87.

Ottobre 2007

Abby, sul sedile posteriore del taxi, stava rileggendo un nuovo messaggio che le era appena arrivato sul cellulare. Le risollevava lo spirito e la faceva sorridere.

Ricorda... Lavora come se non avessi bisogno dei soldi. Ama come se nessuno ti avesse mai ferita. Danza come se nessuno ti stesse guardando.

Anche il tassista la metteva di buonumore. Un tempo tirava di boxe, le disse, se pure mai ad altissimo livello, ma adesso nel tempo libero faceva l’allenatore e incoraggiava i ragazzini a fare sport. Aveva una faccia da pugile, schiacciata, pensò Abby, come se a un certo punto della vita fosse andato a sbattere contro un muro di cemento a centocinquanta chilometri all’ora. Durante il tragitto di ritorno dalla terza casa di riposo che aveva visitato quella mattina, le raccontò che anche lui aveva una madre anziana con problemi di salute, ma che posti come quelli erano al di là delle sue possibilità.

Abby non riuscì a farsi venire in mente una citazione da mandare in risposta al messaggio, così digitò semplicemente:

Ci siamo quasi! Non vedo l’ora. Mi manchi da morire.

Baci.

Era da poco passata l’una del pomeriggio quando il taxi si fermò davanti al condominio di sua madre. Abby si guardò intorno in cerca di Ricky, ma la strada sembrava sgombra. Chiese al tassista di aspettare e di tenere acceso il tassametro. I primi due posti che aveva visto quella mattina erano orribili, ma la terza casa di riposo era carina e, cosa più importante, sembrava sicura. E, meglio ancora, aveva un posto libero. Abby decise che avrebbe portato la madre lì subito.

Tutto ciò che doveva fare era buttare un po’ di vestiti in una valigia. Sapeva quanto fosse lenta sua madre, ma l’avrebbe fatto lei al posto suo e l’avrebbe portata fuori in un attimo. Sua madre avrebbe protestato, ma avrebbe dovuto rassegnarsi, almeno per qualche settimana. Se non altro là sarebbe stata al sicuro. Abby non poteva fare affidamento in eterno sui servizi della nuova badante, la temibile Doris – della quale non conosceva nemmeno il cognome.

Una volta sistemata sua madre, poteva mettere in atto il piano che aveva escogitato nelle ultime ore. Per prima cosa doveva andare il più lontano possibile. La seconda fase era trovare una persona di fiducia. Qualcuno di cui fidarsi completamente.

A quanti estranei poteva affidare tutto ciò che aveva al mondo, senza timore che scappassero con il bottino come aveva fatto lei stessa?

Quel tassista sembrava un brav’uomo. Aveva la sensazione di poter contare su di lui, in caso di necessità. Ma sarebbe stato in grado di tenere testa a Ricky da solo, o avrebbe avuto bisogno di aiuto? Comunque si sarebbe trattato di riporre la sua fiducia in una persona che conosceva da meno di trenta minuti e in altri che non aveva nemmeno mai visto. Era un azzardo troppo grande dopo tutto quello che aveva passato per arrivare fin lì.

In quel momento, però, non aveva molte alternative. L’affitto dell’appartamento era stato pagato in anticipo per tre mesi e ne mancavano ancora due, e quello aveva prosciugato la maggior parte delle risorse liquide di cui disponeva. E il mese di anticipo per la camera di sua madre alla Casa di Riposo Bexhill Lawns che aveva dovuto versare quella mattina non l’aveva certo aiutata. Aveva ancora abbastanza credito sulla carta per poter tirare avanti ancora un paio di mesi, se si fosse rintanata in un alberghetto di quart’ordine da qualche parte. Dopo, avrebbe avuto bisogno di accedere alle sue risorse. E, per farlo, doveva depistare Ricky.

Ringraziò Dio per la fortuna sfacciata di non avere ancora effettuato il trasferimento alla piccola cassaforte acquistata da poco.

Da tutto ciò che sapeva di Ricky, avrebbe dovuto rendersi conto che era un mago dell’elettronica. Una notte si era vantato con lei che la metà dei portieri d’albergo negli hotel più in vista di Melbourne e Sidney lavoravano per lui, passandogli le chiavi di plastica degli ospiti che se ne erano appena andati. Quelle tesserine magnetiche contenevano i dettagli delle loro carte di credito e i loro indirizzi di casa. Ricky aveva chi gli comprava quelle informazioni, le aveva raccontato, e la truffa – o meglio, il servizio dati, come gli piaceva chiamarlo – gli faceva guadagnare molto di più dei suoi affari leciti.

Abby entrò dal portone principale e percorse il corridoio fino all’appartamento della madre. Per assicurarsi che stesse bene, le aveva telefonato due volte, una verso le dieci e mezza, quando la donna le aveva detto che il fabbro sarebbe arrivato verso le undici, e un’altra un’ora prima, e sua madre le aveva riferito che il fabbro era ancora lì.

Abby fu delusa nel constatare che la sua chiave apriva ancora la porta. E, cosa ancora più preoccupante, non vide alcun segno della presenza di un operaio. Chiamò ansiosamente la madre, poi attraversò di corsa il corridoio ed entrò in soggiorno.

Con suo grande stupore, vide che il tappeto era stato tolto. Il tappeto rosso che ricordava dall’infanzia, da cui aveva raccolto il budino di riso la sera prima, non c’era più. Tutto ciò che ne restava erano alcuni brandelli del feltro di protezione sopra le nude assi di legno.

Per un istante il mondo le girò intorno mentre cercava di collegare il fatto di avere nuove serrature con il bisogno di rimuovere un tappeto. Qualcosa non quadrava.

“Mamma! Mamma!” chiamò, in caso lei fosse in cucina o in bagno o in camera da letto.

Dov’era Doris? Non le aveva forse promesso che sarebbe rimasta lì con sua madre?

In preda a un panico crescente, corse in ogni stanza. Poi si precipitò fuori dall’appartamento, salì le scale due gradini alla volta e si attaccò al campanello dell’appartamento di Doris. Si mise anche a bussare.

Dopo quella che le sembrò un’eternità, udì il tintinnio familiare della catenella di sicurezza e, come il giorno prima, la porta si aprì di qualche centimetro. Doris, attraverso i grossi occhiali scuri, guardò fuori attentamente, poi le rivolse un sorriso di benvenuto e aprì del tutto la porta.

“Salve, mia cara!”

Abby provò un sollievo immediato per l’allegria del saluto e per un attimo fu certa che Doris stesse per dirle che sua madre era lì in casa con lei.

“Oh, salve, volevo chiederle se è andato tutto liscio, al piano di sotto.”

“Con il fabbro?”

Quindi era arrivato. “Sì.”

“Be’, sta facendo il suo lavoro, mia cara. Sembra proprio un giovanotto a modo. C’è qualcosa che non va?”

“Ha controllato i suoi documenti di identità come le avevo chiesto?”

“Sì, cara, aveva un tesserino della ditta. Avevo con me la lente di ingrandimento per essere sicura di leggerlo bene. Lockworks, giusto?”

In quell’istante, il cellulare di Abby cominciò a squillare. Abby guardò il display e vide che era il nuovo numero di sua madre. Guardò Doris.

“È tutto a posto, grazie.”

Doris sollevò un dito. “Ho qualcosa sui fornelli, mia cara. Vieni pure se hai bisogno di me.”

Abby rispose alla telefonata proprio mentre la donna chiudeva la porta.

Era la voce di sua madre. Ma era tremante e incerta, e senza fiato, come se stesse leggendo qualcosa.

“Abby”, disse, “Ricky vuole parlarti. Adesso te lo passo. Per favore, fai esattamente quello che ti dice.”

Poi la comunicazione si interruppe.

Abby rifece il numero, frenetica. La chiamata venne deviata all’istante alla segreteria telefonica. Poi, quasi subito, il suo cellulare squillò di nuovo. Sul display c’era scritto: Numero privato.

Era Ricky.

Doppia identità
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