Capitolo 90

In volo sul ghiacciaio Langjökull, 6 febbraio. 15:45.

Il motore urlava, mentre l’elicottero AW119 sfrecciava verso sud-est.

«È da quella parte, ci siamo quasi», annunciò il pilota, sistemandosi il microfono della cuffia davanti alla bocca. Dopo un secondo ruotò la cloche e il velivolo, un AgustaWestland a otto posti, virò di pochi gradi inclinandosi a destra.

Hidetoshi Tanaka accarezzava il calcio dorato della sua Walther e contemplava la distesa di ghiaccio sotto di lui. Da quell’altezza riflessi ambrati baluginavano sulla superficie ammantata.

«Com’è il segnale del GPS?», indagò il giapponese, voltandosi verso uno dei suoi uomini.

«Stabile. L’auto è immobile da oltre tre ore», rispose il giovane, armeggiando con un portatile sistemato sul tavolino del sedile anteriore. Insieme a lui, altri tre militari armati di tutto punto fissavano il giapponese.

Tanaka annuì.

«Il tempo comincia a stringere», gli aveva detto qualche giorno prima Edward, con un tono che non aveva nulla di amichevole. «La società che mi ha ingaggiato per procurare quel dispositivo, che paga le mie fatture e quindi anche le tue, si aspetta dei risultati».

Risultati.

Era proprio ciò che cercava di ottenere: ormai, recuperare quel dispositivo, non era più solo un problema professionale, ma anche una questione di principio. Quella vicenda aveva assunto i contorni grotteschi di una soap opera ed era giunto il momento di scrivere la parola fine. Tanto più che con la morte dello sceicco, il contratto firmato dal principe Ibrahim era divenuto definitivo.

Si assestò sul sedile e mentre dal finestrino guardava un pennone di fumo che si innalzava solitario nella radura, pregustò il momento in cui avrebbe rivisto quell’uomo: Nigel Sforza.

Dopo la fuga dal centro congressi si era informato sul suo conto: si trattava di un agente dell’Interpol alle sue calcagna per due stupidi omicidi.

La cosa più grave, però, era stata che l’ispettore non solo l’aveva costretto a fuggire abbandonando il borsone ma, invece di consegnarlo alla polizia, l’aveva tenuto per sé. Come se non bastasse, Sforza non aveva fatto rapporto ai superiori ed era letteralmente scomparso.

Il giapponese non sapeva esattamente che cosa l’ispettore avesse scoperto su quell’oggetto. Il fatto che l’uomo fosse come sparito nel nulla però non lasciava ben sperare sulla sua buona fede.

Quando tutto sembrava perduto era però arrivato un colpo di fortuna inaspettato: Sforza aveva noleggiato un’auto dotata di localizzatore satellitare e si era messo al volante dirigendosi verso la parte centrale dell’isola. Era bastato un piccolo assegno alla compagnia di noleggio per riuscire a rintracciarlo.

E adesso Tanaka era lì, in volo su un ghiacciaio, pronto a mettere la parola fine su quel copione scadente.

«Venti minuti», sentenziò il pilota.