scoperti da un sorriso. “Ricordi che cosa ti ho detto ieri, amico mio?”
“Che cosa?”
“Quando fai un brindisi, in Russia, bevi tutto il bicchiere. Fino in fondo. Un sorso solo. Così!”
Boris vuotò il bicchiere.
* * *
Due ore più tardi, dopo essersi scambiati storie sempre più incredibili sulle loro vite passate, Ronnie barcollava, a malapena in grado di reggersi in equilibrio sullo sgabello. A quanto pareva Boris aveva le mani in pasta in tutta una serie di attività piuttosto dubbie, tra cui l’importazione di profumi di marca contraffatti, il reperimento di carte verdi per gli immigrati russi e il fare più o meno da mediatore per le prostitute russe che volevano lavorare in America. Non il magnaccia, volle puntualizzare. No, no, assolutamente non un magnaccia, proprio no.
Poi, all’improvviso, mise un braccio intorno alle spalle di
Ronnie e disse: “Io lo so, amico mio, che tu sei nei guai. Io ti aiuto! Non c’è niente che non posso fare!”
Ronnie vide con orrore che Boris stava riempiendo di nuovo i bicchieri. Lo schermo televisivo si sfocava e tornava a fuoco. Poteva fidarsi di lui? Doveva fidarsi di qualcuno e, almeno nella sua mente alterata dall’alcol, in quel momento Boris non gli sembrava il tipo di persona pronta a sparare giudizi morali.
“In realtà”, disse, “ho bisogno di un altro favore.”
Il russo non distolse lo sguardo dalla televisione. Stava parlando il sindaco Giuliani.
“Per il mio amico canadese, tutti i favori del mondo. Cosa posso fare per te?”
Ronnie si tolse il berretto da baseball e si avvicinò a Boris, abbassando la voce a un sussurro.
“Conosci qualcuno che può farmi un nuovo passaporto... e un visto?”
Il russo gli rivolse uno sguardo severo. “Che cosa credi che sia questo posto, un’ambasciata? Questo è solo un bar, okay?”
Ronnie rimase sorpreso dalla veemenza dell’uomo, ma poi la bocca di Boris si allargò in un grosso sorriso.
“Passaporto e visto. Naturalmente. Non ti preoccupare. Qualsiasi cosa vuoi, ci penso io. Vuoi un passaporto, un visto, non ci sono problemi. Ho un amico che può sistemare le cose. Può procurarti tutto quello che vuoi. Sempre che tu hai i soldi, eh?”
“Quanti soldi?”
“Dipende da quanto è difficile il visto. Ti do il suo nome. Io, per me, non voglio niente, siamo d’accordo?”
“Sei molto gentile.”
Il russo sollevò il bicchiere. “Carpe diem!”
“Carpe diem!”, gli fece eco Ronnie.
Il resto del pomeriggio si perse in una indistinta foschia alcolica.